William Shakespeare: Amleto – “Essere o non essere” – monologo Atto III Sc. I – luglio 2012

Ebbene sì … anch’io!!!

Il fantastico paesaggio dolomitico davanti a me, nessuna presenza umana e la macchina fotografica a disposizione … quale migliore occasione per recitare nuovamente il famoso monologo di Shakespeare?

Eccovi il link del filmato che ho fatto a luglio 2012 sulle Dolomiti.

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Eccovi poi la caricatura dell’amico Gianni Soria che mi ha gentilmente fatto e inviato via email dopo aver visto il filmato 😉

… e se poi vuoi proprio vedere anche il video che ho fatto precedentemente nel 2010 sempre in montagna (questa volta nel bel paesino di Chamois in Valle d’Aosta), eccoti il link!: penso risultino evidenti le differenze! 😉

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To be, or not to be: that is the question:
Whether ’tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them? To die: to sleep;
No more; and, by a sleep to say we end
The heart-ache and the thousand natural shocks
That flesh is heir to, ’tis a consummation
Devoutly to be wish’d. To die, to sleep;
To sleep: perchance to dream: ay, there’s the rub;
For in that sleep of death what dreams may come
When we have shuffled off this mortal coil,
Must give us pause. There’s the respect
That makes calamity of so long life;
For who would bear the whips and scorns of time,
The oppressor’s wrong, the proud man’s contumely,
The pangs of dispriz’d love, the law’s delay,
The insolence of office, and the spurns
That patient merit of the unworthy takes,
When he himself might his quietus make
With a bare bodkin? Who would fardels bear,
To grunt and sweat under a weary life,
But that the dread of something after death,
The undiscover’d country from whose bourn
No traveller returns, puzzles the will,
And makes us rather bear those ills we have
Than fly to others that we know not of?
Thus conscience does make cowards of us all;
And thus the native hue of resolution
Is sicklied o’er with the pale cast of thought,
And enterprises of great pith and moment
With this regard their currents turn awry,
And lose the name of action. Soft you now!
The fair Ophelia! Nymph, in thy orisons
Be all my sins remember’d.

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La traduzione che preferisco e che ho recitato:

Essere o non essere: questo è il problema.
È forse meglio, per l’anima,
soffrire i sassi e i dardi di un’oltraggiosa fortuna,
o prender l’armi contro questo mare di guai e, opponendosi a essi,
distruggerli?

Morire, dormire, nulla più.
E dirsi così che
con un sonno noi
mettiamo fine al crepacuore
e alle mille ingiurie naturali, retaggio della carne…
Questa è la consunzione da invocare devotamente!

Morire, dormire.
Dormire… Sognare forse…
Ecco, è qui l’intoppo!
Perché nel sonno della morte, quali sogni si possono avere
dopo essersi sbarazzati del tumulto di questa vita mortale?
Ecco il riguardo che ci arresta
e che induce la sciagura a durare tanto.
E chi vorrebbe sopportare
i malanni e le frustate del tempo,
l’oppressione dei tiranni,
le contumelie dell’orgoglio
e… i pungoli d’amor spezzato!

Remore di legge,
arroganza dall’alto,
derisione degli indegni sul merito paziente…
chi lo vorrebbe mai, se uno può darsi quietanza con il filo di un pugnale?
Chi vorrebbe portare fardelli,

sudare spossato sotto il peso della vita,
se non fosse il timore di qualcosa dopo la morte,
paese inesplorato da cui mai nessun viaggiatore è tornato,
a confonderci il volere e a farci sopportare i mali d’oggi,
piuttosto che volare a mali sconosciuti?

La coscienza così ci fa tutti vili.
Così il naturale colore della decisione
al pallido riflesso del dubbio si corrompe
e le imprese più altre, le più importanti, per questo riguardo il loro corso devìano
e perdono anche il nome di azione.

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Altre traduzioni:

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Informazioni su Enzo Contini

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