I miei approfondimenti sul Parco Michelotti e sul suo passato, compreso lo zoo di Torino, mi hanno portato inevitabilmente a ricercare materiale su Enzo Venturelli, architetto torinese di grande inventiva, che ha realizzato l’edificio che ha ospitato il rettilario.
Nel seguito riporto alcune informazioni trovate su Internet relative alle opere di Enzo Venturelli. In particolare, alcune parti relative al Rettilario dello zoo, sono state qui spostate da un mio precedente post del 2013, estendendone il contenuto.
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Su Wikipedia si legge che “Venturelli portò avanti una visione strettamente individuale dell’architettura, che definì negli anni cinquanta del Novecento come Architettura dell’era nucleare o anche Architettura atomica, da lui così definita “perché realizzata in un’era che è dell’atomo”. Sintetizzò poi tali ricerche nel Manifesto dell’architettura nucleare e nell’opera Urbanistica spaziale, dalla quale emerge una visione utopica della pianificazione urbana. I due testi furono elementi importanti del dibattito che all’epoca si sviluppa in Europa sui temi dell’urbanistica e dell’architettura“.
Nel sito dell’architetto Eraldo Como si trova poi il seguente profilo biografico interessante (scaricabile anche come pdf): “a cura di Eraldo Como in “Albo d’onore del Novecento – Architetti di Torino” – CELID 2002
A soli diciassette anni Enzo Venturelli frequenta già lo studio dell’ingegnere Arrigo Tedesco Rocca, lo stesso studio presso il quale lavorò Ottorino Aloisio al suo arrivo a Torino. Dal 1936 al 1940 collabora con diversi professionisti torinesi, tra i quali gli architetti Melis e Demunari.
L’avvio della sua autonoma, intensa attività si data all’inizio degli anni Quaranta. Tappe fondamentali sono le realizzazioni del teatro Principe (1945), demolito nel 1994, della sala da ballo Eden (1947-48), della casa-atélier dello scultore Mastroianni (1953-54), dell’acquario-rettilario al giardino zoologico di Torino (1957-60). Nell’arco di vent’anni e prevalentemente attraverso le citate esperienze, Venturelli percorre la propria originalissima concezione del fare architettura. Nel corso del primo decennio, a far capo dall’opera prima – il Teatro Principe – all’interno del filone compositivo razionalista, esaurisce un’esperienza che, pur nel rigore e nella sobrietà, rivela una particolare ricerca di sapore astratto ricca di nuovi ed autonomi elementi formali.
La volontà di collocarsi al di fuori dei rigidi schematismi, già presente nelle opere del primo decennio, porta Venturelli a sviluppare una ricerca tesa ad una forma di architettura fortemente individuale, quella che chiamerà “architettura dell’era nucleare” o “architettura atomica”. Con la casa-studio dell’amico scultore Umberto Mastroianni e con l’acquario-rettilario del giardino zoologico Venturelli concretizza i propri concetti spaziali delle dinamiche volumetriche, del gioco plastico e dell’asimmetria dinamica fondati “su una visione artistico-idealistica dell’architettura” che, con superficialità, da alcuni venne definita visionaria e stravagante.
Se i primi lavori passano quasi inosservati, con la realizzazione della casa Mastroianni, Venturelli riesce a suscitare l’attenzione e l’interesse di giornali e riviste di tutto il mondo. Mentre in Italia il giudizio critico di Zevi rappresenta quasi una scomunica, all’estero il generale apprezzamento colloca Venturelli tra i maggiori rappresentanti delle nuove correnti in architettura..
I contenuti del Manifesto dell’architettura nucleare e le utopie pianificatorie teorizzate nel libro Urbanistica spaziale costituiscono argomenti di discussione in tutta Europa e producono elementi di analisi e di critica negli ambiti dell’architettura e dell’urbanistica.
Purtroppo molta della ricerca di Venturelli non ha potuto concretizzarsi in opere ed è rimasta all’interno dei suoi progetti. Il patrimonio di “architettura disegnata” che ci ha lasciato costituisce comunque una fondamentale testimonianza delle grandi potenzialità della fantasia“.
Interessanti sono anche le considerazioni di Fabrizio Aimar apparse in un suo articolo sulla Architettura atomica e urbanistica spaziale : “L’esterofilia è il peggior provincialismo così commentava Cino Zucchi in un mio recente post a proposito delle ricerche sperimentali in bilico fra omaggio e rilettura critica di alcuni architetti del secolo scorso. Niente di più vero. Specie se, nel cammino, ti accorgi come lo scorrere del tempo dilavi i ricordi dei più e il presente ne dissimuli noncurante la memoria collettiva. Questo è quanto accaduto al brillante architetto torinese Enzo Venturelli, visionario espressionista dell’Italia del dopoguerra. Animato da una grande vivacità culturale verso le arti pittoriche di Spazzapan e scultoree di Mastroianni, elaborò un linguaggio in antitesi al razionalismo del Ventennio ma d ‘avanguardia verso i fenomeni internazionali. Affascinato da Le Corbusier e da Fuller, intravede, nel ferrocemento e nelle superfici bianche del Purismo, i mezzi espressivi per coniare una tettonica nuova ed accattivante. I suoi studi sulla Chiesa Spaziale del 1955 anticiparono la realizzazione del Padiglione Philips del maestro svizzero all’Expo di Bruxelles del 1958 e fecero sobbalzare il grande Bruno Zevi, il quale ebbe difficoltà ad inquadrare la sua piccata Casa-Studio Mastroianni a Torino (1953-55). Fu un susseguirsi di schizzi progettuali di straordinaria freschezza, quali la Chiesa con seminario, la Chiesa dei Vescovi e il sospeso Teatro Tartaruga (tutti risalenti alla metà degli anni ’50). Elaborò teorie rivoluzionarie sulla città contemporanea, stilando un Manifesto dell ‘Architettura dell’Era Nucleare custodita all’interno di una visione urbanistica utopica, fatta di piani per la libera circolazione del traffico e l’evacuazione dello smog. A Parigi, nel 1963, i suoi lavori vennero esposti accanto alle fotografie della Piazza dei Tre Poteri di Brasilia a firma di Niemeyer e suscitarono vasti dibattiti a livello europeo. L’eco dei suoi lavori arrivò anche negli USA, in cui si recò dietro invito nel 1958, e gli venne offerta una cattedra d’insegnamento a Detroit. Venturelli, troppo timido e legato alla sua Torino, rifiutò la carica e diverse commesse estere, riducendosi a Nemo Propheta in Patria.
Come troppe volte accade, spesso i maestri li abbiamo in casa e non ce ne accorgiamo, accecati da una forma virale di esterofilia ingorda e superficialista. …“
Sul n.0 di AfterVille era apparso un interessante articolo di Luisa Perlo:
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Sono riuscito a trovare pochissimo relativamente sia alla sala da ballo Eden (menzionata solo in questo articolo sulle sale da ballo di un tempo) sia al teatro Principe che è addirittura stato demolito nel 1994.
Sul Teatro Cinema Principe, del 1945, ho trovato solo la seguente immagine della facciata esterna (Fonte: “E. Venturelli architetto”, ed. dell’Orso, Torino, 1999, pag. 51). Era una delle sale distrutte in seguito ad azione bellica ed erette nuovamente aumentandone notevolmente la capienza: il Principe aveva ben 1471 posti (fonte: Breve storia dei cinema torinesi, Paolo Poncino, Giulio Bolaffi Editore). si trovava in via Principi d’Acaja 45, Torino, all’altezza di piazza Benefica.Il teatro Principe divenne poi un cinema, mantenendo lo stesso nome. Nel dopo Statuto, quando la crisi divenne più acuta per diversi cinema, il film a luce rossa costituì un’alternativa alla chiusura, ed anche il cinema Principe fece quella scelta prima di chiudere dopo alcuni anni ed essere poi demolito nel 1994.
Non ho ancora trovato alcuna immagine della sala da ballo Eden che si doveva trovare in piazza Statuto sotto ai portici (angolo via Alberto Nota), a sinistra dando le spalle a corso Francia.
Rimangono invece altre testimonianze di edilizia non particolarmente innovativa:
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– Rettilario dello zoo di Torino –
La costruzione, divenuta il rettilario dello zoo di Torino, è un edificio dalla struttura molto particolare: da decenni versa in condizioni di abbandono e meriterebbe di essere restaurato ed adibito ad un uso socialmente utile, quale ad esempio essere sede di un museo. Era apparso non molto tempo fa un articolo su cittAgorà (marzo 2019) che ipotizzava un progetto di museo della marionetta al parco Michelotti e che prevedeva il progressivo recupero di tutti i fabbricati esistenti dell’ex zoo. Si legge: “Nel rettilario – riportato alla sua dimensione originaria, aggiungendo pareti in legno alla struttura oggi rimasta, secondo tecniche di bio-edilizia – verrebbe realizzato il Museo internazionale della Marionetta, che potrebbe ospitare 3.000 pezzi, diventando il museo di marionette più grande del mondo, con spazi anche per la multimedialità ed esposizioni temporanee“. In quell’articolo si dice anche “Nelle prossime settimane la Giunta comunale dovrebbe presentare in Commissione la proposta di deliberazione con le Linee guida per la riqualificazione del Parco, sviluppate in seguito a un percorso di progettazione partecipata. Il documento sarà poi votato dalla Sala Rossa; seguirà quindi un avviso pubblico per la manifestazione di interesse”.
Come sia andata a finire non lo so, ma non mi sembra che nulla di concreto sia stato ancora fatto … 😦

Articolo apparso su cittAgorà (marzo 2019)
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P.S. 2016 – Alcune informazioni erano presenti nel sito del Politecnico relativo all’Architettura del ‘900 in Piemonte, ma non risultano più raggiungibile da Internet: per fortuna tramite i motori di ricerca è ancora possibile accedere ad alcune sue parti tramite alcuni link di condivisione evidentemente creati per accedere a quei contenuti stranamente resi privati (e.g. http://archive.is/bV1CE). Riporto quindi nel seguito anche il contenuto di quelle pagine che merita di essere conservato e reso accessibile a tutti!
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… Il 29 gennaio 1958 la Società Molinar trasmette all’esame del Sindaco un progetto di massima e le relative spese per la costruzione di un Acquario-Rettilario al parco Michelotti. Molto probabilmente anche gli altri edifici che ospitavano altri animali (e.g. giraffa, ippopotamo) furono progettati dal medesimo architetto, sebbene attualmente non ci sia una testimonianza certa: alcuni di questi edifici, seppur meno rilevanti rispetto al rettilario, meriterebbero comunque di essere ristrutturati per trovare nuovi utilizzi.
Il progetto viene affidato all’Arch. Enzo Venturelli . La pianta del complesso ha la forma di una T, il piano dell’Acquario risulta ribassato di circa due metri rispetto al piano esterno del terreno, mentre il piano del Rettilario è rialzato di circa due metri.
Il 28 maggio 1960 viene inaugurato l’Acquario-Rettilario. …
– Da http://www.archi2.polito.it/mostre/01/01_venturelli/acqua.html (link attualmente non più raggiungibile)
La pianta ha forma di T e la superficie coperta è di mq 980. Il piano dell’Acquario risulta ribassato di circa due metri rispetto al piano esterno del terreno, mentre il piano del Rettilario è rialzato di circa due metri. Il fabbricato misura m 22,60 di larghezza e m 49,80 di lunghezza. La fonte principale dell’edificio (rivolta verso l’interno dello Zoo) è alta m 7 e raggiunge, col bordo superiore della pensilina a sbalzo inclinata verso l’alto, m 9,50. Nella facciata vi è una grande vetrata continua, con serramenti di “anticorodal”, delimitata da una incorniciatura rivestita di ghiaia grezza. Superiormente alla vetrata vi è una serie di dentellature con funzione di frangisole che, con la pensilina e la vetrata continua di accesso, formano l’elemento architettonico dominante.
Dall’atrio partono tre rampe di scale, delle quali una, centrale, scende al piano dell’Acquario e due, laterali, salgono al piano del Rettilario. Nel piano Acquario sono disposte dieci grandi vasche e cinque grandi reparti biologici, con la riproduzione degli ambienti naturali terracquei del Mediterraneo, dell’Indonesia e del Congo, ottenuti per mezzo di rocce naturali, terra e trapianto di vegetazione proveniente dai paesi d’origine. I primi due reparti (uno marino e l’altro fluviale equatoriale) sono sistemati, uno per lato, all’ingresso del piano dell’Acquario, seguiti dalle dieci vasche, cinque per lato, metà ad acqua marina e metà ad acqua dolce e da altri due reparti biologici (ancora fluviali-tropicali): il terzo, al fondo della sala è a paesaggio alpestre, per le trote. I reparti biologici hanno dimensioni di circa m 9 * 8 con un’altezza di m 6 dal pelo dell’acqua.
L’apertura di esposizione verso il pubblico è costituita da grandi pareti vetrate dietro alle quali, a distanza di circa 30 cm saranno posti i lastroni di cristallo di 4 cm di spessore per il contenimento dell’acqua. L’acqua è riscaldata con speciali pannelli radianti in acciaio inossidabile opportunamente mascherati; l’aria dell’ambiente è condizionata in base alle temperature dei vari climi. L’illuminazione riproduce la luce solare, l’alba e il crepuscolo. L’acqua marina viene recuperata con la continua filtrazione, mentre quella dolce con un particolare impianto idraulico, è smaltita senza riciclo, data la grande disponibilità d’acqua nello Zoo. Per eliminare l’acqua di condensa sulle grandi vetrate è stato previsto un dispositivo affinchè queste risultino sempre terse e trasparenti. Al piano Rettilario sono disposti dodici reparti dalle dimensioni di m 1,5 * 1,35 e altri quattro di m 2,80 * 1,50, il tutto posto sui due lati. Il pavimento di questi reparti è sopraelevato di m 0,90.
Il riscaldamento per tutte le specie dei paesi caldi è provvisto mediante pannelli radianti collocati sotto il pavimento. Sopra i vari reparti dei Rettili vi è un grande lucernario continuo con comando elettrico delle aperture per il passaggio dei raggi solari durante i periodi estivi. Al centro del piano è disposto un grande reparto adibito a “coccodrillario”, il cui solaio si appoggia lateralmente alle piastrellature e agli architravi degli acquari sottostanti: il sovraccarico raggiunge i 2000 kg/mq dato che la camera è costituita da una vasca per acqua alta 80 cm, e superiore carico di rocce, terra e vegetazione. Oggi l’edificio presenta chiari segni di degrado dovuti all’abbandono e alla nuova funzione di teatro dinamico all’interno di Esperimenta. Sono previsti interventi di recupero e manutenzione da parte del Comune di Torino al fine di crearvi all’interno un teatro.
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Veduta aerea
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Veduta prospettica
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Prospetto anteriore
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Casa del custode
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Veduta prospettica
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Prospetto posteriore
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Il degrado del Rettilario…
Sempre da webarchive si riesce arecuperare parte della sezione relativa a quello che era già allora il degrado di questa struttura che era stata il rettilario. Si legge:
L’acquario-rettilario è costituito da un corpo principale, costruito in calcestruzzo armato, e da un’appendice in muratura, aggiunta successivamente.
La struttura non presenta complessivamente gravi segni di degrado. L’unica importante frattura è quella riscontrabile tra le due porzioni di edificio, dovuta probabilmente ad una cattiva giunzione tra le parti. Questo provoca una progressiva separazione con conseguente fessurazione dell’apparato murario.
Gli interventi, che si sono succeduti nel corso degli anni, hanno lasciato sul rettilario profonde cicatrici: modifiche al paramento murario esterno, inserimento di tubature, stuccature con materiali non idonei si sono addizionate, contribuendo ad un progressivo avanzamento del degrado. Lo scarso interesse, le frequenti variazioni d’uso hanno portato ad interventi successivi, non coordinati da una volontà unica, ma ispirati da motivazioni prevalentemente estetiche ed economiche. Ne è una dimostrazione lo scarso interesse per le vetrate, oggi ricoperte da teli, e la presenza di interventi provvisori.
Il calcestruzzo presenta fenomeni di esfoliazione, erosione, scagliatura dovuti all’azione combinata di vento e pioggia, a cui ha contribuito probabilmente una cattiva messa in opera del materiale.
L’edificio è interessato da una diffusa alterazione cromatica dovuta prevalentemente al deposito di particelle. In corrispondenza della copertura essa è causata dalla presenza di gronde interne alla muratura e, al di sotto dei davanzali, all’assenza di dilavamento delle superfici. Così come, proprio per l’assenza di dilavamento, è possibile notare, al di sopra dei pilastri aggettanti in corrispondenza della facciata posteriore, la presenza di macchie di umidità.
La vicinanza con il fiume contribuisce a creare un ambiente umido, favorevole alla comparsa di manifestazioni biologiche. La presenza di vegetazione inferiore è inoltre sintomo di umidità di risalita. Singolare è la crescita spontanea sul tetto di un arbusto.
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La casa editrice Cromotipia Sormani aveva pubblicato nel 1961 un libretto di 8 pagine dedicato al rettilario dello zoo con mostrato edificio e interno: descrizione del progettista, con planimetrie e 10 foto sia in bianco & nero sia a colori.
Prima della costruzione dell’edificio quel sito era utilizzato come teatro all’aperto. Si legge: “Da teatro a rettilario. L’edificio sito all’interno del parco è costituito da un corpo lineare sviluppato su due livelli, uno seminterrato, caratterizzato da ampie finestre, ha terrazzi e tetti pensili di altezze diverse. Dal 1910 fu un teatro all’aperto che conteneva 1000 posti, con l’avvento dello zoo fu dedicato all’acquario-rettilario“.
Alcune mie foto del 2013:
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http://it.wikipedia.org/wiki/Enzo_Venturelli
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Dal sito degli Archivi dei Musei di Torino:
Da Politecnico di Torino Dipartimento Casa-Città, Beni culturali ambientali nel Comune di Torino, Società degli Ingegneri e degli Architetti in Torino, Torino 1984:
ACQUARIO RETTILARIO (Parco Michelotti)
Edificio a due piani per acquario rettilario allo Zoo. Segnalazione di edificio di interesse documentario, rilevante esempio di architettura per la specifica destinazione, di spiccata connotazione formale e spaziale, singolare testimonianza neoespressionista. Su progetto di Ezio Venturelli del 1959.
« L’Architettura – Cronache e Storia », 1961, n. 66. – Tavola: 50
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Nell’Archivio di Stato di Torino esiste una sezione apposita che contiene progetti di Enzo Venturelli. Nel seguito uno studio per il teatro La Tartaruga degli anni ’50’ che palesemente dimostra la grande creatività ed originalità di questo architetto torinese: (vedi sezione ArTO Sezione Corte | Archivi di famiglie e persone | Venturelli Enzo). Si tratta ci carteggio, disegni e materiale vario (in tutto 184 pezzi) che attualmente non risulta ancora digitalizzato e quindi non è disponibile sul sito dell’archivio. Questo materiale meriterebbe di essere esposto durante una delle mostre che periodicamente l’archivio organizza e rende visibili gratuitamente, così come è avvenuto recentemente, il 13/10/2019, quando ho potuto fotografare (da un tabellone appeso sul muro di un corridoio) il seguente disegno dell’architetto, relativo ad un suo studio per il teatro La Tartaruga degli anni ’50 e mai realizzato: in fondo al post riporto alcuni dei disegni contenuti nella cartella 4 di quell’archivio, pubblicati in una tesi disponibile online.
Spettacolare è questo disegno a china e inchiostri colorati di Enzo Venturelli, che ritrae il medesimo progetto sotto un’altra prospettiva:
Diversi sono gli studi dell’architetto mentre le realizzazioni concrete di suoi progetti sono davvero poche di cui alcune demolite anche in tempi relativamente recenti. In Wikipedia si legge: “Tra le sue opere principali si possono ricordare il teatro Principe (1945, demolito nel 1994), la sala da ballo Eden (1947-1948), la casa-atélier dello scultore Umberto Mastroianni (1953-1954) e, soprattutto, l’acquario-rettilario del giardino zoologico di Torino (1957-1960)“.
Diverse immagini di studi di Enzo Venturelli si trovano sia su una pagina pinterest dedicata all’architetto sia altrove: mostrano studi davvero particolari e innovativi, tanto più se si pensa a quando sono stati disegnati!
Nel 1999 è uscito un libro dedicato all’architetto torinese Enzo Venturelli (1910-1996), il cui archivio privato – progetti, disegni, modelli, dipinti, lettere e documenti – è conservato presso l’Archivio di Stato di Torino. I saggi di Marco Parenti e Angelo Mistrangelo introducono al lavoro dell’architetto nel quadro dell’ambiente culturale torinese degli anni cinquanta, guidano alla lettura delle sue opere, a partire dai primi studi e la casa studio per Mastroianni, e illustrano il manifesto dell’architettura nucleare e le successive teorie rivoluzionarie di Venturelli.
Purtroppo tale libro non risulta neppure più elencato nel sito dell’editore ma si può comunque consultare in una biblioteca (i.e. CIVICA BESSO MARCHEIS DOMENICO DI RIVAROLO (EPO)).
Ho trovato poi libri di/su Venturelli sulla Urbanistica Spaziale:
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Enzo venturelli – opere (1945 – 1986) architettura e pittura (Mario Marchiando Pacchiola (1992) – I Quaderni Della Collezione Civica D’arte Pinerolo Q.3):
Indice / Index:
- Presentazione
- Il sogno della città ideale… – di Mario Marchiando Pacchiola
- Enzo Venturelli e il mondo culturale torinese – di Marco Parenti
- Linee per una biografia – di Francesco De Caria
- L’architetto – di Francesco De Caria
- L’architettura nucleare e l’urbanistica spaziale – di Francesco De Caria
- Il pittore – di Donatella Taverna
- Bibliografia (Archivio arch. Enzo Venturelli: estratti stampa)
La pagina precedente mostra un edificio di edilizia civile in via Altesano angolo corso Cincinnato, la cui facciata è stata recentemente ristrutturata.
Nelle pagine precedenti vengono mostrate alcune opere di architettura funeraria: cappella Bausano (1952), cappella Sabbadini, tomba Sogno-Camandona, complesso monumentale per la famiglia Lurgo.
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– Casa‐Studio Mastroianni –
Di particolare interesse è anche la Casa‐Studio Mastroianni, situata in strada antica di Cavoretto 26, Torino, progetto di Enzo Venturelli del 1954. Diverse immagini di quella casa su pinterest:
Su sito archilovers si legge: “L’edificio è situato lungo la strada antica per Cavoretto e si può osservare nella sua completezza dalla parte opposta della valle sul viale XXV aprile.
La collaborazione tra lo scultore Umberto Mastroianni ed Enzo Venturelli era nata alla fine della guerra quando progettando cappelle funerarie Venturelli prevedeva opere bronzee di abbellimento che venivano realizzate dallo scultore.
All’epoca, le sue opere erano ancora figurative ma già maturava l’adesione all’informale e all’astratto con contatti con l’avanguardia torinese; parallelamente Venturelli elaborava il suo concetto di “Architettura Spaziale” precedentemente indicata come “Architettura Nucleare” così chiamata “perché realizzata in un’era che è dell’atomo”.
Il connubio tra i due artisti genera la ricerca di un edificio che esprima tali presupposti. Essa è la realizzazione dell’edificio abitativo per l’artista e pure il luogo del suo laboratorio.
I primi studi risalgono al 1950, poi concretizzatisi con il progetto finale del 1953.
Non poche furono le difficoltà operative:
a) il ristretto lotto su cui realizzare l’opera che successivamente si amplierà con l’acquisto di un secondo appezzamento di terreno di proprietà del cav. Giovanni Ravetto (interessante è leggere il contratto di opzione in cui viene fissato il prezzo di lire “tremiglioni (sic) netti di ogni spesa… e come da promessa lo scultore mastroianni mi deve fare sensa alcuna spesa il BUSTO di mia persona al naturale GRATIS”);
b) le complicanze dei permessi comunali e le avversità della Commissione Igienico Edilizia;
c) i fondi della committenza diventeranno sempre più esigui obbligando il progettista a rivedere l’intera opera. Il presupposto principale infatti era quello di diversificare la costruzione in due momenti “il caos – origine delle cose” l’abitazione; “la nascita delle cose dal caos primordiale” lo studio, il laboratorio, contestualmente la riproposizione delle asperità esterne anche all’interno dell’edificio.
Per i motivi economici l’opera viene riveduta strutturalmente con l’applicazione successiva delle “esplosioni esterne”. A lavoro ultimato, molte furono le critiche nell’abito locale e nazionale mentre all’estero l’opera venne considerata interessante e dirompente e ora solo negli ultimi anni ha trovato positivi consensi anche nella critica odierna.
L’edificio non venne quasi mai usato da Mastroianni trasferitosi per lavoro ed incarichi in Italia centrale pur rimanendo sempre di sua proprietà; successivamente venne conclusa su indicazioni di Venturelli senza che ne fosse il Direttore dei Lavori.
Attualmente è di proprietà del dott. Giuseppe Garella.“
Cercando informazioni su Internet riguardo questa costruzione, ho visto che è in vendita e sul sito dell’immobiliare ci sono le seguenti foto che mostrano gli interni davvero particolari. La descrizione: “La Casa Studio dello scultore Umberto Mastroianni, progettata negli anni 50 assieme all’architetto Enzo Venturelli, è situata lungo la strada per Cavoretto ed è una villa dal fascino marcato, accentuato dalle forme geometriche volutamente irregolari che non può lasciare indifferenti. La villa di 330 mq circa gode di una vista eccezionale sulla città e sulla collina e si sviluppa su due livelli. Al piano terreno si trova la zona giorno che ha accesso diretto alla terrazza e al giardino circostante e si compone di una cucina molto ampia e luminosa, una sala da pranzo e alcune camere di servizio. Al primo piano trovano spazio il salone che impressiona subito per dimensione e luminosità ed è impreziosito da un panorama mozzafiato sulla collina, uno studio, tre camere da letto e due bagni. Completa la proprietà una depandance di 45 mq circa, composta da un’area living e un bagno“.
Da Quella strana casa sulla collina di Cavoretto – The Light Canvas si legge: “L’edificio è la Casa Studio dello scultore Umberto Mastroianni, progettata per lui da Enzo Venturelli nel 1953. Figlio di Vincenzo Mastroianni e della seconda moglie Luigia Maria Vincenza Conte, Umberto era zio dell’attore Marcello Mastroianni: infatti suo padre Vincenzo aveva avuto dalla prima moglie – Concetta Conte, sorella della seconda – un figlio di nome Ottone, futuro padre di Marcello“.
“Circa 600 metri dall’inizio di via Sabaudia, al bivio con XXV aprile, prendete per Strada Comunale per Cavoretto. 100 metri e se alzate lo sguardo a destra, potrete ammirare la villa“.

Posizione da Google Maps

Vista dall’alto da Google Maps
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– Tesi Contaminazioni tra arte e architettura (Gianluca Bonini – 2012) –
Le informazioni più approfondite su Enzo Venturelli le ho poi infine trovate sulla interessantissima tesi Contaminazioni tra arte e architettura (2012) dell’ing. Gianluca Bonini che risulta disponibile e scaricabile online dal sito dell’Università di Bologna. Contiene tra l’altro si immagini di opere neppure menzionate in altre biografie sia alcuni dei documenti presenti nell’Archivio di Stato di Torino. Vi invito quindi a scaricare e visionare quella tesi che analizza le opere di diversi architetti a partire dall’inizio ‘900. In particolare la sezione dedicata a Enzo Venturelli è da pag. 166 a pag. 208 … un bel po’ di pagine!!!
Riporto nel seguito il testo di quella sezione perchè non vada comunque persa:
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“L’ARCHITETTURA NUCLEARE DI ENZO VENTURELLI
Enzo Venturelli nasce a Torino nel 1910.
A 17 anni è già allievo dell’ingegnere Arrigo Tedesco-Rocca, nel cui studio svolge un precoce apprendistato. Dal 1936 Venturelli collabora, tra i vari professionisti, con gli architetti Melis e Demunari, fino alla laurea che consegue nel 1939.
I primi lavori, che passano inosservati, mostrano chiaramente le influenze del razionalismo. Lo testimoniano opere quali il cinema-teatro Principe (1945), in Via Principi d’Acaja, demolito poi nel 1994, “nella cui limpida composizione echeggiano geometrie neoplastiche e concrete”, e la sala da ballo Eden (1947-48), “bizzarra commistione di
eleganza ed estro eccentrico” (Luisa Perlo, L’architetto nucleare, in “Afterville”, autunno-inverno 2007, pag. 1).
Il cinema-teatro Principe, di chiaro impianto razionalista con alcuni riferimenti al neoplasticismo olandese, senza dubbio si colloca fuori dagli schemi dell’architettura di regime ed ai tentativi di modernismo realizzati in città nei primi anni del dopoguerra.
La facciata è scandita da aperture orizzontali disegnate in un equilibrato rapporto tra i vuoti ed i pieni. Il contenuto rigoroso della superficie piana, i limitati aggetti delle bocche di lupo, le aperture delle piccole finestre unitamente alla parte inferiore degli ingressi
denunciano una ricerca compositiva di sapore astratto risolta con un raffinato equilibrio.
È la casa Mastroianni (1953-1954) a determinare l’affermazione di Venturelli. Progettata sulla collina di Cavoretto per lo scultore Umberto Mastroianni e destinata ad ospitarne anche lo studio, la casa si configura come l’opera che esplicita l’inversione linguistica di
Venturelli: un complesso plastico-dinamico di ascendenza futurista, riflesso della “visione artistico-idealistica dell’architettura” opposta al dettato modernista e alle “abusate forme scatolate lineari e piatte” dell’edilizia dilagante nel periodo postbellico. Si tratta di un’architettura esplosa, di impronta organica, che si connota per i volumi aggettanti
corrispondenti, nelle intenzioni del progettista, a una distribuzione interna più idonea alle esigenze d’uso, pur scontrandosi con le richieste della committenza e l’insufficienza di mezzi.
Casa Mastroianni diviene oggetto dell’attenzione da parte degli ambienti internazionali, ma in Italia Bruno Zevi non esita a stroncarla. Dovranno trascorrere quarant’anni prima che Zevi riveda la propria posizione, definendo Casa Mastroianni “opera stravagante, nel senso positivo del termine, di rottura linguistica che cresce con il tempo”
Per soddisfare le esigenze fisiche e psicologiche della vita moderna, Venturelli lavora a forme dell’abitare per giungere a formulare un’architettura per l’era nucleare: edifici sopraelevati, traffico veicolare sotto la linea di terra, elicotteri in volo, che danno vita a una città che sembra uscita da un film di science fiction di là da venire. Sono presenti forti analogie, sebbene non formali, con la “città nucleare” del Joe Colombo folgorato dal verbo “atomico” di Baj e Dangelo. La mostra parigina all’Office National Italien du Tourisme, nel 1958, segna l’inizio di un successo che solo la ritrosia e la scelta di restare a Torino mancheranno di alimentare. Venturelli incontra il favore di Michel Ragon, scrittore, critico d’arte e d’architettura, autorevole studioso di utopie urbane, e della stampa più accreditata.
Su “Le Monde” André Chastel parla di “un’architettura che risponde ai bisogni del secolo. Questa aspirazione non è nuova”, scrive, “le soluzioni di Venturelli talvolta lo sono”.
Contestualmente alla mostra vengono presentati il Manifesto dell’architettura nucleare e gran parte dei progetti eseguiti fin dai primi anni ’50: abitazioni, edifici pubblici, ville, chiese che saranno alla base dell’ampio disegno della cosiddetta urbanistica spaziale, definizione che darà il titolo al volume edito nel 1960. Nel 1952, anno del Manifesto del movimento spaziale per la televisione, Venturelli firma una Stazione radio-televisiva fatta di capsule sferiche simili a bulbi oculari. Nel 1953 viene concepita l’antropomorfa Villa nell’abetaia, i cui ambienti ovoidali richiamano gli spazi uterini della Endless House di
Frederick Kiesler. Costruzioni con strutture a ponte, un teatro, un padiglione espositivo, una Chiesa spaziale, passerelle sospese, e poi torri a dischi sovrapposti e nuclei abitativi fondati su modelli cellulari che sembrano prefigurare visioni metaboliste come la Spiral Housing di Kiyonori Kikutake o la Nakagin Tower di Kisho Kurokawa, piani sfalsati per “aggregazioni tridimensionali dove la differenza d’uso dei piani permette una maggiore fruibilità degli spazi” che ritroveremo nell’utopia sociale dell’Habitat di Moshe Safdie.
Gli antefatti culturali rimandano alle prefigurazioni urbane di Antonio Sant’Elia e Virgilio Marchi, innestate su una visione apocalittica della città: ammorbata dal traffico, dall’inquinamento, dalla mancanza di spazi idonei alla vita individuale e collettiva, dalla solitudine e dalla nevrosi dei suoi abitanti.
All’accezione “romantica la ville tentaculaire”, tanto sostenuta dai futuristi e buona a suo dire per gli “ideali del borghese cittadino”, Venturelli contrappone una città a misura d’uomo, con “modelli urbani e abitativi in cui separazione fra traffico veicolare e pedonale, il rigoroso rispetto dei principi di soleggiamento, l’aria, la luce diventano il tema dominante nella redazione di immaginari piani urbanistici” (A. Magnaghi, M. Monge e L. Re in “Guida all’architettura moderna di Torino”, Designers riuniti Editori, Torino, 1982). La città di Venturelli, che si caratterizza per una marcata tensione utopica e per la fede nella tecnologia propria del periodo, prelude al filone dell’urbanisme spatial. Secondo la definizione utilizzata negli anni ’60 da Michel Ragon. Un filone che annovera figure come l’altro torinese eretico, Paolo Soleri, impegnato a coltivare la sua immaginazione megastrutturale nel deserto dell’Arizona e il franco-ungherese Yona Friedman, che darà dell’urbanisme spatial una definizione legata al concetto di architettura mobile. Marco Parenti, da anni esegeta dell’opera di Venturelli, ritiene che la locuzione urbanistica spaziale “fosse da tempo nell’aria e che Enzo Venturelli possa essere considerato l’antesignano ideatore di questa terminologia” Ragon e Friedman sono i fondatori, nel 1965, con Paul Maymont, Walter Jonas, Nicolas Schöffer e altri, del GIAP (Groupe International d’Architecture Prospective), che annovera tra i suoi membri Jacques Polieri. Scenografo e teorico della scenografia, fondatore con Le Corbusier dei Festivals de l’art d’avantgarde, Polieri firma con Venturelli il progetto di un Teatro di movimento totale, esposto a Parigi nel 1963, concepito come una forma circolare dinamica.
Venturelli ha definito se stresso troppo “anzitempo”, definizione che spiegherebbe come mai furono poche le architetture da lui progettate ad essere realizzate. Gli edifici di civile abitazione e le ville in Piemonte e Liguria, stabilimenti e ambientazioni non restituiscono lo slancio creativo dei progetti “non realizzabili”. Fa eccezione l’originale acquario-rettilario dello Zoo di Parco Michelotti; ideato nel 1958 e realizzato nel 1960, è considerato dagli specialisti il lavoro principale di Venturelli, ma in seguito al quale la sua speranza progettuale si affievolisce. Negli anni ’70, anche per ragioni di salute, si dedica alla
pittura: lontano da vincoli progettuali, libera visioni di fantascienza pura.
Nel 1975 Raffaele De Grada scrive che “mutanti, cavalieri dello spazio, robot nani, colonnelli galattici sembrano esseri immaginati per vivere nella ‘città futura”, quella che lui aveva sognato.
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– L’architettura scultura di Enzo Venturelli –
Nel 1963 Enzo Venturelli partecipa alla mostra Sculptures Architecturales et Architectures Sculpture allestita alla Galerie Anderson-Mayer nell’ambito della Biennale di Parigi e curata da Michel Ragon e Tony Spiteris.
All’evento prendono parte trentaquattro artisti tra architetti e scultori, provenienti da dodici Paesi, esponendo opere e progetti il cui significato è ben definito dal motto “Il y a autre chose que le cube et le parallélepipède-rectangle!” (Luisa Perlo, Architetture scultoree, in “Afterville”, autunno-inverno 2007, pag. 1).
La mostra intende riunire le più originali declinazioni del rapporto tra linguaggio plastico e architettura di quegli anni, alla base di una nuova tendenza architettonica “organique, vivante”. “Une architecture qui suive un chemin parallèle à l’évolution de la sculpture”, individuando il suo capolavoro nella cappella di Notre-Dame du Haut, realizzata a
Ronchamp da Le Corbusier nel decennio precedente, per Ragon “ne remplacera donc pas forcément l’architecture mathématique.
Mais elle pourra lui apporter un élément concurrentiel toujour profitable au développement de courants nouevaux”.
La lettura del catalogo della mostra (pubblicato per la tappa successiva al Théâtre-Maison de la Culture di Caen) Oscar Niemeyer fa emergere il concetto di un’architettura contraddistinta da una “liberté plastique presque illimitée, qui, au lieu de se plier servillement à des raisons tecniques ou fonctionelles déterminées, constitue, en premier
lieu, une invitation à l’imagination, et qui crée une atmosphere d’extase, de rêve et de poesie”.
É sempre dalla disamina dei contenuti del catalogo che si apprende come per la Chiesa spaziale, ardita struttura “a ponte” concepita per essere realizzata in cemento armato, Venturelli prevede un rivoluzionario rivestimento in materiale plastico bianco. Oltre a
Niemeyer, un capostipite della tendenza in cui Venturelli è annoverato a buon diritto tra gli iniziatori, figurano nella mostra, che concluderà il suo tour al Rotterdamsche Kunstring di Rotterdam, due tra i più illustri fautori della “sintesi delle arti” postbellica.
Fondatori nel 1951 del Groupe Espace – cui aderiranno anche i membri del MAC italiano – André Bloc, campione della scultura architettonica, e Nicolas Schöffer, padre dell’arte cibernetica, affiancano alcuni futuri membri del GIAP: lo stesso Schöffer, Paul Maymont, Ionel Schein, Pascal Haussermann e Jacques Polieri, sulle cui concezioni scenografiche si fonda il progetto di Teatro di movimento totale di Venturelli presentato nell’occasione. Molto di più che una buona compagnia, l’autorevole compagine articola una geografia dei rapporti fra l’opera di Venturelli e la cultura artistica e architettonica transalpina – in particolare con il milieu dell’architecture visionnaire di cui parlerà Ragon – ancora tutta da esplorare.
Dagli archivi della Biennale di Parigi, si riporta il testo integrale della presentazione della mostra” Sculptures Architecturales et Architectures Sculptures” tenutasi a Parigi nel 1963, a cui partecipò anche Venturelli. (Fonte: http://www.archives.biennaledeparis.org/fr/1963/ann/sculptures-architectures.htm) :
Biennale de Paris,1963
Sculptures Architecturales et Architectures Sculptures Dans le cadre de la Biennale de Paris, Michel Ragon et Tony Spiteris organisent, à la Galerie Anderson-Mayer, une exposition de : “Sculptures Architecturales et Architectures Sculptures”, c’est-à-dire de
sculptures pouvant servir de point de départ à un architecte pour une architecture organique, vivante. A ces travaux de sculpteurs s’ajouteront des maquettes et photographies d’architectures qui auront été pensées comme des sculptures, telle la chapelle de Ronchamp de Le Corbusier.
Le sculpteur pourra ainsi contribuer a rompre la monotonie de trop de bâtiments modernes en inventant des formes lyriques. Les sculpteurs donnent libre cours a leur imagination sans penser a priori au fonctionnel : c’est l’architectecte qui, par la suite, rend la sculpture fonctionnelle. Costas Andréou – André Bloc – Chavignier – Couzyn Shamai Haber – Kosice – Bernard Luginbuhl – Alicia Penalba Carlo Ramous – Nicolas Schôffer – Aline Slesinska – Pierre Szequely – Marino di Teana – Enzo Venturelli.
Seront également représentés : Gaudi – Saarinen – Wright.
Galerie Anderson-Mayer, 15 rue de l’Echaudé, 75006 Paris Exposition du 19 septembre au 12 octobre 1963.
Vernissage le jeudi 19 septembre de 18h00 à 21h00.
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– Le prime opere e la casa studio per Mastroianni –
Dopo un periodo di collaborazione e di apprendistato presso alcuni studi di ingegneria, nel 1940 Enzo Venturelli apre un proprio studio in Torino, progetta e realizza nel 1945 il cinema teatro Principe.
Analogo rigore si riscontra nell’allestimento realizzato nel 1946 del negozio Alcedo in Via Santa Teresa angolo Via dei Mercanti, anch’esso demolito, uno dei primi e pochi lavori di architettura degli interni che Enzo Venturelli risolve con attenti studi sulle luci artificiali interne e sulla composizione degli spazi espositivi.
Su di un impianto spaziale contenuto, l’architetto imposta i volumi in modo integrato evitando frapposizioni per meglio valorizzare gli ambienti arredati con sobrietà.
La villa Ramello del 1950 a Pieve Ligure è un altro esempio di architettura misurata, anche se quest’opera sono presenti i primi germi dei nuovi elementi formali che lo discosteranno dal filone razionalista.
Dopo questo periodo Venturelli predispone progetti che abbandonano il filone compositivo razionalista per sviluppare connotazioni diverse tese ad una forma di architettura che poi chiamerà “dell’era nucleare” volendosi collocare al di fuori degli schematismi formali dell’epoca per una protesta “contro l’immobilismo sordamente e rigidamente funzionale e razionale limitato alla sola speculazione privo nella
maggioranza dei casi di ogni immaginazione e sentimento dell’arte architettonica” (Enzo Venturelli “Note biografiche”, Torino, 1988, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999).
Molto scalpore suscitò appunto la casa per l’amico scultore Umberto Mastroianni costruita tra il 1953 e il 1954, definita da Roberto Gabetti “tipicamente eclettica in senso stilistico” (Roberto Gabetti, “Eclettismo a Torino”, in “Un’avventura internazionale Torino e le arti”, Ed. Charta, Milano, 1993) che farà discutere il mondo culturale torinese e innescherà una lunga polemica tra l’autore e Bruno Zevi, risoltasi poi nel tempo con dichiarazioni epistolari di reciproca stima e simpatia per la coerenza del proprio lavoro (epistolario Bruno Zevi conservato presso l’Archivio di Stato di Torino).
Diversa accoglienza avrà assieme ad altri progetti quando verrà presentata a Parigi nel 1958.
L’edificio chiarisce in concreto le tesi di Enzo Venturelli sull’ “urbanistica spaziale”, anticipate nel manifesto dell’architettura dell’ “era nucleare”. Il progetto suscitò avversità nell’ambiente professionale dell’epoca, ma fu approvato dalla commissione edilizia i cui esponenti avevano quanto meno larghe vedute. Quando venne ultimato suscitò molte discussioni, ancora oggi non cessate. Tant’è che non viene nemmeno menzionato
nelle successive pubblicazioni riguardanti le realizzazioni architettoniche torinesi (7A. Magnaghi, M. Monge, L. Re, op. cit.), a differenza dell’acquario rettilario costruito
nel 1962 che ebbe maggior fortuna nella sua divulgazione (Sergio Polano “Guida all’architettura moderna italiana del’900”, Ed. Electa, Milano, 1991).
Per problemi soprattutto economici, il committente non accettò che la pianta rispecchiasse l’aspetto asimmetrico e movimentato dell’esterno che Venturelli propose in prima istanza. Nel progetto finale, quindi, la pianta non riserva nessuna sorpresa formale e si presenta cioè alquanto contenuto nella sua elaborazione compositiva, a differenza
del pensiero dell’architetto, secondo il quale un’architettura deve essere coerentemente rappresentata in tutte le sue parti.
L’esplosione dei volumi vuol essere la rappresentazione del caos che poi però sarà regolamentato con nuove formule dall’uomo in nuovo modo di intendere la composizione volumetrica dell’architettura coerente con il tempo e le ultime novità tecnologiche. I blocchi non sono più assemblati per esigenze distributive, ma sono volumi che stabiliscono un nuovo rapporto tra la possibilità d’uso dello spazio, fuori dai “significati esclusivamente decorativi come lo erano per il passato”19. Un insieme di volumi, quindi, che intersecandosi tra di loro rappresentano un nuovo dinamismo compositivo cancellando “le pedestri masse a cassoni” (Enzo Venturelli, da Annotazioni sulla villa Mastroianni, novembre 1988, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999 ). Tali dinamiche volumetriche sono poi anche riprese con la decorazione delle parti piane delle facciate con disegni che riproducono le asperità delle pareti stesse.
Questa convinzione è appunto fondata “su una visione artisticoidealista dell’architettura: a ogni tempo corrisponde uno Zeitgeist, e dunque un tipo di architettura”. Così Venturelli proclama la fine del periodo moderno e la nascita dell’era nucleare, e presenta la sua
“espressione d’arte conseguente”. La sua lettura storica dell’attualità era certamente incardinata al tardo idealismo di Benedetto Croce, con il quale Venturelli ha a lungo corrisposto. Alle radici della sua poetica, profonda, istintiva, sta certo la sua amicizia con Mastroianni, con Spazzapan: Venturelli del resto amava considerarsi un artista, accanto ad altri. Se i suoi primi lavori passano abbastanza inosservati, così non può dirsi per la casa Mastroianni, che suscita un fortissimo interesse su giornali e riviste di tutto il mondo
(“The Architectural Forum”, “Newsweek”, “lnformes de la Construccion”, ecc.): Mastroianni, che aveva collaborato con Mollino al monumento per la Resistenza al cimitero di Torino, si era rivolto, per avere una casa “sua”, anche e proprio nel gusto d’arte, a Enzo Venturelli, suo coetaneo.
Ma se la critica di Zevi poteva valere in Italia quasi come una scomunica, la vivace fama di Venturelli continuava ad alimentarsi in Francia: la mostra a Parigi, il richiamo di Ragon, nel suo “Les cités de l’avenir” del 1964, al volume “Urbanistica spaziale”, il progetto per il
teatro di movimento totale, esposto in una mostra collettiva a Parigi e a Coen poi ripreso in alcuni articoli francesi, e infine la partecipazione a un’ultima mostra collettiva, a Parigi di “Sculptures architecturales” (Benedetto Camerana, note a margine dell’articolo di Roberto Gabetti e Aimaro Isola in “Echi fuori d’Italia: architetture a Torino”, in “Un’avventura internazionale Torino e le arti”, op.cit. ).
In una relazione all’edificio, Venturelli così scrive: “Nel1953 quando fu progettata la casa studio per lo scultore Mastroianni, dilagava nel mondo un intenso sviluppo edilizio, architettonicamente scheletrico e freddo con l’attenuante del funzionale e razionale, ma che in effetti voleva soprattutto raggiungere un risultato speculativo dimenticando che l’architettura non è solo una funzione di esigenza di vita materiale, ma anche una funzione spirituale.
La casa studio dello scultore Mastroianni, fu da me studiata e realizzata in opposizione a questo comodo sistema edilizio dalle abusate forme scatolate lineari e piatte per dimostrare che si potevano raggiungere opere più conseguenti all’architettura del nostro tempo.
La disposizione dei locali ha dovuto seguire le esigenze di vita e di lavoro dello scultore in un limitato spazio (il regolamento municipale collinare di Torino non permetteva di costruire più del sesto dell’area del terreno a disposizione) e quindi non si è avuta la possibilità di una disposizione più articolata e funzionale dell’edificio.
La costruzione è situata in una zona collinare della Regione Cavoretto di Torino, si accede a mezzo di una scalea pubblica a strada privata carreggiabile. Dalla scalea si raggiunge un piazzalino anteriore alla costruzione a quota del piano terreno. La strada privata porta al piano dello studio dello scultore per l’accesso e l’uscita del materiale statuario.
La strada prosegue poi internamente la proprietà con una rampa che porta all’autorimessa ricavata retrostante alla costruzione e alla quota del piano terreno.
La costruzione ha due piani: il primo piano terreno e seminterrato nel quale sono disposti i locali di servizio ed una sala di esposizione per lo scultore, al piano primo vi sono i locali di abitazione e lo studio dello scultore stesso. Parte del primo piano è ricavata a sbalzo con un aggetto di mt 4,50, ed è estremamente movimentata da piani variamente inclinati tagliati orizzontalmente dalle finestre rivoltanti al soffitto dello sbalzo mediante un complesso ordinato a masse uniformi.
Per equilibrare i movimenti dovuti alla struttura a sbalzo le mensole proseguono come travi attraverso tutta la manica e sono ancorate al muro posteriore. Le travi dello sbalzo del solaio di copertura sono rovesce, pertanto si ha la copertura piana con i risalti delle travi. L’estremità delle mensole dei due solai a sbalzo sono collegate da pilastrini verticali e quindi i due ordini di mensole lavorano solidamente.
L’intendimento era di avere una struttura costituita anziché da due solai a sbalzo tradizionali da due solai a vari piani inclinati a sezione mistilinea formanti uno sbalzo monolitico e collegati anteriormente e verticalmente pure da pareti monolitiche sempre formate da vari elementi a piani inclinati in cemento armato. Al disarmo la forma di questi elementi ai piani variamente inclinati di pareti e soffitti si sarebbe così ripetuta all’interno formando così una nuova ed anche suggestiva ambientazione.
Per ragioni economiche (tutto l’arredamento avrebbe dovuto essere conseguente) il committente rifiutò tale soluzione e si dovette recedere da questa articolata intenzione strutturale architettonica, eseguendo i due sbalzi indipendenti a struttura tradizionale con l’irrigidimento dei bordi esterni a mezzo di pilastrini” (Enzo Venturelli, “La casa studio dello scultore Mastroianni”, Torino, 1958, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999).
Questo progetto sollevò diversi commenti critici a Torino e in tutta Italia, soprattutto per il nuovo modo di concepire lo spazio e il suo impatto sul territorio, ma di diverso contenuto: alcuni non ammettendo che venissero stravolte le più elementari leggi della composizione
architettonica, altri non accettavano una visione utopistica dell’architettura non supportata da validi presupposti quanto meno giustificati. Venturelli diventò comunque un architetto di spicco, grazie all’apprezzamento da parte delle correnti moderniste, che
considerarono positivamente il progetto.
Quarant’anni dopo la sua costruzione, Bruno Zevi ne rivalutò il giudizio con una considerazione assai lusinghiera: “… lei può esultare per il fatto che la casa Mastroianni resta come opera stravagante, nel senso positivo del termine, di rottura linguistica che cresce con il tempo” (da epistolario Bruno Zevi).
La mostra di Parigi e il manifesto dell’architettura nucleare Terminati i lavori di casa Mastroianni e presentato, nel 1957, il progetto per l’ingresso al traforo del Monte Bianco e annessi servizi di frontiera, poi non realizzato, Enzo Venturelli termina l’elaborazione del suo manifesto sull’architettura del periodo nucleare. In seguito ai cambiamenti della società dopo il conflitto mondiale, sente l’esigenza di elaborare in modo programmatico un documento frutto dei suoi personale pensieri e concezioni sulle funzioni dell’architettura.
“L’architettura moderna con la sua esasperante nudità si è portata ormai all’estremo limite di espressione e saturazione. L’architettura funzionale-razionale ha dato quanto doveva e poteva dare e non potrà trovare altri elementi nuovi salvo che ripetersi, in quanto l’epoca moderna attuale si è ormai storicamente compiuta. […]
Così, l’era moderna, iniziatasi dalla Rivoluzione Francese, si esaurisce alle soglie dell’attuale formidabile periodo delle scoperte nucleari. La nostra vita, le nostre forme sociali, cambieranno ancora, useremo altre forme di energia, ed anche l’arte userà un altro linguaggio: così in architettura. […]
L’architettura deve per l’avvenire rispondere ad una attenta accurata esigente richiesta anche del tema architettonico esterno, lasciando all’architetto piena libertà di ispirarsi alla sua cultura artistica, senza legami e senza vincoli a tema. […]
I nuovi e trasformati elementi architettonici della futura architettura nucleare, realizzeranno una espressione architettonica più elevata, ispirati alla nuova vita sociale fondata su temi preminentemente scientifici, caratteristici della nuova era umana. […]
In un prossimo futuro le città dovranno avere “aree aperte intermedie fra i piani” in modo da ottenere la possibilità di esercizi fisici, specialmente per i bambini, attualmente prigionieri urbani. Aree aperte di soggiorno permettere il contatto fra gli esseri umani. […]
Anziché il risultato di blocchi chiusi pigiati di alloggi, questo nuovo sistema di costruzione a piani staccati, otterrà il risultato di appartamenti a ville in città. […]
Si eviteranno i ristagni d’aria viziata attualmente stagnanti nelle vie urbane e si aprirà maggiormente la visione spaziale. I fabbricati al piano terreno saranno aperti in modo da non intralciare il traffico dei veicoli. Al primo piano vi saranno gli uffici i negozi e il convogliamento del movimento pedonale; i fabbricati al primo piano saranno collegati con
passerelle sulle vie, in ogni qual tratto e, dove occorra, saranno disposte scale mobili o fisse di collegamento al piano stradale. viene così finalmente risolto l’immane incongruente e pericoloso traffico congestionato di pedoni e veicoli convogliando gli stessi su due piani.
Con il convogliamento del traffico su due piani si arriva ad una logica soluzione evitando ingenti opere e spese per la creazione delle metropolitane sotterranee. […]
I vuoti fra i piani saranno in corrispondenza ai pieni dei fabbricati fronteggianti, in modo che i piani d’abitazione avranno sempre vista aperta fra i vuoti dei fabbricati fronteggianti. […]
Per ottenere questi scopi è inteso che i regolamenti edilizi dovranno essere ancora modificati, e non più come attualmente limitati ad un insufficiente argine alla speculazione edilizia. […]
Il problema dell’edificio urbano è un tema di interesse pubblico che non deve essere liberamente abbandonato nelle mani della speculazione col rischio che anche nell’era nucleare, dove l’uomo sicuramente affronterà anche gli spazi cosmici, si dovrà continuare a rivivere in deprimenti agglomerati di abitazioni.” (Lettera dell’ arch. Enzo Venturelli a proposito del “manifesto dell’architettura atomica”, in “Atti e Rassegna tecnica” n. 4, aprile 1958, Società degli ingegneri e degli architetti, Palazzo Carignano Torino, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 24.)
Tale documento, in seguito ad un fraintendimento dell’editorialista che non aveva forse ancora ben inteso la differenza tra esperimenti di tipo atomico e nucleare, fu pubblicato come manifesto della “architettura atomica”. Ciò nonostante, all’interno vi sono tutti gli elementi che successivamente Enzo Venturelli meglio elaborerà nella visione più ampia della città.
“Quasi a gara con quelle grandi correnti funzionaliste che assumono acriticamente ed in modo schematico le idee dei sociologi e degli igienisti del principio del ‘900 trasformandole tout court in norme di comportamento per i progettisti, sulla scia delle ipotesi di Tony Garnier e Le Corbusier, e nella fiducia di una prorompente gestualità plasmatrice di forme e spazi non aliena dalla cultura figurativa torinese di Spazzapan e Mastroianni, Enzo Venturelli, propone modelli urbani ed abitativi in cui separazione tra traffico veicolare e pedonale, il rigoroso rispetto dei principi del soleggiamento, l’aria, la luce diventano il tema dominante nella realizzazione di immaginari piani urbanistici” (A. Magnaghi, M. Monge, L. Re, op. cit.).
L’architetto torinese venne poi viene invitato a Parigi nell’aprile del 1958 presso l’Office National Italien de Turism, ad esporre le sue opere.
Jerome Mallquist che così presenta i suoi lavori: “Il y a peu de temps que deux conception sont dominé en architecture contemporaine: l’architecture fonctionelle-rationelle et san antihése affermissante que la forme d’un édifice doit se déterminer par sa situation du milieu et naturelle. Les adhérents à la première thèse ont soutenu qu’on doit respecter une rigidité et une nudité presque géométrique et que l’édifice doit révélerses structures sans déguisements. Des autres, en soutenant la deuxième opinion, ont affirmé qu’un édifice devrait sa forme relativement à san manière d’exploiter les caractéristiques du milieu de cette localité. […]
Ce pendant peu d’architects se sont dédié à l’étude des exigence de l’ère nouvelle dans laquelle le mond est entré violemment en 1945. À ce point an doit insérer la contribution de l’architecte turinois Enzo Venturelli qui très courageusement formule ce qu’ilappelle le style du “temps nucléaire”. […]
La versatilité de cet architecte se développa graduellement démontrant un grand esprit créateur en anxieux développement. […]
En 1953, le très connu sculpteur Mastroianni, lui donnait complète liberté pour lui projeter sa maison-atelier sur la colline turinoise. Cette construction fut définie une “explosion” et elle répond à cette definition puis qu’il y a annulés tous les concepts architectoniques précédents, employant des plans et des angles interrompus, chose pas de tout commune. Cette construction produisit en architecture un movement parallèle à celui post-futuriste en peinture.
Mettant en relief ces nouvelles formes, il met en relief aussi des autres conceptions: il soutient que dans l’ère nucléaire l’architecture doit se renouveler.
Les conditions de la vie d’aujourd’hui, il pense, exigent facilité de mouvement. Notre monde n’est plus statique. Mais comment est-il possible, si les rues rèstent semblables à des vallées bloquées de tous les deux còtés par des édifices, que le traffic réussisse à éviter la congestion dans ces fentes pareilles à des tranchées? Venturelli, en hasardant une solution radicale, propose que le movement urbain soit complètement libre de constructions et un nouveau type d’édifice soit adopté. Ces nouveaux edifices qu’il propose, sauf les pilastres de support, laisseront le sol urbain libre, et il sauront les étages souperiors detaches en manière de laisser des espaces libres pour séjour à l’ouvert et une plus grands liberté. En meme temps rejoinder une plus ample vision de l’espace actuellement fermée par les rideaux à bloc des édifices. On peut ainsi facilement imaginer camme la ville modern serait transformée dans san aspect.
Pour obtenir toujours un plus facile libres mouvement des véhicules sur le sol urbain, Venturelli propose aussi que les edifices representatives soient réalisés avec des structures de soutènement à pont.
Sur un de ses plans, par exemple, cette idée est évidente dans un théatre à forme d’un grand armadille, dans lequel précisément la structure à pont permet une libre circulation au sol, liberté de movement qu’aujourd’hui est essentielle.
Il prévoit aussi un futur avec des édifices qui devront s’éléver détachés du sol. S’éloigner en hauter de la zone des bruits et de l’ai rvicié à cause du trafic, pour rejoindre dans les habitations des visions de l’espace en panoramiques. […]
Si toutefois il est un inventeur de plans, d’autre part il présente des affinité avec les innovations architectoniques de Sant’Elia, qui projeta des nouvelles solutions aux problèmes du 1914. Pendant qu’il se différencie des autres pour le fait de s’etre dédié à resoudre des problèmes placé là où c’est urgent et nécessaire une nouvelle adaptation à la vie d’aujourd’hui, problèmes qui sont d’énorme complexité.
Camme résultat il nous donne une direction, une parole et une solution si audacieuse et courageuse, de nous induire à la réflexion et à réexaminer nos actuels sentiments. Certaiment cet architecte sera destiné à devenir le précurseur de cette nouvelle architecture” (Jerome Mallquist “Architecture prophétique de Turin”, Parigi, 1958, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 25).
La mostra, presentata successivamente a Milano e a Torino nello stesso anno, non suscitò lo stesso interesse e dibattito critico che si ebbe a Parigi.
Non poteva che essere la capitale della Francia, città dal valore internazionale nel campo dell’arte e dell’architettura, ad accogliere con interesse l’opera di Venturelli. La mostra ebbe infatti un successo internazionale ed ebbe molte furono le recensioni positive sulle
“proposte profetiche” di Enzo Venturelli. Il suo lavoro di architetto-urbanista venne apprezzato per la qualità dissacrante ed innovativa che avrebbe posto le basi per avanguardie degli anni a venire.
A differenza di quanto avvenne in Italia, leggendo le varie recensioni, si ha la convinzione che le sue tesi assai inusuali vennero prese seriamente come ipotesi da cui far partire dibattiti per il futuro delle metropoli: … “de ce qu’il nomme l’architecture”nucléaire”; il faut comprendre une architecture répondant aux besoins du siècle. Cette aspiration n’est pas nouvelle; les solutions de Venturelli le son parfois . … Venturelli a raison de rechercher tout ce qui peut stimuler l’imagination des constructeurs … ” (A. Chastel, Le Monde, Parigi, 25.4.1958, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 27).
“Certes, nombre de formes raramente rencontrées dans le batiment sont de nature à surprendre un esprit non prévenu, mais les intentions de l’auteur apparaissent vite et on lui sait gré d’avoir un tel culte de l’espace, de la lumière, de l’air et de la ”fonction” (A. Larcher, le Figaro, Parigi 14.4.1958, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 27).
… “But it is quite possible that Mr. Venturelli uses all this futuristic sensationalism basically as a bait to attract the curious who, once they are in the exhibition room, cannot help seeing another side of his work – a very serious, very ingenious and very practical conception of what the future city street may have to be” (9A. Sage, New York Herald Tribune, 4.5.1958, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 27).
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– L’urbanistica spaziale e le utopie sulla pianificazione degli anni ’50-’70 –
Nel 1959 Enzo Venturelli pubblica, per i tipi della F.lli Pozzo editori in Torino, il libro intitolato “Urbanistica spaziale”, dove i contenuti e i concetti e nel Manifesto dell'”architettura nucleare” vengono ampliati, fino ad arrivare ad una visione quasi apocalittica: “l’aria della città è ormai irrespirabile, provoca vittime fra le popolazioni nel modo più insidioso, come causa indiretta di morte … Nella città di oggi vi sono inumane condizioni di esistenza di agglomerati privi di sole e di luce di aria e di zone verdi … Le nostre metropoli, viste dall’alto si presentano come una ulcerazione del suolo terrestre: ulcere create dal microbo umano … il costante senso di oppressione e di malinconia causato dall’ossessivo disordine edilizio mascherato dalla regolarità geometrica, le facciate polverose delle sue case, le file interminabili di finestre oscure, i rari alberi anch’essi polverosi creano deviazioni psicologiche” (E. Venturelli citato da Francesco De Caria. In “Enzo Venturelli Catalogo della mostra i quaderni della collezione civica d’arte”, Pinerolo Q30, 1992, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 31.).
Il nuovo modello urbano che propone dovrà modificare le attuali situazioni proponendo soluzioni che però basano i loro correttivi non già sulle modificazioni sostanziali del modo di vita, ma mediante l’utilizzo di grandi strutture, o sfruttamento delle nuove risorse
energetiche.
Negli anni successivi all’ultimo conflitto mondiale, forse sotto la spinta di un rinnovato senso di ricostruzione e di cambiamento dopo le brutalità della guerra, forse in seguito all’avvento delle nuove tecnologie, si sono confrontati su questo tema architetti ed urbanisti di tutti i tempi. Molti si cimentarono nel proporre nuovi modelli di città, alcuni rifacendosi alle teorie del futurismo di Sant’Elia (Antonio Sant’Elia “Messaggio sull’architettura”, Milano, 1914 e “Progetto di una città nuova”, Milano, 1915, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 32), altri, sotto la spinta delle teorie le- orbusiane (Le Corbusier ”Ville contemporaine pour troismilions d’habitants”, Parigi, 1922, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 32), volgendo lo sguardo alle idee dell’architettura razionalista.
Già Sigfried Geidion aveva ipotizzato, in un suo scritto del 1943 sulla monumentalità dell’architettura, che “gli edifici non fossero più concepiti come unità isolata,ma incorporati in schemi più ampi. Non esistono frontiere fra architettura e urbanistica” (Sigfried Geidion “Architecture, you and me”, Cambridge- Massachussetts, 1956, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 32.). La città quindi non sarebbe più un insieme di singole costruzioni collocate su di un territorio a fare la città, ma un insieme di strutture complesse con vocazioni e funzioni diverse ed integrate.
Già intorno alla metà degli anni ’50 su queste ipotesi si sono basate le proposte per la creazione di intere o parti di città, oppure di assembramenti megastrutturali, autonomi quasi città nella città, le cui varie soluzioni visionarie spaziano dai singoli episodi sempre calati in realtà contingenti, o di proposte di città lineari, città regioni, città generali, sino a quella di Mike Mitchell e Dave Boutwell che più tardi, nel 1969 proponevano una città unica che attraversava l’intero nord America ( “Domus”, gennaio 1969, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 32), per giungere alle affascinanti per l’invenzione graficorappresentativa, degli Archigram Group sino alle esperienze dei corsi di Savioli e Ricci presso l’Università di Firenze, negli anni ’70.
Le forme espressive di nuovi modelli di città, verso la fine degli anni ’50, più che guardare ad un nuovo impianto urbano, si limitavano a proporre grandi complessi edilizi inseriti nell’esistente tessuto urbano, prendendo a modello le ipotesi di Le Corbusier, nel piano di Algeri, per strutture autonome di Fort l’Empereure.
Si osserva che queste prime proposte, diametralmente opposte agli esempi realizzati a Rotterdam per ricostruzione del quartiere Lijnbaan, di Bakema e di Van den Broek, partivano da impianti che si collocavano all’interno di un tessuto già esistente, dimenticandone l’esistenza. Queste prime proposte erano strutture complesse, grandi
manufatti poi definiti da Maki “megastrutture.negli anni ’60.
Enzo Venturelli, anticipando queste ipotesi, progetta, proprio in coerenza con le sue tesi sull’architettura nucleare, alcuni progetti che ipotizzavano nel loro interno servizi ed attrezzature tali da rendere l’insieme una specie di molecola urbana richiamata poi negli anni ’60 dalle correnti utopistiche dell’urbanistica visionaria.
Il grande padiglione per esposizione dalla forma poliesagonale estensibile, con le sue strutture a ponte, chiaro esempio di edificio ampliabile per aggregazioni, o il grande teatro poggiante sulle quattro estremità di elementi intersecantisi a cannocchiale o i vari edifici polifunzionali e quelli per il culto religioso, altro non sono che megastrutture in nuce e che nella città del futuro dovrebbero divenire le strutture per non “congestionare il traffico e di non ingombrare altra superficie di città. Le strutture a ponte limitano notevolmente la
superficie di appoggio dell’edificio ed in tal modo conseguono lo scopo […] di un più articolato movimento delle masse” (Enzo Venturelli “L’urbanistica spaziale”, Ed. F.lli. Pozzo Editori, Torino, 1960, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 33).
Nello stesso periodo egli progetta, assieme allo scenografo Jacques Polieri, anche il “teatro di movimento totale,” in cui lo spettatore, in una percezione dinamica dello spazio, è coinvolto nella vicenda teatrale dal movimento simultaneo della scena e della stessa platea. Nella convinzione che il dinamismo contribuisca ad una interpretazione della
vita più moderna (Michel Ragon “Ou vivrons nous demain?”, Laffont Editeur, Paris, 1963, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 33), si tratta di una sorta di ulteriore concezione delle dimensioni spaziali riproposte poi nelle residenze. Questi modi di interpretare lo spazio abitativo vanno considerati come prime ipotesi
per modelli di nuove e vere città.
Louis Kahn, già attorno al 1952, propone ipotesi di nuovi complessi che non interagiscono con la struttura urbanistica della città salvo creare inevitabili impatti, se realizzati, per la grande circolazione come quello del tutto autonomo, montato su strutture nervate diagonali da realizzarsi nel centro di Filadelfia, o come pure la nuova Center City
anch’essa databile attorno agli anni ’52-’58.
Nel 1956 Vladimir Gordeef, ipotizzando che la crescita dell’umanità potesse risolversi con l’acquisizione di ulteriori spazi, concepisce una città da realizzarsi nel deserto del Sahara come proposta per la colonizzazione dei territori irrigabili. Affiancate a queste tendenze di
nuovo tipo di colonizzazione che poi sarà più avanti proposto per avveniristiche città satellitari di cui la fantascienza cinematografica e televisiva se ne impossessarono nelle loro fiction, nacquero le proposte giapponesi di città ad espansione metabolica, con il gruppo Metabolism di cui facevano parte Kikutake, Maki, Otaka che proponevano la creazione di modelli urbani del tutto autonomi a grande scala con altrettanta alta qualificazione tecnologica e infrastrutturale, costruite su un supporto rigido a cui si aggrappavano organismi autonomi che potevano via via agganciarsi o disgregarsi senza intaccare la struttura portante. La città si sarebbe espansa in continua trasformazione secondo dinamiche autonome. Kikutake già aveva proposto con il suo progetto Marine City l’espansione di Tokio sulla baia analogamente anche Kenzo Tange era giunto a questa
soluzione per risolvere il sovraffollamento che la capitale giapponese subiva, ma mentre la proposta di Tange si affidava ad un complesso studio di reti autostradali diversificate e le aggregazioni erano staccate a seconda delle loro funzioni, le ipotesi del Metabolism partivano dalla variabilità spaziale e funzionale con una forte caratterizzazione
dell’organismo metropolitano.
Non mancano in quegli anni proposte di città nuove con previsioni di loro totale autonomia. La città “metro-lineare” di Reginald Malcolmson nel 1957 prevedeva un edificio a piastra continua per le comunicazioni e i trasporti a cui si annetteva una struttura a torre intervallate regolarmente, chiaro riferimento alla villa Radieuse di Le Corbusier, ma anche a quelle di Hilbersheimer già insegnante al Bauhaus attorno agli anni ’30. Questo tipo di città, divenendo essa stessa una interminabile autostrada da cui il traffico è il motivo e la giustificazione, nasceva in funzione del nuovo massiccio uso dell’automobile.
Enzo Venturelli ebbe un diverso approccio che molto più realisticamente, senza ipotizzare fantasiose città nel deserto o ampliamenti a cellule aggregabili, vede una città che, seppur
basandosi su apporti tecnologici avanzati si collochi nell’impianto e nel tessuto delle città esistenti, appare sicuramente più realistica. Contestando le teorie futuriste di Antonio Sant’Elia e partendo da una critica sullo stato attuale della città, egli scrive: “L’immagine romantica della ville tentaculaire che trovò in Antonio Sant’Elia e nei futuristi gli interpreti più ispirati,rientra indubbiamente, con il suo fascino, negli ideali di evasione del borghese cittadino; tanto più pericolosi in quanto spesso fanno sopportare stati di fatto insostenibili e danni incalcolabili in cambio di falsi miraggi di una vita “vissuta intensamente”.
Solo l’illusione di eccitarsi e di stordirsi può far accettare il fatto che la città, il luogo dove si lavora e si vive, diventi caotica fiera, inebriandosi del rumore per sfuggire alla propria interiorità, per evitare gli sforzi di rintracciare se stesso per mezzo di quello che Proust chiama il discorso obliquo interiore,nella pace del raccoglimento che solo l’ordine può dare. Soltanto così si può spiegare la supina accettazione di una vita urbana malsana ed assurda, nella quale si lasciano prevalere gli interessi della speculazione, che ben volentieri appaga i sogni di una città tentacolare, soffocando inesorabilmente le esigenze reali della vita collettiva” (Enzo Venturelli “Urbanistica spaziale”, op.cit. pag. 34).
In tali teorie egli trova però nel contempo i presupposti per un nuovo modello urbano:
“L’ordine di un ritmico movimento, in cui a ogni velocità sia associata una velocità eguale, l’ariosa verde spaziosità delle distanze fra una casa e l’altra, la serena visione di una vitale cui manifestazioni siano smorzate e attutite nell’ordine del reciproco rispetto del diritto di vivere di ognuno; tutto ciò non è un mito irraggiungibile: è quanto un piano regolatore
efficiente può realizzare; ma esiste un ostacolo decisivo contro il quale ogni sforzo d’ordine si infrange: il diritto privato di proprietà.
Proviamo a esaminare attentamente questo problema cruciale. È ovvio che la città, nella sua espansione non può che estendersi nelle campagne circostanti: ciò vuol dire che, data questa espansione graduale, e poiché la proprietà è frazionata in aree già destinate a sfruttamento agricolo, che viene generalmente a cessare quando esse vengono incluse nel piano regolatore indicante le zone di futuro sviluppo della città, e dato che ogni unità di proprietà passa intera com’è nella sua forma al nuovo proprietario che costruirà su di essa, si perviene all’assurdo che una forma di area valida per la coltivazione agricola resta valida anche per una funzione così diversa qual è una costruzione edilizia.
Dapprima si vendono le aree per cui questa trasformazione appare meno disadatta; ma crescendo il valore delle aree poiché il nuovo quartiere vien completandosi, si costruirà anche su quelle inadatte.
Inoltre, per quanto adattabili siano gli appezzamenti di terreno agricolo a questa trasformazione di funzione, il groviglio del frazionamento dei terreni non consente che una unica soluzione urbanistica e la peggiore: gli isolati a blocco chiuso con cortili interni. Questo schema comporta il moltiplicarsi all’infinito di vie e di risvolti angolari, costituendo grave intralcio per chi debba percorrere queste vie con automezzi essendo costretto a rallentare a ogni incrocio, e sacrifica inoltre l’esposizione opportuna degli alloggi alla luce solare.
Orbene, questo sviluppo edilizio rimarrà sempre eterogeneo rispetto alla funzione del traffico la cui disposizione pianificata cozzerà con la disposizione casuale dei fabbricati, per cui il privato entrerà inevitabilmente in conflitto col Comune, dando origine a liti interminabili con enorme dispendio di tempo e di lavoro, come stanno a dimostrare
le numerosissime perizie del giudice, occorrenti per l’apertura di nuove strade dei nuovi ampliamenti cittadini periferici di qualsiasi città.
Il Mumford afferma ironicamente che la standardizzazione a scacchiera del tugurio industriale fu il massimo risultato urbanistico dell’Ottocento.
Tuttavia, nell’opinione comune corrente, il sistema urbanistico a scacchiera gode di ottima stampa; si parla di regolarità, di ordine e di chiarezza geometrica semplificatrice. In realtà, l’unica semplificazione funzionale che si ottiene è quella riguardante l’interesse della
speculazione edilizia, per la quale ogni lotto essendo di forma costante, diviene un’unità come una moneta suscettibile di immediata stima e scambio”. Ciò che più preoccupa Enzo Venturelli, ed è veramente una visione rivoluzionaria nella situazione italiana di quel tempo, è l’ostacolo della proprietà: “Esiste un ostacolo decisivo contro il quale ogni sforzo d’ordine si infrange: il diritto privato di proprietà”.
“È noto che un piano regolatore che non si limiti soltanto a una funzione passiva di remora alle pretese egoistiche individuali, elaborato su di un terreno vincolato dalla proprietà privata, resta inefficiente, perché l’interesse privato prevale sempre, per il semplice fatto che, mentre il privato è spinto ad agire da un concreto vantaggio da conseguire, l’autorità comunale non obbedisce che a un dovere di ufficio. Perciò il suo zelo non potrà bilanciare quello della parte avversa. In congressi internazionali per le nuove costruzioni, e in seno a società di Architetti concretamente operanti sul piano urbanistico, si conclude che “la riluttanza a porre sotto controllo lo sfruttamento del suolo urbano ha reso impossibile un’arte urbanistica veramente costruttiva”. […]
Si può citare inoltre il rapporto urbanistico inglese town and the land (città e suolo), presentato dal Liberal Land Committee nel 1923 che concludeva: “l’urbanistica di oggi è impotente. È chiaro che arte e scienza urbanistica debbono veramente giungere alla realizzazione”. […]
Come palliativo si è pensato alla creazione delle metropolitane. Ma queste non danno il risultato voluto di decongestionamento del traffico, in quanto il traffico pedonale si effettua sempre al livello del suolo urbano dove i cittadini normalmente si riversano, poiché appunto a questo livello sono situati i locali pubblici necessari alla vita quotidiana e
dove, d’altra parte, del pari si svolge il traffico dei veicoli.
Le metropolitane servono unicamente ad un rapido trasporto dei cittadini da un punto ad un altro della città, riducendo solo in parte il numero dei mezzi di trasporto pubblici al suolo urbano, ma non in modo sufficiente, in quanto gran parte delle vie del centro di metropoli come New York, Parigi, Londra ecc., e altre meno grandi città, sono, nonostante le metropolitane, congestionate da veicoli e pedoni. […]
Si potrebbero citare innumerevoli altre proposte che tentano di risolvere i problemi della città moderna; ma comunque queste soluzioni, come tutti gli schemi delle città ideali, restano soltanto utopie e trovano rare applicazioni, poiché si deve tener conto del fatto che l’uomo solo gradualmente e lentamente rinuncia alle proprie abitudini e alle proprie immediate necessità sociali, in quanto la città così com’è attualmente, rappresenta il suo concetto di vita e nella città si accentra il mondo sociale economico e culturale, appunto perché essa addensa molte funzioni su poca area, consentendo rapidi scambi. […]
Anzi, per quanto riguarda i nuovi e futuri quartieri previsti nelle zone in ricostruzione e negli ampliamenti periferici dei centri urbani, dobbiamo constatare sgomenti come gli attuali e ultimi piani regolatori non tengano sufficientemente conto del congestionamento del traffico e dell’addensamento residenziale, insistendo nel disporre questi ampliamenti con il solito schema a scacchiera degli isolati quadrangolari a blocco chiuso, che riduce a ben poca cosa l’area libera del traffico. […]
D’altra parte bisogna riconoscere obiettivamente che tutti gli studi del passato e del presente non hanno ancora portato del traffico, “conciliandola con i diritti di proprietà privata urbana”.”
Venturelli prevede che si debba superare la disposizione a scacchiera degli isolati che le aree per il traffico vadano ampliate e che i nuovi tipi di localizzazione siano superati. Occorre poi trovare formule che consentano con meno trauma possibile il passaggio di nuove aree dalla proprietà privata al demanio pubblico.
“La città futura dovrà essere, oltre che sana e luminosa, alberata non solo orizzontalmente, ma anche verticalmente, igienicamente efficiente per la vita sociale umana. Dovrà dare al pedone la possibilità di muoversi agevolmente e tranquillamente senza apprensioni e tensioni nervose dovute al traffico dei veicoli, e, fattore importante, evitargli il pericolo della respirazione diretta delle polveri e gas di scarico prodotte dal traffico dei veicoli medesimi, e inoltre conferire alla circolazione tranquillità e sicurezza.
Dovrà permettere infine una soddisfacente aerazione e assoluzione delle vie mediante una nuova edilizia che sia permeabile all’aria e alla luce: raggiungendo un tale fine, molti mali del secolo troveranno rimedio. […]
Per risolvere il conflitto esistente fra le esigenze del traffico e quelle derivanti dalla proprietà privata, il nuovo Piano prevede: a) Spostamento “in altezza delle aree private” mantenendole nella stessa zona.
) “Le aree stesse saranno poste parallelamente, in modo che i futuri edifici siano anch’essi disposti paralleli e orientati secondo il diagramma della luce solare”.
L’area del suolo urbano sarà completamente libera anche per tutta l’area sottostante i fabbricati, i quali occuperanno lo spazio necessario ai soli pilastri di sostegno. I piani di questi edifici saranno staccati l’uno dall’altro con terrazze intermedie e fasce a giardini alberati continui a tutti i piani, realizzando in tal modo una nuova edilizia non più chiusa da murature continue.
Il traffico pedonale si svolgerà al primo piano e quello dei veicoli al suolo urbano. Per ottenere la liberazione delle aree urbane di proprietà privata che dovranno essere adibite unicamente al traffico e ai servizi pubblici, occorrerà che i Comuni, previo censimento delle aree comprese nelle zone dei futuri ampliamenti urbani periferici, con la stesura di un nuovo Piano Regolatore, stabiliscano che le aree predette adibite a costruzioni urbane si trasformino, da aree di proprietà privata, unicamente in “diritti di costruzione”; diritti da esercitarsi in altezza a partire dal primo piano – o comunque dall’altezza minima di circa metri 5,50 dal piano del suolo – restando fermi i diritti alla cubatura costruibile consentita dagli attuali Regolamenti Edilizi”.
Anche Yona Friedman, fondatore del gruppo Geam, senza porsi problemi formali, ma solamente contenutistici, nel 1959 progetta metropoli che crescono come insediamenti tridimensionali su griglie a più piani sorrette da tralicci capaci di realizzare così una città aerea con l’uso del suolo sottostante per la conservazione del verde e degli agglomerati già esistenti (Yona Friedman, “Teoria generale della mobilità”, su Casabella n. 306, Milano, 1966, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 38). Si tratta di strutture da adattarsi progressivamente alla trasformazione della vita contemporanea, per rispondere alla sempre più incessante necessità di spazi per la crescita demografica e migratoria delle città. La sua idea fondamentale “l’urbanism mobile” che si ripresenta puntuale ad ogni sua nuova proposta, si basa essenzialmente sul connubio mobilità e mutazione che, come afferma Reyner Banham, lo pone in un certo senso in una posizione simile ai metabolisti. In altre parole il fruitore potrà sempre scegliere la propria abitazione modificandola nel tempo e collocandola nella struttura portante a suo piacimento che permette così un uso più libero e più democratico della città.
Enzo Venturelli, considerando quali elementi di impedimento i problemi della proprietà fondiaria, trova comunque più importante risolvere i problemi dell’espansione con meccanismi meno utopici e cerca di individuare alcuni correttivi di tipo specificatamente sociale. […]
Il Piano Regolatore che io propongo, porta in sé “la modifica dell’uso del diritto di proprietà”, rendendosi in tal modo operante. Poiché i fabbricati dovranno essere allineati secondo un tracciato continuo, il Comune trasferirà i “diritti di costruzione dei proprietari, negli spazi in altezza” sui quali il Comune potrà esercitare i “diritti di collettività”. In cambio gli spetterà il terreno che il proprietario deve cedergli per inserirsi nel Piano
Regolatore.
Ciò vuol dire che quando si acquisterà un terreno, non si potrà più pretendere di costruire proprio su quella medesima area, ma si libererà semplicemente il suolo dai diritti di proprietà privata, restituendo al Comune quei tanti mq oggetto della compravendita effettuata, che a sua volta, il Comune trasformerà in diritti di costruzione in mq.
Naturalmente ciò implica la necessità di stabilire, una volta per tutte il valore di questa equazione che fa corrispondere al valore di ogni mq acquistato, un certo numero fisso di metri cubi che saranno utilizzati dal privato come diritti di costruzione.
Tale valore non dovrebbe risultare molto diverso da quello attuale, considerando le altezze massime in media consentite presentemente e dato anche che lo spazio perduto dal costruttore a causa dei vuoti fra i piani viene compensato ampiamente dallo spazio dei cortili attualmente male utilizzati. […]
I vantaggi di questo piano diventano evidenti, quando si pensi che non si avranno più terreni danneggiati o smembrati per l’apertura delle vie, o comunque sminuiti da imposizioni di minimi di cubatura attualmente in uso e inoltre non si verificherà più la necessità di espropriazioni per pubblica utilità, ma soltanto lo spostamento di diritto per pubblica utilità. […]
Queste città lineari, sviluppate in altezza in lunghezza, vengono previste con sfasamenti dei piani così da assumere aggregazioni tridimensionali dove la differenza d’uso dei piani permette una maggior fruibilità agli spazi interni e offre un ipotetico continuum con la città a ville contigue in ogni piano, tuffate nel verde, considerando però i vantaggi dei servizi propri degli edifici a multipiani. […]
I vuoti fra i piani permetteranno una compenetrazione dell’atmosfera e delle masse murarie, raggiungendo il fine di migliorare l’aerazione delle vie oltre che offrire più aperte visioni spaziali attraverso gli edifici.
Si avrà inoltre lo sfruttamento della luce solare dall’alba al crepuscolo, poiché i vuoti fra i piani permetteranno il passaggio dei raggi solari attraverso gli edifici, escludendo zone d’ombra assoluta, come si riscontra nell’attuale sistema edilizio con fabbricati a blocchi chiusi.
I giardini a terrazzo con grandi alberate, costituiranno una fasciatura verde multipla continua nel senso orizzontale e verticale dell’edificio, isolando i fabbricati dal pulviscolo. Inoltre, si otterrà un notevole vantaggio estetico dovuto a una espressione architettonica maggiormente articolata negli edifici non più chiusi nella loro massa a murature continue, le quali nella maggior parte dei casi denunciano e creano monotonia.
I cortili, come si trovano nella tradizione sino ad oggi, scompariranno, ma si avranno ugualmente aree cortili, moltiplicate e trasposte in altezza ai vari piani (Enzo Venturelli “Urbanistica spaziale”, op.cit., pag. 39).
Lo sviluppo per aggregazioni, continue, modulari è tipico delle ipotesi delle città lineari e di altre tesi utopistiche degli anni successivi, che però rimane ancora legato alla concezione della zonizzazione con una netta separazione tra i ruoli di fruizione. […]
“Le zone che saranno destinate ai servizi pubblici: scuole, teatri, municipi, ecc., potranno avere estensioni variabili a seconda delle esigenze della nuova zona e della disposizione del nuovo piano. Il traffico dei veicoli non potrà addentrarsi in questa zona ma solo accedervi perimetralmente. L’accesso sarà limitato agli autoveicoli addetti a particolari servizi. […]
Le grandi industrie saranno naturalmente disposte ai confini, o in zone interposte, a seconda dei casi. La sistemazione dei servizi pubblici richiedenti grandi aree, come cimiteri, mattatoi, carceri e campi sportivi, verranno generalmente situati nelle zone ultraperiferiche, nelle quali i costi delle aree non hanno ancora raggiunto valori elevati”.
Infine la città futura di Enzo Venturelli, nel suo piano urbanistico, proponendo alcune alternative all’inserimento dei nuovi piani all’interno del vecchio tessuto urbano e ipotizzando l’abbassamento dei piani di scorrimento, l’inserimento di aree attrezzate per infrastrutture pubbliche poste su strutture a ponte, prevede alcune soluzioni per l’eliminazione degli inquinamenti atmosferici e per migliorare le condizioni igieniche
degli abitanti. […]
“Gli edifici pubblici e rappresentativi che si stanno tuttora costruendo, ingombrano lo spazio urbano per l’intera loro mole, con svantaggi tanto per il traffico quanto per il posteggio veicoli.
Anche in questo caso è necessario applicare un sistema edilizio che elimini tali inconvenienti. Le strutture a ponte, limitano notevolmente la superficie di appoggio dell’edificio, e in tal modo conseguono lo scopo voluto, ottenendo anche un più articolato movimento delle masse.
Potremo così costruire, anche in zone urbane congestionate dal traffico, palazzi per esposizioni, teatri, chiese, ecc., senza ridurre di molto il prezioso spazio per il traffico”. Al fine di ridimensionare gli errori delle metropoli cresciute per aggregazioni successive con politiche edificatorie lontane dalle vere esigenze del cittadino propone ipotesi di nuovi agglomerati urbani, immensi, ma in scala umana. Tesi tutte basate sulle nuove conoscenze e le innovazioni tecnologiche e sull’improbabile corretto equilibrio uomo-tecnologia, giunto ad una svolta epocale.
Da più parti si pensava infatti che lo sviluppo sarebbe stato come le risorse, infinito. Da cui le mega-città, a crescita modulare e del tutto autosufficienti potessero essere la sola ed unica risposta alle carenze del massiccio urbanesimo delle nuove città. Le ipotesi di Enzo Venturelli vanno collocate in questi aneliti di modernizzazione per il raggiungimento di migliori utilizzi degli spazi urbani, resi così più vivibili, senza dimenticare che altri studiosi si lanciavano in assai più fantasiose ipotesi progettuali in cui la tecnologia è l’elemento indispensabile e trainante per nuovi modelli di vita e di città: da Paul Maymont che studia la possibilità di realizzare città a isole galleggianti disposte ad anfiteatro all’interno del quale verrebbe creato un porto con i vari servizi, mentre gli opifici e tutte le attività annesse verrebbero disposte nel sottosuolo marino, oppure città sospese collegate ad
autostrade secondo le ipotesi già da altri proposte per non interferire sul suolo sottostante, come la nuova città sotto la Senna, progettata nel ’62 per non interferire sulla superficie urbana soprastante; agli austriaci Domening e Huth che ipotizzano la loro città a sviluppo
progressivo su di un sistema strutturale a cui vengono agganciate le vie di collegamento ed i nuclei abitativi si dispongono all’interno dell’intelaiatura portante.
Enzo Venturelli porta avanti progetti “per l’eliminazione delle polveri e fumi dell’atmosfera nei centri urbani” e le “innovazioni edilizie negli edifici urbani”, che si basano appunto sull’apporto delle nuove tecnologie, chiamate in causa quasi come fossero fonte ed effetto di uno sviluppo inarrestabile e sempre avanzato.
Questi movimenti, grazie a questa fiducia nell’uso degli strumenti tecnologici risolutori che ha spinto ad ipotizzare città visionarie che poi si sono tramutate solo in grandi rappresentazioni grafiche o realizzazioni di meravigliose maquettes, hanno prodotto indubbi elementi di analisi e di critica che se non vi fossero stati non avrebbero fornito spunti alle varie tendenze urbanistiche che in seguito hanno potuto elaborare modelli di utilizzo diverso, più adatto alla vita dell’uomo e del territorio urbano. Tra questi, l’ultimo ed ironico guizzo utopistico degli Archigram che inneggiano ad una città “ludica impossibile”. Le loro proposte progettuali sono, senza alcuna realtà costruttiva, messaggi visivi, nuove rappresentazioni grafiche.
In questo contesto storico vanno valutati gli studi di Enzo Venturelli. Egli si è sforzato di produrre soluzioni per un nuovo moderno sviluppo della città. Per il superamento del concetto statico di essa per nuove forme di aggregazioni coordinate secondo schemi ben definiti anche se di impianto ancora razionalista. Nuove forme di architettura del tempo nucleare come egli già aveva definito nei primi degli anni ’50. Le sue previsioni, come si è detto, vicine alle ipotesi di Friedman per l’impianto spaziale e per un’assenza formale specifica, anche se articolate in modo diverso, sono per realizzare una “città spaziale” formulata secondo le esigenze quotidiane, per fornire un modo più vivibile, anche se in un mondo artificiale dove l’uomo riesce ad essere al contatto con la natura. Le grandi terrazze, i giardini sospesi a più livelli le soluzioni diversificate del traffico, il possibile uso conseguente delle vecchie conurbazioni, vanno viste in tale ottica. La definizione di urbanistica spaziale sta proprio qui nel voler concepire gli aggregati urbani come forme a più dimensioni atte a fornire una soluzione che “investivano problemi di urbanistica, di spazio, di aria, luce e viabilità nei centri, ricerche tese al fine di ovviare i molti inconvenienti dell’attuale vita sociale della cultura urbana”. In ultimo, si può affermare che Enzo Venturelli possa essere considerato l’antesignano ideatore della terminologia sopra citata come “urbanistica spaziale”.
Infatti già di ritorno da Parigi, nel ’58, modifica il titolo di “architettura nucleare” in “urbanistica spaziale”, proprio per meglio specificare il concetto di coinvolgimento urbano delle sue ipotesi pianificatorie ed architettoniche.
Alcuni vogliono che la locuzione “urbanisme spatial” sia frutto dell’inventiva di Michel Ragon. Reyner Banham menzionando appunto Ragon, editorialista de “Architecture d’aujourd’hui”, accoglie la tesi che la locuzione urbanistica spaziale sia del giornalista francese il quale nel suo libro (Michel Ragon “Ou vivrons nous demain?”, op.cit. pag. 42) accomuna sotto tale terminologia, una serie di esponenti di urbanistica d’avanguardia formata da diversi architetti, tra cui molti operanti sul suolo francese.
Reyner Banham, con molta cautela ipotizza peraltro l’esistenza di una scuola francese di urbanisti spaziali. Anche se con molta eleganza prende le distanze pur attribuendo alla scuola francese un carattere decisamente più elegante rispetto alle altre correnti megastrutturali, soltanto perché “aggiunge una terza dimensione verticale alle abituali
due dimensioni della superficie del foglio dell’urbanista per conseguire una griglia urbanistica tridimensionale che liberi lo schema dal terreno” (ReynerBanham “Le tentazioni dell’architettura”, Ed. Laterza, Bari, 1980, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 4).
Altri vogliono invece attribuire la definizione di “urbanisme spatial” a Yona Friedman fors’anche per la sua celebrità. In effetti Friedman nel 1966 rielaborava su ”Architectur Formes Function” sotto il titolo “Urbanisme spatial” le sue teorie, poi anche riprese da alcune riviste italiane, ma precedentemente nel 1965, nell’articolo “Un architecture pour deux milions d’habitant”, apparso su “Le visionnaires de l’architecture” (Bammadur, Friedman, Jonas, Maymont, Ragon, Schöffer, “Les visionnaires de l’architecture”, R. Laffont Editeur, Paris, 1965, in op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso,
Torino, 1999, pag. 42) con estrema cavalleria dichiarava che “le qualicatife de
spatial m’ à été suggeré en 1959 madame Diaman Berge”. Quindi è presumibile che tale locuzione fosse da tempo nell’aria e che Enzo venturelli altro non ha fatto che documentarla e contestualizzarla in maniera scientifica.
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– Alcune altre opere –
L’acquario rettilario, opera del 1960, ha nell’ingresso un chiaro riferimento zoomorfico tanto che la recensione apparsa su”Architettura, cronache e storia” fu titolata: “Moby Dick a Torino”.
La rivista di Bruno Zevi, anche in questa occasione, non vuole risparmiarsi nel contestare l’architettura nucleare di Enzo Venturelli, purammettendo “coraggio ed esatta soluzione di molti e non facili problemi tecnici, strutturali e formali”, individuando nell’opera architettonica “unatto violento, anarchico in un mondo stagnante e conformista che suscita sempre una certa simpatia” (Carlo Morgan in “Architettura, cronache e storia” n. 8, anno V, op. cit in “Enzo Venturelli architetto”, ed. Dell’Orso, Torino, 1999, pag. 46).
Sergio Polano, sulla “Guida all’architettura italiana del Novecento”, riporta un giudizio più favorevole: tra le poche opere realizzate da Venturelli, il fiabesco edificio del rettilario (attualmente utilizzato per esposizioni temporanee) trascende in un giocoso zoomorfismo – qualcosa tra Moby Dick e la balena di Pinocchio – ascendenze espressionistiche e razionalistiche, confermando l’originalità del percorso del suo autore (Sergio Polano, op.cit.).
L’opera venne commissionata, assieme alla “casa delle giraffe” dalla Società Molinar, gestore dello zoo comunale. Seppur senza raggiungere le esplosioni della villa per Mastroianni ma sempre uscendo da schemi formali usuali, essa si pone nel quadro dei lavori di Enzo Venturelli come conseguenza alle precedenti realizzazioni e si impone per il suo formalismo compositivo, le visioni fantastiche degli interni illuminate dalle grandi vetrate dove la bocca dentata della grande balena altro non è che il frangisole.
La facciata principale, in cui molti ne hanno individuato un richiamo decisamente zoomorfico, nasce dopo un lungo e approfondito studio sugli acquari presenti nelle varie parti d’Europa e si articola come è prassi nei progetti di Venturelli su di una pianta rigorosamente rettangolare e schematica, molto razionale nella distribuzione di spazi
interni. Essi vengono studiati per proporre al visitatore una migliore visione degli organismi subacquei e per permettere una migliore percezione degli ambienti in cui si svolge la vita animale. Al fine di incantare il visitatore facendolo ritrovare come immerso all’interno di un mondo fiabesco, Venturelli progetta un ribassamento del piano dell’acqua rispetto al piano esterno del terreno che facilita la visione più studiata dell’acquario, mentre il rettilario è posto ad un piano relativamente più alto rispetto al piano di campagna, cosicché tra luci che vi giungono dall’alto, luci che provengono dalla facciata principale e la scansione dei piani. Questa caratteristica permette una percezione dei mondi animali senza che vi siano interruzioni di piani per la continuità delle vetrate, così che l’interno dell’edificio appare al visitatore non chiuso sul fondo, ma circondato da varie scenografie acquatiche.
Nonostante la committenza privata ma convenzionata e sostenuta finanziariamente dall’ente pubblico non avesse posto vincoli compositivi alla realizzazione, si nota in questo edificio un sofferto abbandono al plasticismo già proposto per la casa Mastroianni. È anche vero però che l’impianto doveva seguire schemi tecnici molto rigidi e gli spazi dello zoo non permettevano grandi libertà. Per tali ragione forse Venturelli focalizzò il suo interesse alla facciata che di fatto divenne l’emblema dello “zoo più piccolo d’Europa”.
Il ricorrente tema dello spazio pluridimensionale viene comunque riproposto quando egli è chiamato di nuovo da Mastroianni per progettare la struttura portante del monumento per la resistenza a Cuneo.
Enzo Venturelli non si limita ad un supporto statico, ma ne disegna l’impianto quasi a condividere lo spazio nella prorompente multiformità dell’opera, alzando la grande massa scultorea con tralicci metallici ortogonali su cui si appoggia il bronzo e creando un fitto intreccio di aste verticali controventate perpendicolarmente con altre così da integrarsi nella struttura bronzea dell’esplosione scultorea alzandola il più possibile dal suolo senza disturbandone però la plasticità.
Il tema del dialogo tra spazio e progetto verrà sviluppato in maniera analoga nel concorso milanese al “monumento ai caduti di tutte le guerre” assieme a Maggi e a PirastuUsai dove, con una specie di esplosione, di irraggiamento da un nucleo verso l’esterno, in cui le aste metalliche sono poste come raggrumo di infiniti raggi d’un sole che oltre ad illuminare, sprigiona la sua energia verso innumerevoli direzioni, quasi a testimonianza dell’immensa potenzialità che il tragico evento umano ha assunto.
Venturelli, pur rimanendo sempre ancorato alle sue iniziali idee innovative per una città altamente tecnologica, ma in scala umana, abbandona di fatto attorno alla fine degli anni Sessanta la realizzazione di manufatti che compositivamente si riallacciavano al concetto di espansione spaziale pluridimensionale, e propone nelle nuove realizzazioni, fra cui anche un buon numero di cappelle funerarie, scomposizioni contenute di volumi e simbolismi già visti.
Continua inoltre i suoi studi e le sue ricerche utopistiche sprigionato liberamente senza condizionamenti alcuni, sviluppando notevole materiale di architettura disegnata con estro.
Da citare la “chiesa spaziale”, complesso altamente plastico che nella sua totalità ricorda alcune opere lecorbusiane e il padiglione ora demolito della Philips di Bruxelles, proprio di Le Corbusier e coevo con l’ideazione di Venturelli. Esso si sviluppa su in una pianta semplice a crociera latina ma slanciata in un incastro di forme nitide e pulite di rilevante plasticità,dove i volumi si equilibrano per poi trovare nel campanile un aggetto verticale di contrapposizione tra la struttura lineare del complesso. La scelta delle grandi vetrate frontali ai lati opposti alla crociera creano una compenetrazione di piani e di volumi
e al tempo stesso sviluppano un prevedibile gioco di chiaroscuri che dovrebbero venir contrapposti dagli spacchi laterali che modulano le pareti curve dell’intero involucro. Esiste in tutto questo, percepibile ad una visione dall’alto, una simmetria ben definita, incerta all’ipotetico osservatore posto al piano di campagna.
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– L’ARCHIVIO ARCHITETTO ENZO VENTURELLI presso
l’Archivio di Stato di Torino –
Presso l’Archivio di Stato di Torino, per lascito testamentario, è conservato l’archivio degli scritti e dei disegni di Enzo Venturelli.
L’inventario è stato redatto nel 2003 sulla base di elenchi già esistenti all’atto del versamento e curati dal geom. Nazario Droghetti, collaboratore dell’architetto. Il corpo del lascito è costituito da 168 buste e 16 cartelle di disegni.
Durante la visita di studio presso l’Archivio di Torino si è avuto modo di visionare l’importante mole dei documenti conservati, trovando un materiale ricchissimo di informazioni sull’attività dell’architetto torinese.
Nel dettaglio si è analizzata la cartella 4 dei disegni, dedicata integralmente alla casa dello scultore Umberto Mastroianni.
Un sentito ringraziamento è dovuto al personale dell’Archivio, che con gentilezza e competenza ha agevolato la verifica del materiale, in particolare alla dottoressa Gattullo curatrice dell’opera di archiviazione del fondo Venturelli.”
Di seguito vengono riportate alcune delle fotografie dei disegni contenuti nella cartella 4 dell’Archivio di Stato di Torino: per le restanti fare riferimento alla tesi dove sono riportate tutte.
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Riporto nel seguito il profilo biografico a cura di Eraldo Como che ho trovato su Internet:
ENZO VENTURELLI
Torino 14.09.1910 – Torino 26.06.1996
Laurea: Facoltà di Architettura, Politecnico di Torino, 1939
Iscrizione all’Albo: 1943
A soli 17 anni Enzo Venturelli frequenta già lo studio dell’ingegnere Arrigo Tedesco- Rocca, lo stesso studio presso il quale lavorò Ottorino Aloisio al suo arrivo a Torino. Dal 1936 al 1940 collabora con diversi professionisti torinesi, tra i quali gli architetti Melis e Demunari.
L’avvio della sua autonoma intensa attività si data all’inizio degli anni Quaranta. Tappe fondamentali sono le realizzazioni del teatro Principe (1945), demolito nel 1994, della sala da ballo Eden (1947-48), della casa atélier dello scultore Mastroianni (1953-54), dell’acquario-rettilario al giardino zoologico di Torino (1957-60). Nell’arco di vent’anni e prevalentemente attraverso le
citate esperienze, Venturelli percorre la propria originalissima concezione del fare architettura. Nel corso del primo decennio, a far capo dall’opera prima – il teatro Principe – all’interno del filone compositivo razionalista, esaurisce un’esperienza che, pur nel rigore e nella sobrietà, rivela una particolare ricerca di sapore astratto ricca di nuovi ed autonomi elementi formali.
La volontà di collocarsi al di fuori dei rigidi schematismi, già presente nelle opere del primo decennio, portano Venturelli a sviluppare una ricerca tesa ad una forma di architettura fortemente individuale, quella che chiamerà “architettura dell’era nucleare” o “architettura atomica”. Con la casa-studio
dell’amico scultore Umberto Mastroianni e con l’acquario-rettilario del giardino zoologico Venturelli concretizza i propri concetti spaziali delle dinamiche volumetriche, del gioco plastico e dell’asimmetria dinamica fondati “su una visione artistico-idealista dell’architettura” che, con superficialità, da
alcuni venne definita visionaria e stravagante.
Se i primi lavori passano quasi inosservati, con la realizzazione della casa Mastroianni, Venturelli riesce a suscitare l’attenzione e l’interesse di giornali e riviste di tutto il mondo. Mentre in Italia il giudizio critico di Zevi rappresenta quasi una scomunica, all’estero il generale apprezzamento colloca Venturelli tra i maggiori rappresentanti delle nuove correnti in
architettura.
I contenuti del “Manifesto dell’architettura nucleare” e le utopie
pianificatorie teorizzate nel libro “Urbanistica spaziale” costituiscono argomenti di discussione in tutta Europa e producono elementi di analisi e di critica negli ambiti dell’architettura e dell’urbanistica.
Purtroppo molta della ricerca di Venturelli non ha potuto concretizzarsi in opere ed è rimasta all’interno dei suoi progetti. Il patrimonio di “architettura disegnata” che ci ha lasciato costituisce comunque una fondamentale testimonianza delle grandi potenzialità della fantasia.
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Due ultime considerazioni finali.
Fa un po’ dispiacere che il sito http://www.venturelli.it che solo qualche anno fa riportava informazioni sull’architetto, ora contiene pubblicità e il dominio viene venduto dal titolare a caro prezzo 😦

Il sito http://www.venturelli.it che solo qualche anno fa riportava informazioni sull’architetto, ora contiene pubblicità e il dominio viene venduto dal titolare a caro prezzo!
Per finire poi una cosa che personalmente ho trovato strana. Cercando su Internet non sono riuscito a reperire nemmeno una foto che con certezza ritragga l’architetto Enzo Venturelli! Nell’epoca della digitalizzazione di tutto, questo è perlomeno singolare per un personaggio così rilevante della nostra storia dell’architettura. L’unica immagine che ho trovato è la seguente ma non è certo che si tratti proprio di lui: ovviamante se chi legge ha informazioni anche a tale proposito, può commentare o scrivermi via email 🙂