“La speranza non è in vendita” – Luigi Ciotti

Ho appena finito di leggere il libro di Luigi Ciotti “La speranza non è in vendita” .

L’avevo preso da tempo, a Natale quando ero passato nella libreria del Gruppo Abele per comprare dei regali, … ed era proprio tempo che lo leggessi!

Non è un libro con molte pagine, con molte parole, ma i concetti espressi sono molti, comprensibili a tutti e soprattutto … quelli giusti! Vi consiglio di leggerlo: poche ore sicuramente spese bene che aiutano ad oliare un po’ il nostro cervello addormentato e di continuo bombardato da falsi ideali, promesse e “verità” presunte!

Quando leggo, per abitudine sottolineo con un evidenziatore le frasi che mi sono piaciute maggiormente, i concetti che condivido e che reputo degni di essere riletti  e ripensati. Normalmente sottolineo al massimo mediamente due-tre righe per pagina … in questo piccolo libro (di 126 pagine che si legge in due ore) mi sono accorto di aver consumato ben più colore!

Il discorso presentato nel libro è lineare, logico ed organico benché, da un’introduzione “tra denuncia e proposta”, si passi nei diversi capitoli a trattare argomenti apparentemente molto diversi (cap.1: Diseguaglianze; cap.2 Migranti; cap.3 Solidarietà e diritti; cap.4 Democrazia; cap.5 Costituzione; cap.6 Mafie; cap.7 Chiese che “interferiscono; cap8 Legalità; cap.9: Educazione e responsabilità; cap.10 Speranza). Proprio per questa linearità del ragionamento che sottende tutto il libro, sicuramente è molto limitativo riportare alcune frasi estratte dal contesto del discorso: tuttavia voglio proporvene alcune … anche solo per fare venire anche a voi la voglia di leggerlo!!

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“Non basta essere vivi per sperare: bisogna anche credere nella giustizia e impegnarsi a costruirla. Non c’è speranza, senza speranza di giustizia. … L’etica individuale è la base di tutto, la premessa per non perdere la stima di sé”.

“La strada dell’impegno è scandita da tre parole: corresponsabilità, continuità e condivisione”.

“L’individualismo ha minato la politica: in molti dicono di volere un cambiamento , salvo poi spendere più energie nell’affermare se stessi che nell’impegnarsi a costruirlo”.

“Da questa crisi economica e di paura del futuro se ne uscirà solo – a dispetto di chi, dopo averla provocata, ne promette il superamento grazie a una nuova crescita dietro l’angolo – con trasformazioni sociali profonde. E, soprattutto, non chiudendo gli occhi”.

Il tradimento del lavoro: “Ciascuno trova posto (quando lo trova) non in base alle sue capacità, ma alla sua funzionalità, valutata secondo principi di pura e semplice convenienza economica. E’ il meccanismo che ha governato la cosiddetta flessibilità, concetto con cui per anni si sono giustificate le leggi – loro sì inflessibili – del mercato: la disponibilità delle persone ad adattarsi alle attività più disparate senza garanzie contrattuali e senza la possibilità di fare del lavoro il nucleo intorno a cui costruirsi sicurezza materiale e dignità sociale. … L’attuale situazione di crisi è la dimostrazione di come un sistema fondato sulle disparità e su profitti non equamente distribuiti finisce per impoverire tutti”.

“A infastidire i benpensanti non è più la povertà ma la sua visibilità (con la sgradevolezza che, spesso, la accompagna)”.

“… il valore economico è inscindibile dal valore sociale e un’economia sganciata dai bisogni e dalle speranze delle persone – ossia dalle loro vite – produce un sistema inaffidabile che provoca falsi valori”.

Insostenibilità (devastazione delle risorse ambientali); Globalizzazione (riduzione di tutto a valore di mercato); Privatizzazione (usurpazione dello spazio pubblico); egemonia della finanza (dissipazione delle ricchezze reali); Eclissi dell’etica (perdita del legame sociale e del senso di responsabilità)”.

“Quando la sicurezza viene elevata a valore assoluto, perseguita non come effetto di buon governo , ma come idea stessa di governo, disegna attorno a sé una società a compartimenti stagni, con muri, divieti, zone sorvegliate. Questa idea di sicurezza finisce per sfaldare la comunità, per promuovere un’immunità al tempo stesso sociale e giuridica …”.

“Uscire dalla crisi significa riscoprire per chi e per cosa vivere: i progetti, gli obiettivi, le aspirazioni che rendono la vita personale degna di essere vissuta e quella collettiva generatrice di speranza e di futuro. … ridurre le distanze non solo economiche ma sociali, dando a ciascuno la possibilità di sviluppare i propri talenti e di vederli riconosciuti. … rompere i monopoli, i privilegi e le corporazioni che impediscono all’economia di servire alla collettività e alle persone di vivere non schiacciate dalle logiche del profitto. … ristabilire la demarcazione fra pubblico e privato per impedire che beni comuni ed essenziali, come l’acqua, vengano mercificati”.

“Un politico che in privato contraddica ciò che asserisce in pubblico, che ostenti lusso e faccia della ricchezza un simbolo del potere – anche se lecitamente accumulata – dimostra di non aver capito che, in democrazia, forma e sostanza vanno a braccetto. Non ci si può occupare del bene comune e porsi, anche solo simbolicamente, al di sopra degli altri”.

“L’attuale degenerazione etica non sarebbe stata possibile senza un più generale ritiro dall’impegno, senza gli eccessi di delega, senza un’interpretazione avara del nostro ruolo di cittadini”.

“Primo Levi ci ha insegnato che l’ingiustizia ha due facce. La prima è l’assenza di diritti. … l’altra è quella che si annida nella ‘zona grigia’. … è la zona che sta al confine tra giustizia e ingiustizia, legalità e illegalità. Ma prima che un luogo fisico, è un luogo mentale, interiore. … Le coscienze di chi finge di non vedere e di non sentire, di chi agisce solo per calcolo o per paura, di chi è severo con gli altri quanto indulgente con se stesso e, pur lamentandosi di come vanno le cose, non muove mai un dito per cambiarle”.

“Ci sono state nella storia e ci sono oggi norme che negano o erodono, con l’uguaglianza, anche la prossimità, cioè la relazione con gli altri, la capacità di mettersi nei loro panni, di capirne i sentimenti e i punti di vista, di aiutarli nelle situazioni di difficoltà. Ma senza uguaglianza e prossimità non c’è società né giustizia. E la legalità si riduce, si allontana dai valori”.

“Invocare legalità è da qualche tempo di moda. Ma non sempre a proposito e, talora, da pulpiti improbabili. L’affermazione è netta, all’apparenza appagante: legalità significa rispetto delle leggi e, conseguentemente, operare per la legalità significa far rispettare le leggi. La definizione, a prima vista, non può che essere condivisa. Ma, scavando, dando applicazione ai principi, ci si accorge che la complessità del reale la rende incompleta e, alla fine, non persuasiva. … Il richiamo alla legalità non può essere utilizzato per sostituire la politica e porla al riparo dalle sue responsabilità. Viviamo in un Paese in cui le leggi sono tanto numerose quanto violate. Perseguire la legalità –intesa come progetto di convivenza e regola della vita sociale – significa dunque inevitabilmente, definire gerarchie di valori e priorità d’interventi. … Occorre dunque scegliere. Si può cominciare a lottare contro le mafie o liberando le città dalla presenza fastidiosa di accattoni e lavavetri, contrastando la speculazione edilizia e l’inquinamento ambientale o perseguendo chi protesta (magari con qualche eccesso) a tutela della salute propria e dei propri figli, impegnandosi per combattere l’evasione fiscale oppure sgomberando edifici abbandonati, occupati da contestatori o marginali. … Anche le modalità dell’intervento teso a ripristinare la legalità violata non sono vincolate ma discrezionali. … La legalità può essere imposta con la forza o perseguita con la trattativa e la convinzione. … L’obiettivo è (forse) comune, ma gli effetti concreti e la cultura che ne deriva sono profondamente diversi …”.

“Il nostro lavoro è etico quando non presta il fianco ai compromessi, alle scorciatoie, alle prepotenze di chi vuole calpestare i diritti in nome del privilegio. … Contro questo consumismo di beni, di tempo, di relazioni che vuole distrarre i cittadini dalla gestione del bene pubblico, trasformarli in una folla interessata solo al proprio privato e quindi facilmente manipolabile, vittima della più sottile delle schiavitù perché ignara di essere tale”.

“Il coraggio di fare scelte scomode e di rifiutare i compromessi, quelle piccole transizioni con la coscienza che ti mettono su una china dalla quale poi è sempre più difficile risalire”.

“L’educazione è il primo e più prezioso investimento di una comunità aperta al futuro. … I giovani non cercano adulti perfetti, ma persone credibili ed appassionate. Persone che non dicano loro cosa fare, ma facciano assieme con loro. E che sappiano guardarsi dentro, verificando la coerenza tra teoria e pratica, la credibilità del loro essere testimoni”.

“… dobbiamo chiederci cosa è indispensabile alla vita umana perché essa abbia un senso: da un punto di vista materiale, del tempo, delle relazioni. … Dobbiamo ripensare a vivere le nostre esperienze e non a consumarle … E’ educandoci al consumo che impariamo la sobrietà: evitare la logica dello spreco, dello sfruttare tutto e tutti per avere “sempre di più”, rischiando di consumare noi stessi … O perdendo la capacità di dare il giusto valore al tempo: ne perdiamo, pensando che la vita possa aspettare, dimenticando che ‘la vita è sempre adesso’. Crediamo di risolverla affidandoci alla fortuna ‘venduta’ dai giochi d’azzardo e dalle lotterie; siamo ossessionati dal voler cancellare i segni esteriori che il tempo lascia su di noi”.

“La speranza è la tensione della vita che si fa progetto. … Ma quando la speranza restringe i suo campo, quando speriamo solo per noi stessi, per i nostri interessi, per il nostro successo, ecco che essa smette d’infonderci forza per diventare al massimo un fragile rifugio delle nostre paure, una superstizione a cui appoggiarci per confidare nella benevolenza del destino. E’ difficile capire l’angoscia del nostro tempo, se non prendiamo atto di questa privatizzazione della speranza. Come tutti i beni più essenziali, anche la speranza è stata infatti ‘comperata’, resa oggetto di mercato. C’è chi se la può permettere e c’è chi ne è escluso”.

“… una politica che ha sostituito la costruzione della speranza con la vendita d’illusioni. Una politica dell’ammiccamento e del sorriso ostentato, che ha negato la realtà della crisi e che tuttora tentenna a prendere le misure necessarie a contrastarla per la paura di perdere consenso o disturbare interessi consolidati. Nasce qui la corruzione della speranza, resa bene di consumo propinato grazie a ben congegnate campagne di propaganda e persuasione occulta. … La vera speranza, stretta parente del realismo, è invece quella che risveglia il desiderio di capire, di reagire, di rialzare la testa. … speranza è incominciare ad accorgersi degli altri, prendere coscienza che il mondo e la vita sono realtà plurali. … Perché la speranza è nemica della menzogna: per proiettarci nel possibile ha bisogno di una base solida, altrimenti affonda con noi nelle sabbie mobili delle illusioni. Ha bisogno, cioè, di educazione e cultura, vie maestre della ricerca di verità”.

Informazioni su Enzo Contini

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2 risposte a “La speranza non è in vendita” – Luigi Ciotti

  1. Enzo Contini ha detto:

    In Val Susa un dialogo è possibile e necessario
    ( http://www.gruppoabele.org/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/2684 )

    L’appello può essere firmato qui:
    http://www.legambiente.it/​appello-val-susa-un-dialogo​-e-possibile-e-necessario

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    Dopo mesi in cui la politica ha omesso il confronto e il dialogo necessari con la popolazione della valle, la situazione di tensione in Val Susa ha raggiunto il livello di guardia, con una contrapposizione che sta provocando danni incalcolabili nel fisico delle persone, nella coesione sociale, nella fiducia verso le istituzioni, nella vita e nella economia dell’intera valle. Ad esserne coinvolti sono, in diversa misura, tutti coloro che stanno sul territorio: manifestanti e attivisti, forze dell’ordine, popolazione.
    I problemi posti dal progetto di costruzione della linea ferroviaria ad alta capacità Torino-Lione non si risolvono con lanci di pietre e con comportamenti violenti. Da queste forme di violenza occorre prendere le distanze senza ambiguità. Ma non ci si può fermare qui. Non basta deprecare la violenza se non si fa nulla per evitarla o, addirittura, si eccitano gli animi con comportamenti irresponsabili (come gli insulti rivolti a chi compie gesti dimostrativi non violenti) o riducendo la protesta della valle – di tante donne e tanti uomini, giovani e vecchi del tutto estranei ad ogni forma di violenza – a questione di ordine pubblico da delegare alle forze dell’ordine.
    La contrapposizione e il conflitto possono essere superati solo da una politica intelligente, lungimirante e coraggiosa. La costruzione della linea ferroviaria (e delle opere ad essa funzionali) è una questione non solo locale e riguarda il nostro modello di sviluppo e la partecipazione democratica ai processi decisionali. Per questo è necessario riaprire quel dialogo che gli amministratori locali continuano vanamente a chiedere. Oggi è ancora possibile. Domani forse no.
    Per questo rivolgiamo un invito pressante alla politica e alle autorità di governo ad avere responsabilità e coraggio. Si cominci col ricevere gli amministratori locali e con l’ascoltare le loro ragioni senza riserve mentali. Il dialogo non può essere semplice apparenza e non può trincerarsi dietro decisioni indiscutibili ché, altrimenti, non è dialogo. La decisione di costruire la linea ad alta capacità è stata presa oltre vent’anni fa.
    In questo periodo tutto è cambiato: sul piano delle conoscenze dei danni ambientali, nella situazione economica, nelle politiche dei trasporti, nelle prospettive dello sviluppo. I lavori per il tunnel preparatorio non sono ancora iniziati, come dice la stessa società costruttrice.
    E non è vero che a livello sovranazionale è già tutto deciso e che l’opera è ormai inevitabile. L’Unione europea ha riaperto la questione dei fondi, dei progetti e delle priorità rispetto alle Reti transeuropee ed è impegnata in un processo legislativo che finirà solo fra un anno e mezzo. Lo stesso Accordo intergovernativo fra la Francia e l’Italia sarà ratificato solo quando sarà conosciuto l’intervento finanziario della UE, quindi fra parecchi mesi. E anche i lavori sulla tratta francese non sono iniziati né prossimi.
    Dunque aprire un tavolo di confronto reale su opportunità, praticabilità e costi dell’opera e sulle eventuali alternative non provocherebbe alcun ritardo né alcuna marcia indietro pregiudiziale. Sarebbe, al contrario, un atto di responsabilità e di intelligenza politica. Un tavolo pubblico, con la partecipazione di esperti nazionali e internazionali, da convocare nello spazio di un mese, è nell’interesse di tutti. Perché tutti abbiamo bisogno di capire per decidere di conseguenza, confermando o modificando la scelta effettuata in condizioni del tutto diverse da quelle attuali..
    Un Governo di “tecnici” non può avere paura dello studio, dell’approfondimento, della scienza. Numerose scelte precedenti sono state accantonate (da quelle relative al ponte sullo stretto a quelle concernenti la candidatura per le Olimpiadi).
    Noi oggi chiediamo molto meno. Chiediamo di approfondire i problemi ascoltando i molti “tecnici” che da tempo stanno studiando il problema, di non deludere tanta parte del Paese, di dimostrare con i fatti che l’interesse pubblico viene prima di quello dei poteri forti. Lo chiediamo con forza e con urgenza, prima che la situazione precipiti ulteriormente.

    2 marzo 2012

    primi firmatari:
    1) don Luigi Ciotti (presidente Gruppo Abele e Libera)
    2) Livio Pepino (giurista, già componente Consiglio superiore magistratura)
    3) Michele Curto (capogruppo Sinistra, ecologia e libertà, Comune Torino)
    4) Ugo Mattei (professore diritto civile, Università Torino)
    5) Marco Revelli (professore Scienza Amministrazione, Università del Piemonte orientale)
    6) Giorgio Airaudo (responsabile nazionale auto Fiom)
    7) Niki Vendola (presidente Regione Puglia)
    8) Monica Frassoni (presidente Verdi europei)
    9) Michele Emiliano (sindaco di Bari)
    10) Luigi De Magistris (sindaco di Napoli)
    11) Tommaso Sodano (vicesindaco di Napoli)
    12) Paolo Beni (presidente nazionale Arci)
    13) Vittorio Cogliati Dezza (presidente nazionale Legambiente)
    14) Filippo Miraglia (Arci)
    15) Gabriella Stramaccioni (direttrice Libera)
    16) don Armando Zappolin (presidente nazionale Cnca)
    17) don Tonio dell’Olio (Libera international)
    18) Giovanni Palombarini (giurista, già Procuratore aggiunto Cassazione)
    19) don Marcello Cozzi (Libera)
    20) Sandro Mezzadra (professore Storia delle dottrine politiche, Università Bologna)

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  2. Franco ha detto:

    Grazie Enzo, una bella raccolta di spunti.
    Parecchi li avevo già incontrati in articoli e interviste, ma comprerò il libro.
    Forse è vero che si legge in due ore ma c’è da meditarci per due settimane.
    E per farlo proprio, quanti mesi?

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