Talvolta può tornare comodo avere salvati su un file i sottotitoli di un video trovato su YouTube. Si noti che i sottotitoli di un video possono o essere stati caricati dall’autore del video stesso oppure essere stati generati automaticamente da YouTube stesso. In questo secondo caso, ovviamente ci possono essere nel testo diversi errori d’interpretazione dell’audio che si dovranno poi correggere… ma è comunque sempre meglio di effettuare la trascrizione a mano di tutto ciò che viene detto nel video!
Avevo già in un post precedente mostrato come funziona l’inserimento (e successiva visualizzazione) di sottotitoli in un proprio video caricato su YouTube (vedi: Come aggiungere i sottotitoli, anche in più lingue, a un proprio video su YouTube) e ora intendo mostrare come potersi agevolmente salvare su file i sottotitoli di un qualsivoglia video di YouTube, anche qualora non fossero stati caricati da chi l’ha pubblicato ma siano presenti comunque in quanto generati automaticamente da quella piattaforma: non è comunque sempre detto che l’opzione di sottotitolazione (seppur automatica) sia stata necessariamente impostata da chi pubblica un video per cui esistono anche video privi di alcuna tipologia di sottotitolazione. In quel post avevo già evidenziato come ci siano le due seguenti modalità di visualizzazione dei sottotitoli di un video su YouTube:
Sottotitolo in sovrimpressione – Click sull’apposita icona relativa appunto al sottotitolo:
Sottotitolo in sovrimpressione cliccando sull’apposita icona
Testo che scorre esternamente al video – Tra le opzioni visibili premendo i tre puntini del menù subito sotto il video, premere la voce Apri trascrizione in modo da vedere il testo che scorre con evidenziato il passaggio in corso: questa funzionalità può essere attivata in alternativa alla precedente o anche in contemporanea (come mostrato nello screenshot seguente):
Testo che scorre esternamente al video premendo la voce Apri trascrizione
_______ NOTA BENE: non tutti i video pubblicati su YouTube hanno attivabili i sottotitoli, in quanto questo dipende dalle impostazioni decise da chi lo ha caricato: talvolta infatti l’autore del video non esegue quella semplice procedura che consente anche solo di avere una sottotitolazione eseguita gratuitamente in automatico da YouTube! In questo caso, per poter operare la trascrizione del parlato come mostrato nel seguito, sarà necessario:
Caricarlo sul proprio canale YouTube come video privato (in modo da non renderlo pubblico non essendo di fatto tuo),
Attivare la funzionalità di sottotitolazione e quindi, recuperarne il testo come mostrato.
Ovviamente dopo avere effettuato la trascrizione del parlato, si può eliminare quel video dal proprio canale.
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Un primo metodo per recuperare i testo dei sottotitoli è quindi quello di aprire quella finestra esterna di trascrizione e quindi copiare ciò mostrato dall’inizio alla fine. Purtroppo non si può selezionare tutto quel testo effettuando un cntlr+a (come generalmente si fa), ma lo si deve far scorrere tutto tenendo premuto il tasto sinistro del mouse per vederlo selezionato e poi farne un copia (cntl+c oppure cliccando una volta con il tasto destro sul testo selezionato, in modo da far comparire la finestra di opzioni con la funzionalità copia presente): si tratta perciò di un’operazione comunque veloce anche per testi di video molto lunghi.
Tuttavia, il problema maggiore consiste nel fatto che la copia comprende anche le indicazioni temporali che, in versioni precedenti del sito YouTube, si potevano eliminare togliendo (turn off) l’opzione Toggle Timestamps disponibile cliccando sui tre puntini verticali presenti in alto a destra nella finestra di trascrizione: tuttavia, attualmente non mi sembra esista più questa possibilità dal momento che non risultano neppure più presenti quei tre puntini per accedere a opzioni specifiche di quella finestra.
Effettuando quindi un incolla (cntl+v) del testo selezionato in un qualsiasi editor di testo, risulteranno presenti anche quelle informazioni temporali che dovranno essere eliminate successivamente: perciò conviene utilizzare qualche applicazione di editing che consenta di effettuare un’apposita macro che le elimini tutte.
Il testo incollato ha anche le notazioni temporali che devono essere eliminate se si desidera avere un testo “pulito”
P.S. 6/2023 – Per fortuna almeno ora è ritornata presente la possibilità di eliminare i timestamp, lasciando solo il testo, selezionando l’opzione Attiva/disattiva timestamp dal menù con i tre puntini verticali presenti nella finestra di Trascrizione:
Per portare il testo in un formato accettabile, sarà sufficiente eliminare tutti gli “a capo” in fondo a ciascuno spezzone di frase, sostituendoli con uno spazio: successivamente, per migliorare ulteriormente il testo, si può eventualmente poi ancora sostituire con un unico spazio tutti i possibili doppi spazi presenti nel testo, sempre utilizzando la funzionalità di Modifica tutto. Nel seguito mostro questa semplice procedura qualora si utilizzi Word come editor:
Analogamente si può indicare di sostituire tutti i ^p (che determina appunto l’andare a capo in un testo in Word) con uno spazio. Infine si può poi giustificare tutto il testo. Ovviamente poi, rileggendo il tutto, si dovranno effettuare le correzioni e gli a capo del caso… ma sicuramente il procedimento sarà assai più veloce che effettuare una trascrizione mentre si sente il video!
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Un secondo metodo per recuperare i testo dei sottotitoli è quello di utilizzare servizi online appositi che, fornendo la URL del video YouTube, ne estraggono i sottotitoli e consentono già di scaricare il file di testo che li contiene già privo delle informazioni temporali. Ho provato personalmente a usare il sito savesubs.com che fornisce appunto tale funzionalità in modo gratuito benché, purtroppo, faccia comparire (sul medesimo tab del browser o aprendone altri nuovi) diverse finestre con proposte di scaricare/installare programmi, finestre che uno ovviamente deve chiudere senza cliccarci sopra o accettare alcuna proposta: queste indicazioni possono anche contenere avvisi fasulli tipici delle pubblicità fraudolente, quale ad esempio quello che il proprio PC sia privo di un antivirus e che quindi si trovi in pericolo!! Perciò consiglio di utilizzare tale sito solo se operate con sufficiente cautela ed essendo consci che vi verrà proposto di scaricare/installare SW vari: è quindi indispensabile sia non considerare come vere nessuna delle false indicazioni mostrate a video sia chiudere qualsiasi nuovo tab si apra nel browser così come qualsiasi finestra che si sovrapponga sulla medesima pagina. Nel seguito mostro, ad esempio, la finestra fraudolenta che mi si è mostrata nel medesimo tab durante l’utilizzo di quel servizio online. In questo caso specifico, mi si richiedeva di premere il tasto OK per proseguire lo scaricamento, cosa da non fare assolutamente mentre invece si deve chiudere quella finestra agendo sulla x in alto a destra: premere quel tasto OK, come suggerito, avrebbe sicuramente comportato la visualizzare altri siti con dubbi contenuti o l’installazione di programmi inutili se non addirittura di malware/virus)!!!
Esempio di finestra sovrimpressa che richiede ingannevolmente di premere il tasto OK per proseguire lo scaricamento: da chiudere invece agendo sulla x in alto a destra!
A parte questi accorgimento importanti per evitare d’installare programmi non voluti e potenzialmente pericolosi, la procedura per scaricare il testo di un video è abbastanza semplice e prevede l’inserimento della URL del video YouTube (copiandolo con un click con il tasto destro sul video stesso e scegliendo Copia URL video dal menu che compare), la pressione del tasto SCARICA e quindi nella lista che compare in basso scegliendo il formato TXT – passo 3II – (o in alternativa, qualora si desiderasse modificare il testo prima di salvarlo, il tasto MODIFICA – passo 3Ie poi premere i passi 4 e 5):
Il file contenente i sottotitoli viene scaricato automaticamente nella directory di download impostata nel browser (generalmente C:\Users\nomeutente\Downloads):
Anche utilizzando questo metodo sarà poi opportuno rielaborare il testo per eliminare gli “a capo” utilizzando le funzionalità dell’editor (e.g. Word) come già spiegato precedentemente.
Mi sono già pentito da anni di non aver preso delle ferie per poter partecipare come volontario alle olimpiadi invernali di Torino nel 2006 e, ora che sono in pensione, non volevo certo perdermi nuovamente questa occasione! Eurovision è sicuramente meno importante rispetto alle olimpiadi, ma è pur sempre un evento internazionale di richiamo per la mia città ed è quindi giusto dedicare parte delle mie energie e competenze…
Per candidarsi bastava andare sulla sezione apposita nel sito del Comune e poi aspettare di essere contattato in base alle loro selezioni…
Lo slogan che la RAI ha scelto è “The sound of beauty!“, cioè il Suono della bellezza che invita a dare il meglio di noi stessi della nostra positività e capacità di accoglienza… nonostante le problematiche dovute alla pandemia e a quelle, difficili di accettare, della guerra in Ucraina. È quindi anche un’opportunità di accoglienza, di pacificazione, di unione. Anche questo ci deve essere da parte anche dei volontari un impegno a dare il meglio di noi in quanto accoglienza e positività!
Sinceramente non sapevo neppure della sua esistenza, prima che Torino fosse designata come sede per l’evento: solo successivamente, dalla prima presentazione iniziale fatta ai volontari al Palazzetto dello sport, sono venuto a sapere che si tratta di un festival musicale internazionale di lunga storia. Nato sul modello del Festival di Sanremo ben nel 1956 – sebbene allora si chiamasse Gran Premio Eurovisione della Canzone (o anche informalmente Eurofestival) -, fin da subito aveva avuto cantanti famosi che rappresentavano l’Italia: nel 1958 Domenico Modugno canta Nel blu dipinto di blu, ma bisogna aspettare al 1964 perché Gigliola Cinquetti sia la prima vincitrice italiana con la canzone Non ho l’età! Insomma, si va davvero alle origini della lunga storia della musica leggera, anche quella della mia infanzia!
Quale saranno le mie funzioni? Di preciso non so ancora… Per ora aiuto a distribuire le divise ai volontari in attesa di nuove istruzioni 🙂 Dalle sigle presenti nel mio badge deduco che avrò accesso a quanto segue, per cui avrò occasione di vedere spero un bel po’ di cose:
OC: cerimonia d’apertura
CR: entrata/accesso crew
EV: Eurovision villaggio
DEL: entrata/accesso delegazioni
PC: centro stampa
7: area giornalisti
9: area delegazioni
14: area spettatori
La legenda di quelle sigle purtroppo non sono riuscito a trovarla da nessuna parte e perciò ho chiesto delucidazioni a una delle gentili signorine che distribuiscono il badge ai volontari: ti consiglio di fare altrettanto anche tu ed eventualmente inviarmi nei commenti a questo post il significato di sigle diverse da quelle da me già elencate!! 😉
P.S. In un post del sito facebook Volontari Eurovision 2022 viene indicato il significato di tutte le sigle/i numeri come segue:
LE SIGLE MV: main venue access for staff OC: opening ceremony access for staff EC: euro club access for staff EV: eurovision village backstage access for staff DEL: delegation gate PC: press centre gate CR: crew gate
FCT: Fondazione per la Cultura Torino che organizza gli spettacoli all’eutovillage
I NUMERI 1: power generator compound 2: tv compound 3: green room 4: commentator areas 5: stage/technical backstage 6: props area 7: press area 8: hospitality area 9: delegation bubble 10: service area 11: make up- hair styling 12: staff catering 13: hb offices 14: audience areas 15: dressing room
In questo post aggiungerò nelle prossime settimane le mie impressioni sull’evento e magari anche qualche foto, sebbene nel regolamento sia esplicitamente scritto che non si possono pubblicare foto con gli artisti o dei luoghi da loro frequentati durante il soggiorno a Torino e, in particolare, la zona camerini, hairdressing e makeup! È invece ammessa la condivisione sui social di foto o video se è l’artista o un componente della delegazione ad avere per primo pubblicato la fotografia… 🤔🙄
Per ora, segnalo un grande entusiasmo da parte dei volontari che ho conosciuto e l’impressione di tanta “bella gente” tra i molti volontari di tutte le età che già oggi sono venuti a ritirare maglietta/felpa/kway, tutti sorridenti (seppur dietro la mascherina), simpatici e pieni di voglia di esserci in prima persona, desiderosi di dare del loro meglio… quindi con il giusto spirito del volontario! 😎
Nel seguito il link per una generica formazione turistica, gentilmente fornita da Turismo Torino e Piemonte per tutti i volontari, al fine rendere più accogliente il soggiorno a Torino di ospiti e turisti di Eurovision!
Nel seguito riporto i punti salienti del video per chi volesse darci un’occhiata e non avesse tempo di vederlo interamente!
Eurovision è alla 66esima edizione.
Eurovisioni si volle ispirare al festival di Sanremo per cui fonda le sue radici in Italia, sebbene siano 31 anni che non viene ospitato in Italia in quanto per tradizione viene ospitato dalla nazione del vincitore dell’edizione dell’anno precedente. Torino ha poi vinto la selezione con altre città italiane che si erano proposte a ospitare questo evento internazionale. Sembra che sia il programma televisivo al mondo più complesso e visto al mondo se si esclude Super Bowl (nella finale si parla di 200 milioni di telespettatori). È quindi una grande opportunità per Torino. Si ospiteranno le delegazioni di 40 Paesi (erano 41, ma recentemente la Russia è stata esclusa): ciascuna delegazione è guidata dai capi delle televisioni dei rispettivi Paesi (c’è anche l’Autralia e quindi non solo Paesi europei!) e staff artistico. Ogni delegazione è composta da un 20-25 persone quindi parliamo di un 800 persone che convergeranno a Torino! I conduttori saranno Laura Pausini, Alessandro Cattelan, Mika (?).
È un contest (e.g. insieme di elementi messi in correlazione fra loro), in quanto ciascun Paese può personalizzare lo show, con 40 scenografie diverse: è come se fossero 40 show armonizzati tra loro e quindi anche da un punto di vista tecnico molto complesso. Si tratta di 40 culture che desiderano condividere la loro storia, la loro cultura musicale. Importante per tutti accogliere queste delegazioni con gioia e partecipazione.
L’evento sarà ospitato al Pala olimpico in cui sono due aree adiacenti: la delegation bubble (dove le delegazioni verranno accolte: si suddivide in 5 sotto aree, con camerini, lounge, ecc…) la pressing bubble (accoglienza giornalisti e sala stampa) essendoci ben 500 giornalisti accreditati per seguire personalmente l’evento oltre che un 1500 che lo seguirà digitalmente. Da qui partiranno tutte le informazioni verranno veicolate su tutti i canali ufficiali di EBU (European Brodcasting Union), unione di tutte le televisioni europee e che è l’organizzatore di Eurovision. ci saranno 3 dirette televisive – il 10, 12 e 14 maggio – più altri 9 eventi collaterali fruibili dal pubblico. Essendo andati a ruba tutti i biglietti, ci sarà l’opportunità di accogliere altre 13000 persone all’Eurovision Village – collocato con accesso al Castello del Valentino con relativo desk di accoglienza – per seguire su maxischermi le dirette. Ci sarà poi sempre in quel Village un palco speciale dove si esibiranno sia artisti locali sia quelli che già partecipano a Eurovision.
C’è poi un ulteriore desk presso il Palazzo Madama dove si daranno informazioni sull’evento e sulla città a tutte le persone, turisti e giornalisti compresi!
Il programma di accoglienza delle delegazioni (social program): si tratta di visite guidate in alcuni musei, degustazioni, alle residenze reali locali e non solo in Torino ma anche in Piemonte, offerte gratuitamente dalla città di Torino e si volgeranno dal 30 aprile al 14 maggio. Si tratta di un totale di 130 visite in 15 giorni. Si sta organizzando anche un social program per i giornalisti a cui si offrirà anche a loro delle opportunità per conoscere meglio la nostra città e Regione. Ci sono poi altri eventi collaterali destinati al grande pubblico e il calendario sarà presto pubblicizzato nel sito eventitorino.org nella sezione appositamente dedicata a Eurovision.
Ovviamente ci sarà un formazione specifica per i volontari che presidieranno i diversi desk.
Di seguito trovate una planimetria della venue con il dettaglio degli ingressi, a questo link una mappa Google interattiva e anche una planimetria dettagliata degli spazi interni/esterni.
Ho da poco rifatto un impianto elettrico della casa di campagna e in questo post inserisco alcune informazioni utili sia a me, per ricordare nel futuro alcune soluzioni adottate, sia a eventuali visitatori che intendano realizzare soluzioni analoghe a quelle da me adottate.
In particolare avevo una stanza con due lampadari ciascuno dei quali poteva accendere tutte le sue lampadine o solo una sua metà: desideravo pilotare il tutto da due punti utilizzando però un unico frutto in quanto gli altri spazi erano già occupati per pilotare altre luci. In pratica, con un solo frutto volevo accendere/spegnere totalmente/parzialmente indipendentemente ciascuno dei due lampadari. La soluzione adottata è stata quella d’impiegare sia un pulsante doppio interbloccato (NO = Normally Open) in ciascuno dei due supporti da cui volevo comandare le accensioni, sia due relè della Finder, in particolare quelli della serie 26.04 (collegati con il neutro, in quanto richiedono che il comando dai pulsanti venga dato con un neutro). Questa tipologia di pulsante doppio è generalmente utilizzata per pilotare i motori delle persiane elettriche ma, in questo contesto in cui è abbinata a quei relè, uno dei due pulsanti (e.g. quello con la freccia in su) consente di accendere totalmente o parzialmente uno dei due lampadari, mentre l’altro pulsante (e.g. quello con la freccia in giù) invece pilota analogamente l’accensione/semi-accensione1/semi-accensione2/spegnimento dell’altro lampadario. Nel seguito mostro sia lo schema elettrico sia come sono stati collocati fisicamente:
Nel caso di un corridoio, per l’accensione /spegnimento in simultanea di tutte le luci da più parti ho invece usato un più semplice relè della Finder, serie 26.01:
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Avevo poi l’esigenza di accendere/spegnere una luce dai due lati di una scala, desiderando anche che, qualora non si spegnesse esplicitamente, questa si spegnesse dopo un tempo prestabilito anche sufficientemente basso (e.g. dopo un minuto)… insomma un comportamento analogo a quello delle luci delle cantine condominiali in cui però il timer viene atipicamente impostato per tempi maggiori! In questo caso ho utilizzato un’altra tipologia di relè della Finder, quello della serie 14.01:
Relè con temporizzazione ma che mantiene comunque anche la possibilità di uno spegnimento esplicito della luce da interruttore
Per rallentare a piacere (ad esempio 0,7x) la riproduzione di un file mp3 sul proprio smartphone è sufficiente impostare opportunamente la relativa opzione presente molto probabilmente nel player audio. Ad esempio, nel mio cellulare Samsung, l’app di default per gestire i file audio ha appunto una opzione relativa alla velocità di riproduzione. Inoltre, assai utile per lo studio di un brano musicale specifico da riprodurre e suonare in simultanea con il proprio strumento, è poi l’impostazione di ripetere ciclicamente sempre lo stresso brano (opzione in basso a destra nel player Samsung, rappresentato con un’icona di un “1” all’interno di due frecce circolari):
Esistono poi app specifiche che consentono di effettuare un’analoga variazione di velocità di riproduzione, ma perché installarle quando già molto probabilmente l’app fornita dal produttore dello smartphone fornisce già tale funzionalità tra le sue impostazioni?
Ovviamente si può anche modificare la velocità di riproduzione di un brano in modo permanente utilizzando appositi SW di elaborazione audio quale Audacity: è sufficiente applicare, tra le voci del menù, Effetto -> Cambia velocità [ENG: Effects -> Change Speed]. Tuttavia la modifica della velocità ha effetto sia sul tempo sia sull’intonazione dell’audio.
La variazione della velocità si può ottenere anche con un altro SW gratuito: AudioDope. Per modificare la velocità audio è sufficiente selezionare dal menu la voce Process -> Tempo. Tale opzione Tempo, mostra un cursore che consente di aumentare o diminuire la velocità dell’audio: un pulsante di anteprima consente anche di verificare le modifiche apportate.
Un’ulteriore alternativa èNaturpic. In questo SW per modificare la velocità audio, si deve applicare nell’opzione Time stretch, dove esistono due funzionalità: Preset e Stretching Rate che possono anche essere ntrambe queste opzioni possono anche essere entrambe applicate per fornire maggior flessibilità. Con Preset, si possono scegliere diverse velocità di tempo predefinite per modificare la velocità audio. Con Stretching Rate, si può spostare il cursore trascinando il mouse per modificare la velocità audio. Oltre alla velocità audio, questo SW consente anche di cambiare il tono dell’audio così come di convertirlo in un altro formato.
Oramai è diventato un post periodico questo… Ogni anno ricevo per email (essendomi da tempo registrato a quell’utile servizio di notifica) la segnalazione dalla Soris della presenza nel mio “estratto conto” di una richiesta di pagamento per le tasse TARI + TEFA, premo il link fornito nel testo della email per accedere all’informazione e generare l’F24 da pagare… ma riscontro problemi, mi ricordo del post scritto l’anno prima, risolvo gli stessi problemi riscontrati anche gli anni precedenti (utilizzando le indicazioni già evidenziate nei vecchi post), … e alla fine non posso far altro che scrivere un altro nuovo post sul tema in oggetto che rimanda ai precedenti!!!
Poi continua il mio no comment 🙄 sul fatto che, anche per le tasse comunali, sia necessario dettagliare gli importi per ciascuna delle tipologie di tassa locale e il tutto deve essere quindi indicato separatamente nell’F24: dal momento che i soldi vanno sempre al medesimo Ente (i.e. Comune) non si potrebbe indicare una tassa globale e poi le suddivisioni essere fatte in automatico sul backend secondo le suddivisioni prestabilite?
La mail ricevuta quest’anno è direi analoga a quella degli anni scorsi:
Email con il link per accedere ai nuovi documenti presenti nel proprio estratto conto
Quest’anno cliccando sul link fornito in quella email (http://portale.servizi.soris.torino.it/pagonet2/default/homepage.do) si va a una pagina nuova con un nuovo look tutto accattivante… ma poi scopri che la sostanza non è cambiata di molto, anzi! Infatti, selezionando da quella la sezione Estratto Conto (che oramai sappiamo bene essere quella d’interesse!), si giunge alla pagina specifica appunto dell’Estratto Conto in cui viene chiesto di autenticarsi:
Scelgo il mio SPID provider (PosteID) ed effettuo la autenticazione tramite lettura di QR code da telefonino e inserimento PIN, acconsento affinché le informazioni richieste vengano trasferite al richiedente per l’autenticazione e poi: errori di diversa tipologia…
Cambio browser, utilizzando ora Chrome e non Edge che uso di default, proprio per scrupolo: medesimo comportamento!
Vado allora nel mio post dell’anno precedente, seleziono il link diretto seguente di accesso al servizio che avevo già allora evidenziato e consigliatodi utilizzare in quanto non mi aveva dato problemi (i.e. https://servizi.torinofacile.it/info/servizi/estratto-conto) dove giungo a una pagina di autenticazione differente e dalla quale non ho problemi ad autenticarmi tramite il medesimo SPID provider e quindi ad arrivare alle informazioni sull’F24 da pagare:
Ovviamente, una volta pagato il tutto con la procedura già descritta dettagliatamente nel post dello scorso anno, come test effettuo il logout e riprovo nuovamente ad autenticarmi sia partendo dal link fornito dalla Soris sia da quello da me evidenziato e tramite il quale la procedura non mi aveva dato problemi: medesimo comportamento di errore nel primo caso e di accesso riuscito nel secondo!! Quindi comportamento ripetibile…
Per concludere, un’ultimo no comment 🙄: possibile che per pagare, ad esempio, una multa un cittadino possa effettuare il pagamento direttamente dal sito della Soris (anche con Satispay e quindi con costi assai inferiori a quelli richiesti dalle banche), mentre per il pagamento di una tassa locale (e.g. TARI) quel servizio non possa essere reso disponibile per evitargli così, -nella migliore delle ipotesi – di dover ricompilare a manina, nel form F24 del sito della propria banca, tutti quei dati che già la Soris aveva automaticamente inserito nel modulo F24 di cui fornisce versione in pdf? A parte i possibili sbagli di trascrizione nel riportare i dati (soprattutto il codice operazione), spesso i formati dell’F24 forniti dai siti delle banche non rispecchiano esattamente il formato standard di quel modulo (i campi non sono nella medesima sequenza) e questo può ulteriormente creare confusione nel cittadino…
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PS. 31/4/2022
Sembra che oggi funzioni l’autenticazione alla pagina dell’Estratto conto partendo dal link (http://portale.servizi.soris.torino.it/pagonet2/default/homepage.do) fornito nella email della Soris: ieri hanno probabilmente avuto problemi nella gestione dell’autenticazione con SPID, inconcepibile per un sito pubblico che deve garantire comunque un’operatività 24/24 7/7 almeno per l’accesso al sito, non pretendo per tutti i servizi!Forse ci potrebbe essere stata qualche segnalazione (magari qualche messaggio tra le news dell’homepage del sito Soris?) che evidenziava tale disservizio, ma sicuramente questa non era visibile eseguendo la procedura indicata nella email della Soris, vale a dire procedendo a partire da quel link fornito: se la problematica era conosciuta, costava tanto almeno mettere tale avvertimento di momentanea indisponibilità del servizio nella pagina per l’autenticazione a cui quel link portava?
Permangono comunque valide le considerazioni fatte relativamente alla non adeguata facilità per un cittadino nell’espletare l’obbligo fiscale a suo carico e di cui ha ricevuto notifica…
Da inizio anno scolastico seguo un percorso formativo del Centro Formazione Musicale (CFM) che comprende anche un corso di teorico di teoria musicale. Da alcuni appunti che ho preso dalle lezioni tenute dal prof. Stefano Macagno nasce questo post che principalmente ha per me lo scopo di fissare meglio nel tempo alcuni concetti fondamentali appresi, oltre a essere magari di utilità anche ad altre persone che stanno seguendo il corso ma che magari mancano a qualche lezione.
Ovviamente è un post in divenire in quanto lo completerò man mano con i successivi appunti.
Inoltre, non intende essere né esaustivo né punto di riferimento: potrei anche avere capito non tutto correttamente e quindi contenere errori! Anzi… se trovate errori o imprecisioni fatemelo sapere (personalmente o nei commenti) che effettuo la dovuta correzione!! 🙄
Partendo da appunti presi, questo post non può essere più di tanto discorsivo, né tanto meno esaustivo: intende esclusivamente sintetizzare alcuni concetti teorici di base, anche se forse solo seguendo dal vivo le lezioni questi possono essere compresi appieno: io stesso, negli anni avevo cercato di leggere libri di teoria musicale, trovando ostici alcuni concetti che ora invece, a poco a poco, incomincio a capire grazie all’insegnante. Forse la cosa più importante è stata comprendere come sia indispensabile conoscerli e interiorizzarli se si intende davvero crescere come musicisti seppur a livello amatoriale e di conseguenza dedicare il dovuto impegno, indispensabile affinché questo processo lento di apprendimento faccia il suo giusto corso, senza interrompersi troppo presto alle prime difficoltà…
A integrazione delle annotazioni da me prese durante le lezioni, per descrivere meglio alcuni concetti, ho inserito immagini e spiegazioni trovate anche su Internet in quanto è certamente inutile ridisegnare o riscrivere concetti già ben consolidati e ben descritti altrove su siti dedicati. Questi sono i link dei siti principali da cui ho preso alcune figure, anche se alcune le ho trovate semplicemente ricercandole tra le immagini con un motore di ricerca: vi invito comunque a visitarli anche direttamente in quanto sono quelli più interessanti che ho trovato al riguardo. In alcuni ci sono anche test interattivi che possono servire per rendere meno noioso l’apprendimento! Ben vengano poi, tra i commenti, suggerimenti di altri link utili!
Nella scrittura musicale tradizionale i suoni si indicano con precisi simboli grafici, detti note, collocati in base all’altezza su un rigo particolare chiamato pentagramma:
___________ La chiave
La chiave più usata è la chiave di violino, detta anche chiave di Sol, perché stabilisce l’esatta posizione del Sol sul 2a rigo.
Chiave di violino, detta anche chiave di Sol,
La chiave di basso, detta anche chiave di Fa (nota sul 4o rigo, al livello dei due punti del simbolo che la caratterizza), serve per scrivere suoni con registro più grave rispetto alla chiave di violino e per questo si colloca al di sotto di quest’ultima. Entrambe le chiavi si incontrano sul Do centrale (Do3, cioè la terza ottava) evidenziato nell’immagine seguente: con ottava si definisce la distanza tra una nota e la medesima nota più in alto o più in basso e tale termine si usa anche per misurare l’estensione degli strumenti (e.g. una chitarra ha generalmente una estensione di 4 ottave, poco più di una normale voce umana). Una stessa nota o melodia può essere suonata identica a ottave diverse (e.g. spesso uomini e donne cantano la stessa melodia a un’ottava di distanza).
Doppio pentagramma, somma di chiave di violino e chiave di basso: evidenziato il DO centrale in comune
Ci sono poi anche altre chiavi musicali, per un tortale di sette (i.e. setticlavio). Ciascuna fornisce una sua “chiave di lettura” di una determinata gamma di altezze dei suoni: lo scopo di ciascuna è quella di riportare il più possibile le note dentro il pentagramma, rendono più leggibile la melodia.
Setticlavio = le 7 chiavi musicali: ciascuna fornisce una sua “chiave di lettura” di una determinata gamma di altezze dei suoni
Si noti che le asticelle delle note (dette anche stanghette) vanno sempre messe a destra verso l’alto e a sinistra verso il basso. Generalmente a partire dal DO centrale in senso ascendente, le asticelle si mettono in alto a destra fino al LA (secondo spazio), dal SI (terza linea) in poi si mettono in basso a sinistra.
È assai utile, anche solo per il solfeggio, imparare a memoria (in entrambi i versi) la sequenza delle note scritte negli spazi e quelle sui righi:
Le note negli spazi: FA – LA – DO – MI MI – DO – LA – FA
Le note sulle righe: MI – SOL – SI – RE – FA FA – RE – SI – SOL – MI
A queste 9 note (4 negli spazi e 5 sulle righe) si aggiungono alcune note sopra e sotto il rigo, come se il pentagramma proseguisse idealmente oltre le cinque linee. Queste note sopra e sotto il rigo hanno un piccolo taglietto chiamato taglio addizionale, il quale può essere posizionato a metà nota, subito sopra o subito sotto (taglio in testa o in gola):
Note sotto il pentagramma
Note sopra il pentagramma
A completare il pentagramma, esistono infine dei segni detti segni di ottava i quali hanno l’effetto di alzare o abbassare di un’ottava i suoni che abbracciano. Ad esempio, nel pentagramma seguente le note scritte sul lato sinistro della figura, sotto al segno 8va, equivalgono a quelle scritte sul lato destro della figura, perché il segno di ottava alta ci indica che tutte le note da lui abbracciate vanno suonate all’ottava superiore:
Il segno 8vasposta le note all’ottava superiore
Analogamente il segno di ottava bassa si scrive con 8vbe sposta le note all’ottava inferiore, per cui nell’esempio seguente tutte le note abbracciate dalla parentesi vanno interpretate all’ottava inferiore rispetto a quanto scritto:
Il segno di 8vb sposta le note all’ottava inferiore
Partendo dalle prime sillabe dell’Inno a San Giovanni Battista di Paolo Diacono, cioè“Ut, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si”, Guido d’Arezzo ha dato i nomi alle note musicali vrso l’anno 1000. L’Ut sarà poi sostituito qualche secolo dopo con il Do da Giovanni Battista Doni. Gli anglosassoni continuano ad indicare le note con lettere dell’alfabeto per cui sovente gli spartiti riportano quella notazione che deve essere quindi conosciuta:
C
D
E
F
G
A
B
DO
RE
MI
FA
SOL
LA
SI
Notazione anglosassone dei nomi delle note
4 ottave
Chiave di violino: posizione sul rigo delle rispettive note alle diverse altezze
__________ Il valore
Per indicare la durata dei suoni si utilizzano una serie di figure, le note musicali, che hanno l’una il valore doppio dell’altra:
Il valore delle singole note musicali è variabile tra4/4 (semibreve) e 1/64 (semibiscroma). Si tratta di figure di valore che assumono un significato temporale solo quando contestualizzate con una pulsazione specifica (i.e. velocità metrometrica). Infatti è quest’ultima che determina la velocità di esecuzione di tutte le note del pentagramma e il valore delle note indicate è solo una indicazione di relazione tra le stesse: ogni simbolo indica la durata della metà di quello precedente e del doppio di quello seguente.
8/4 Breve (rara: si usa talvolta solo più per i 4/2)
4/4 Semibreve
2/4 Minima
1/4 Semiminima
1/8 Croma
1/16 Semicroma
1/32 Biscroma
1/64 Semibiscroma
Quando in un passaggio ci sono 2 o più note in successione del medesimo valore (e.g. crome, semicrome), si usa raggrupparle nel modo seguente: ♫ ♬
Raggruppamento di semicrome
A ciascuna figura musicale corrisponde una figura di pausa, per indicare un silenzio di pari durata. Nel seguito le diverse figure di pausa dalla semibreve alla semibiscroma:
Figure di pausa
____________ La durata
Il pentagramma non intende registrare la durata effettiva di un suono, ma la sua durata relativa. Ci interessa quanto dura un suono in relazione ai suoni che lo precedono e lo seguono: questa durata relativa dipende a sua volta dalla velocità di esecuzione del brano. La velocità di esecuzione viene data dal metronomo che fornisce delle pulsazioni regolari (indicate anche come battito) riferite a un particolare valore: questo viene indicato normalmente all’inizio brano sopra il pentagramma e fornisce la velocità esatta con cui deve essere eseguito (e.g. 60 ela figura di semiminima: cioè 60 battiti al minuto, un battito ogni secondo). Sopra il pentagramma (quello più in alto se ci sono più strumenti) può poi esserci anche una dicitura qualitativa (e.g. Presto, Allegro, Adagio, Largo, Allegretto, Vivace, Andante Moderato) a indicare l’espressività del brano stesso. Una pulsazione prevede sempre un’andata e un ritorno, vale a dire è composta da due movimenti (almeno nei tempi semplici: si vedrà che nei tempi composti la suddivisione può esere, ad esempio, ternaria anziché binaria, per cui in quel caso ogni movimento si divide in tre parti anziché due).
I suoni sono raggruppati in battute o misure musicali (separate da stanghette verticali), la cui grandezza è indicata al principio del brano musicale da una indicazione di tempo. Ogni misura si scompone in tempi (o movimenti). In altre parole, le battute/misure sono dei raccoglitori di note musicali delineate da barrette verticali e in ciascuna ci deve essere sempre lo stesso valore di note come espresso all’inizio del rigo musicale (e.g. 4/4), cioè la loro somma deve essere sempre pari a quel valore. Si noti che un tempo, alle origini della scrittura musicale, le battute non c’erano e venivano messe solo delle virgole ad indicare quando si doveva respirare nel canto: la riproduzione della scrittura del brano/canto era quindi approssimativa.
L’indicazione di tempo si scrive al principio del rigo, subito dopo il simbolo della chiave musicale: il numero sopra indica il numero di pulsazioni, quello sotto il valore di ciascuna singola pulsazione. Nel seguito alcuni esempi di misure semplici di 2/4, 3/4 e 4/4:
Riga 1 -> tempo di 2/4 – Riga 2 -> tempo 3/4 – Riga 3 -> tempo di 4/4
Da quanto detto (numeratore = numero dei tempi, denominatore = valore di ciascuno di questi tempi) si deduce che le seguenti notazioni sono equivalenti e portano a suonare un brano nel medesimo modo:
4/2 (i.e. 4 pulsazioni da 1/2) con indicata la minima (i.e. 1/2) con durata di 60 pulsazioni (al minuto)
4/4 (i.e. 4 pulsazioni da 1/4) con indicata la semiminima (i.e. 1/4) con durata di 60 pulsazioni (al minuto)
4/8(i.e. 4 pulsazioni da 1/8) con indicata la croma (i.e. 1/8) con durata di 60 pulsazioni (al minuto).
Generalmente l’unità di misura utilizzata è la semiminima.
Quando un brano musicale ha un tempo di 2/4, significa che per tutto il brano (o parte di esso) le figure musicali, note e pause, saranno suddivise in gruppi di 2/4, cioè raggruppate inbattute di quella durata complessiva, essendo per definizione la battuta lo spazio tra due stanghette consecutive del pentagramma.Una volta stabilito il tempo di un brano, ovvero la grandezza delle misure musicali, queste potranno contenere una qualunque combinazione di valori, purché ciascuna misura contenga un valore di note (o pause) pari a quello stabilito: la somma dei tempi delle note in ciascuna battuta deveperciò corrispondere sempre al tempo indicato al principio del rigo.
Concetto differente dalla pulsazione è il ritmo, che è ciò che si ripete uguale nel tempo: si parla di ritmo quando si può individuare una cellula che si ripete, quindi non solo in musica ma anche in altri ambiti come, ad esempio, quello visivo. All’interno della battuta sono posti gli accenti dei vari ritmi che variano a seconda della tipologia (e.g. binario, ternario, quaternario), in numero pari a quello previsto dal ritmo stesso: il ritmosi definisce come una successione di suoni, ordinati in base ad accenti forti e deboli, che si susseguono in modo regolare. Ad esempio, in un ritmo binario(e.g. marcia: primo accento forte e secondo debole) ci sono due accenti (tempi o movimenti), in uno ternario(e.g. valzer, mazurka: primo accento forte e altri due deboli) tre, in quello quaternario(e.g. tango: primo accento forte e altri tre deboli, anche se il 3o è un po’ più forte del 2o e del 4o) quattro e così via.
In tempo è indicato con una frazione numerica. Si definiscono tempi semplici quelli i cui movimenti vengono suddivisi binariamente(e.g. per un tempo 4/4 avrò due suddivisioni per ciascun quarto: u-no, du-e, tre-e, qua-ttro): il numeratore indica il numero dei movimenti, mentre il denominatore il valore di ciascuno dei movimenti. Al numeratore si possono avere i numeri da 1 a 7 (sebbene il tempo con 5 o 7 movimenti sia piuttosto raro). I principali raggruppamenti sono perciò il 2/4 (tempo binario, e.g. tango), il 3/4 (tempo ternario, e.g. valzer) e il 4/4 (tempo quaternario o tempo comune): in tutti questi tre tempi il valore di ogni movimento (cioè l’unità di tempo) è la semiminima (che dura appunto 1/4) e la suddivisione è binaria (e.g. due crome appunto da 1/8). Ad esempio, al posto di 1/4 – che corrisponde alla semiminima – posso mettere 2/8 – cioè due crome ciascuna di 1/8. Sul primo tempo di ogni misura cade un accento più forte dei successivi (e.g. UN due tre quattro).
Si noti che il tempo di 4/4, essendo molto utilizzato si chiama anche tempo comune, e si può anche indicare anche con una C: si noti che non si tratta l’iniziale di “comune” bensì di un cerchio spezzato, cioè un tempo imperfetto secondo le antiche concezioni storiche all’origine delle indicazioni temporali che consideravano invece perfetto un tempo che avesse come numeratore il 3, indicato infatti con un cerchio, considerato all’epoca la figura perfetta.
Anche 3/8 è un tempo semplice in cui la durata dei tempi (pulsazioni) e pari a 1/8 anziché 1/4 come nei casi precedenti. I tempi 3/8 e 3/4 hanno una struttura ritmica uguale quando si tratta di contare il tempo sebbene nei 3/8 ciascun tempo duri 1/8 (e non 1/4) per cui in genere si preferisce utilizzarla per tempi veloci o per motivazioni storiche relative a generi musicali.
Esistono poi anche tempi composti, utilizzati soprattutto nelle danze (ma sono molto presenti anche nelle suites di Bach) in cui la suddivisione non è binaria, ma ad esempio ternaria per cui ogni movimento si divide in tre parti anziché due: si tratta d’indicazioni di tempo basate su figure di croma a gruppi di tre (per approfondire l’argomento vedi tempo semplice e tempo composto) anziché in gruppi di due come nei tempi semplici. Perciò una misura si dice composta quando i suoi movimenti vengono suddivisi ternariamente: in questo caso il numeratore indica il numero delle suddivisioni, mentre il denominatore il valore di ciascuna di quelle suddivisioni. Il numeratore delle battute di questo tempi è un multiplo dei tempi semplici (i.e. numeratore del tempo semplice x 3, come 2×3=6, 3×3=9, 4×3=12, 5×3=15): in questo caso, a differenza del tempo semplice, in numeratore indica quante suddivisioni ho nella battuta e non i movimenti – che posso dedurre dividendo per 3 quel valore di numeratore. Il denominatore indica il valore di ogni suddivisione e può essere 2, 4, 8 o 16 (raro). I tempi composti più usati sono 6/8, 9/8 e 12/8: avendo questi tutti come denominatore 8, il valore di ogni suddivisione è la croma (che vale appunto 1/8). Nei tempi composti non si mette l’accento solo sulla prima nota di ciascuna misura come avviene nei tempi semplici, ma si ha anche un ulteriore accento meno intenso sulla prima nota di ogni gruppo ternario successivo (e.g. in un 6/8: UN due tre QUATTRO cinque sei; in un 9/4: UN due tre QUATTRO cinque sei SETTE otto nove) Il ritmo è binario per i 6/8, ternario per i 9/8 e quaternario per i 12/8 dal momento che, se divido il loro numeratore per 3 trovo appunto ricondurmi ai tempi semplici corrispondenti (i.e. 6:3=2 movimenti; 9:3=3 movimenti; 12:3=4 movimenti). Perciò due battute simili come il 3/4 e 6/8 (entrambe con 6 crome) si distinguono in base al numero di movimenti e al relativo ritmo applicato (nel tempo semplice 3/4 ho tre movimenti con suddivisione binaria con un accento ogni due note, mentre nel caso del tempo composto 6/8 ho due movimenti con suddivisione ternaria con un accento ogni tre note).
Si noti che spesso, un ritmo in 3/4 si trova anche scritto con una barra su tutte e sei le note. Le regole di notazione indica infatti che una barra può raggruppare più battute insieme, purché la prima battuta sia la più forte del gruppo.
Analogamente un ritmo in 12/8 consiste di quattro movimenti con suddivisione ternaria con un accento ogni tre note:
In questo link puoi trovare esempi di brani con tempi semplici e composti.
Può capitare che all’interno di uno stesso tempo ci siano irregolarità ritmiche, come ad esempio in un brano con tempo binario ci può essere un gruppo di note in un tempo composto: possono esserci quindi anche gruppi irregolari, in cui alcune note sono espresse con i simboli grafici sui quali viene però posto un piccolo numero (e.g. 3, 5 o 7) che ne modifica la durata in modo da renderle, ad esempio, terzine o sestine. Questo avviene quando, per esigenze espressive, si devono inserire in uno o più tempi di una misura semplice delle figure che suddividano ternariamente (anziché binariamente) questi tempi. In pratica, è come inserire tre note invece di due note: si utilizza la terzina, un 3 sopra il gruppo di note. Si parla di duina, terzina, quartina e sistina.
La legatura del gruppo di note irregolari può essere rotonda o quadrata o addirittura mancare, nel qual caso si capisce che tale gruppo è irregolare dal contesto (e.g. se sono in 2/4 e ho tre crome, il contesto mi dice che queste sono una terzina). In un tempo composto saranno gruppi irregolari duina e quartina regolari in un tempo semplice mentre la terzina e sestina (che sarebbero regolari in un tempo composto) sono irregolari in un tempo semplice. Devo comunque sempre dividere un movimento in tante parti uguali in base a quante sono le note da inserire dentro.
Esiste poi la quintina, formata quindi da 5 note, che risulta irregolare in qualsiasi tempo la si inserisca: anche in questo caso rimane importante dividere esattamente il movimento in cinque parti uguali.
Segni di prolungamento del suono:
Punto di valore: aggiunge alla nota metà del suo valore (e.g. una figura di semibreve, che da sola vale 4/4, con aggiunto il punto di valore assume un valore di 6/4; una figura di minima, che da sola vale 2/4, con il punto di valore assume un valore di 3/4). Il punto doppio: il primo punto aumenta il valore della nota della metà; il secondo punto aumenta il valore della nota della metà di quello del primo punto (i.e. un ulteriore quarta parte della durata originaria della nota). Il punto triplo: il primo punto aumenta il valore della nota della metà; il secondo punto aumenta il valore della nota della metà di quello del primo punto; il terzo punto aumenta il valore della nota della metà di quello del secondo punto.
Punti di valore e corrispondenti legature di valore
Legatura di valore: può legare un numero indefinito di suoni di altezza uguale (e.g. Do con Do, Re con Re) e ne somma il valore. In questo modo, un suono può assumere una qualunque durata: le due note legate insieme producono un unico suono, che dura quanto la somma dei due suoni. Si supera così il limite del punto di valore che può aumentare la durata solo della metà del valore precedente, sebbene sia di più agevole scrittura (vantaggio evidente soprattutto un tempo quando gli spartiti venivano scritti a mano!).
Legatura di portamento: collega due o più note poste ad altezze diverse sul pentagramma: l’accentuazione del suono va posta sulla prima nota e prolungata su tutte le altre senza interruzione fra esse;
Legatura di frase: analoga alla precedente, ma contempla un numero maggiore di note. Posta su tutta la frase musicale o su una parte di essa, è frequente il caso in cui una legatura di ampie dimensioni abbracci altre legature di più piccole dimensioni. La più ampia, che è una legatura di frase, segna la divisione dei periodi, delle frasi o delle mezze frasi, mentre le altre, che sono chiamate sotto-legature indicano le parti più piccole, come i frammenti di frase e gli incisi. S’intende che le sotto-legature in confronto alle altre legature hanno minore importanza e quindi devono avere un’accentazione meno rivelante:
Tipologie di legature
Sotto-legature
Corona: prolunga il suono in modo indefinito oltre il suo valore. La durata effettiva di questo suono è lasciata all’esecutore che deve interpretare questo segno in base sia al contesto musicale sia ai propri gusti e convinzioni.
Punto di valore (es. 1 e 2), legatura di valore (e. 3), corona (es. 4)
_____________ Il solfeggio
Un ottimo libro per il solfeggio è il Balilla Pratella – Teoria della musica che si può acquistare qui (o si può trovare abbastanza agevolmente in Rete da scaricare in pdf).
Per il solfeggio cantato il CFM utilizza il libro Solfeggiar Cantando di Flavio Bar con indicazioni metodologiche a cura di Guido Canavese, entrambi docenti del centro con spiccate doti didattiche (oltre che artistiche): potete trovare la registrazioni “in classe” di alcuni esercizi da questa area che ho condiviso.
Conviene comperarsi un quaderno pentagrammato, scegliendone uno con 12 pentagrammi per foglio e senza spazi per le parole (ad esempio questo): sebbene il costo di tale quaderno sia davvero irrisorio, come possibile alternativa si può usare BlankSheetMusicche offre la possibilità di preparare spartiti musicali personalizzati con la chiave e il tempo che si possono stampare e su cui su cui si può scrivere la propria musica a mano.
Soprattutto agli inizi, il solfeggio con movimenti con la mano aiuta a definire la durata delle note all’interno di una battuta. Per un tempo di 4/4 i movimenti da fare con la mano vanno (partendo da un centro ideale) verso il basso per tornare al punto centrale, verso il corpo (a sinistra per i non mancini) per tornare al punto centrale, distante dal corpo (a destra per i non mancini) per tornare al punto centrale, in alto per tornare al punto centrale: U-no / Du-e / Tre-e / Quat-tro. Ciascuna parte di movimento (in alto, in basso, a destra o a sinistra), corrisponde a 1/8 cioè a una croma. Ovviamente se ci sono note di diverso valore in quella battuta, il solfeggio dovrà essere temporizzato opportunamente.
Ad esempio, per un Do di diversa durata si solfeggerà:
semibreve: Do – o / o – o / o – o / o – o (4 movimenti)
minima: Do – o / o – o (2 movimenti)
semiminima: Do – o (1 movimento)
Per due note Do e Re:
minime: Do – o / o – o / Re – e / e – e (2 + 2 movimenti)
semiminime: Do – o / Re – e (1 + 1 = 2 movimenti)
crome: Do – Re (1/2 + 1/2 = 1 movimenti)
Per quattro note Do, Re, Mi e Fa:
semiminime: Do – o / Re – e / Mi – i / Fa – a (1 + 1 + 1 + 1 = 4 movimenti)
crome: Do – Re / Mi – Fa (1/2 + 1/2 + 1/2 +1/2 = 2 movimenti)
semicroma: Do – Re – Mi – Fa (1/4 + 1/4 + 1/4 + 1/4 = 1 movimento)
Sebbene soprattutto inizialmente risulti molto difficile, si tenga conto che il solfeggio deve avere continuità tra le battute (i.e. anche se c’è la stanghetta, la continuità di esecuzione temporale deve essere mantenuta e non ci si deve interrompere nel solfeggio). Anche per questo motivo, soprattutto inizialmente conviene mettere la pulsazione del metronomo sufficientemente bassa, sicuramente < 45 pulsazioni (al minuto) per ciascuna semiminima (una pulsazione per ciascuno dei doppi 4 movimenti completi).
Inoltre, la scansione nella durata di ciascuna nota (e.g. Do – o / o – o / o – o / o – o), sebbene possa essere didatticamente utile in un primo momento, deve scomparire mantenendo semplicemente nel tempo la durata della nota, così come avviene se uno la canta o la suona.
Per imparare a leggere a prima vista le note sul pentagramma, conviene esercitarsi con costanza tutti i giorni, magari partendo a leggere esercizi che introducono gradualmente solo un sottoinsieme di note. Utile può inoltre risultare l’utilizzo di risorse didattiche disponibili online anche gratuitamente come questa, ad esempio.
Il singolo movimento in una stessa direzione si dice anche in battere se si allontana dal centro e in levare se ritorna al centro.
Solfeggio di una semibreve (durata 4/4) di DO: Do – o / o – o / o – o / o – o
Si noti che i suoni vengono emessi dove viene indicato il numero (i. e. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8) per cui, nel caso di esempio della precedente figura il Do, si pronunzia sul battere 1, e seguino i successivi “o” sui levare e battere successivi: perciò nel primo movimento dal centro verso il basso non suona nulla. Successivamente si può anche solo battere il tempo semplicemente con un movimento in giù e in su per ciascuna pulsazione, sempre tenendo a mente quando termina ciascuna battuta. Anche in questo caso il suono inizia sul battere (e.g. quando suona il metronomo): ad esempio, con un tempo di x/4, una semiminima (che dura 1/4) si suona dal battere della mano in basso fino a quando questa ritorna in alto.
In ultima istanza, le pulsazioni si interiorizzano e sono presenti solo nella propria mente!
Per “grado congiunto” si intende l’esecuzione di uno o più suoni consecutivi (ascendenti o discendenti) nell’ordine della scala musicale (e.g. DO – RE – MI): i suoni per grado congiunto possono essere distanti tra loro di 1 tono o di 1 semitono (i.e. MI – FA; SI – DO).
Procurarsi uno strumento a tastiera (o anche solo una delle tante app) o comunque uno strumento con suono determinato, cioè capace di riprodurre un suono preciso per ogni nota, meglio se polifonico, cioè in grado di suonare più note contemporaneamente costruendo degli accordi “armonici”. Solo la tonalità di DO maggiore/LA minore non hanno note alterate (i.e. su una tastiera si suonano solo i tasti bianchi).
Studiare anche il solfeggio parlato che è propedeutico a quello cantato in cui ciascuna nota non viene sono enunciata a parole ma anche intonata in altezza. Solo dopo avere individuato bene quali sono le note del brano e la loro durata, possiamo infatti anche inquadrare la tonalità nell’orecchio e nella voce.
Si guarda qual è la tonalità del brano sulla base sia delle armature in chiave sia delle note presenti al termine del brano per scoprire se si è nella tonalità maggiore o minore. Ad esempio, se c’è una sola chiave di # sul FA, si può essere nella tonalità di SOL maggiore o in quella di MI minore. Si vanno a vedere le ultime note (ed in particolare l’ultima) per scoprire quali ricorrono: se ci sono quelle dell’accordo di SOL maggiore (i.e. SOL SI RE) e non quelle di RE minore (i.e. RE FA LA, essendo la triade di RE maggiore formata da RE FA# LA) vuol dire che molto probabilmente è un brano nella tonalità di SOL maggiore.
Inquadriamo la scala di quella tonalità (e.g. SOL LA SI DO RE MI FA# SOL) e l’arpeggio del suo accordo (SOL SI RE SOL): questo consente di farci capire in che ambito ci muoviamo e quindi che intonazione dobbiamo avere con la nostra voce.
Prendiamo ogni frase (e.g. fino alla prima ripetizione o alla prima pausa o, ancora, fino ad una serie di battute – 2 o 4 – e ripetiamo su quell’inciso fin quando non siamo sicuri di eseguirlo correttamente sia come intonazione (con l’ausilio di una tastiera) e del tempo (con l’aiuto di un metronomo). Conviene provare ciascuna battuta fin quando la si esegue correttamente prima di passare alla successiva: nello studio di un brano mai ripetere perciò da capo a fondo!
L’attacco iniziale di una composizione si può presentare attraverso diverse tipologie ritmiche determinate dalla diversa disposizione degli accenti all’interno di una battuta.Per quanto attiene i ritmi iniziali, in base alla diversa collocazione degli accenti all’interno della battuta si possono distinguere tre tipologie fondamentali:
Tetico: [dal greco tesis = accento forte (battere)] un ritmo viene definito tetico quando il suo inizio coincide col battere. In altre parole, si ha un ritmo tetico quando la battuta iniziale è completa nei suoi valori ritmici e prende avvio sulla prima pulsazione della prima battuta corrispondente con l’accento naturale della battuta.
Anacrusico: [dal greco anacrusis = spingere in alto, in levare) la prima battuta non è compiuta nel suo valore ritmico presentando un frammento che introduce musicalmente l’accento forte sulla seconda battuta, vale a dire la prima completa. La frase musicale inizia in levaretagliando la parte iniziale della prima battuta di un brano. Di norma, ma non sempre, l’ultima battuta del brano ha la durata uguale a quella tagliata dalla prima, in modo che nel brano si completino.
Acefalo: [dal greco akefalos = senza testa] designa un ritmo che inizia con una pausa in corrispondenza del tempo forte: in battere non c’è un suono. Quindi un ritmo acefalo o tetico decapitato si verifica quando la prima battuta, completa dal punto di vista dei suoi valori ritmici, presenta una pausa nel movimento forte, il primo, mentre la prima nota si trova sul tempo debole successivo. Quasi sicuramente ci sarà qualche altro strumento che suonerà con uno spartito in tetico nel tempo di pausa dello spartito acefalo del mio strumento.
________ Sincope e controtempo
La sincope è un effetto sonoro/effetto ritmico prodotto dalla scansione di un suono sentita, nel contesto della composizione, come in anticipoo in ritardo rispetto alla regola implicita in una misura data. È avvertita come una sfasatura di accento in quanto il suono comincia su un tempo o una suddivisione di tempo debole (o più debole) invece che sul tempo o la suddivisione di tempo forte (o più forte) ad essa pertinente: la legatura , per determinare una sincope deve perciò essere da un accento debole ad uno forte com nel caso di nota di fine battuta e una di inizio battuta, sebbene non necessariamente debba essere tra due battute. Si verifica quando un suono inizia su un accento debole e si prolunga su un accento forte. Si sente maggiormente se i tempi si accelerano.
Si noti che anticamente le battute non esistevano e la musica seguiva il testo delle parole, esistendo solo delle virgole ad indicare quando si doveva respirare nel canto. Ora con l’evolversoi della notazione musicale, la musica è divisa in battute che racchiudono un loro senso ritmico.
I tempi che compongono una battuta (e che sono uguali per tutte le altre battute salvo cambiamenti di tempo in corso) hanno per convenzione naturale un certo tipo di accento e questo accento può essere forte, mezzoforte oppure debole. In pratica, ogni qualvolta si incontrerà in una battuta un tempo con l’accento forte, si dovranno suonare le note di quel tempo “più forte” delle altre, con l’accento mezzoforte un pochino di meno del forte. Il normale comportamento degli accenti all’interno della battuta dipende da quanti tempi ci sono in essa:
Battuta in 2 tempi (misura binaria, e.g. 2/4): – forte il primo; – debole il secondo.
Battuta in 3 tempi (misura ternaria, e.g. 3/4, valzer): – forte il primo; – debole il secondo; – debole per il terzo.
Battuta in 4 tempi (misura quaternaria, e.g. 4/4): – forte il primo; – debole il secondo; – mezzoforte il terzo; – debole il quarto.
Si possono distinguere diversi tipi di accento che, oltre a definire il senso ritmico del brano (metrico e ritmico), hanno un carattere espressivo e comunicano il pensiero musicale dall’autore (dinamico e agogico e melodico). In particolare:
Accento metrico (o dimisura): cade sul primo movimento di ogni misura e non viene indicato graficamente e coincide con il battere. Nella maggior parte delle volte non si avverte, o meglio nell’esecuzione non è dato un certo rilievo artistico-interpretativo. Invece in alcune composizioni come il valzer (misura ternaria semplice), la marcia (misura binaria o quaternaria semplice o composta), l’accento metrico si deve far sentire perché esso fa parte dello stile del brano o composizione.
Accento dinamico: non ha un posto prestabilito fra i tempi o suddivisioni della misura e può quindi essere appoggiato su una nota qualsiasi della misura con l’effetto di rinforzarne l’intensità. Questo tipo di accento è molto utilizzato nel caso ritmi sincopati, dove ha la funzione di rinforzare la suddivisione o il tempo debole. Il simbolo grafico che lo individua è il simbolo maggiore “>“e può essere collocato posto sopra o sotto la nota sulla quale cade l’accento: in questo modo si può stravolgere l’accento della battuta. L’accento dinamico è anche quello che determina il modo d’attacco del suono da parte di una voce o di uno strumento (e.g. normale, appoggiato, staccato, sforzato).
La sincope consiste essenzialmente nello spostamento di uno o più accenti rispetto la cadenza naturale appena vista per cui la nota parte sull’accento debole di una battuta per prolungarsi su quello forte della battuta successiva annullandolo.
Normalmente questo particolare effetto si presenta graficamente nel seguente modo: nota di una certa durata – una o più note di durata doppia – nota di durata uguale alla prima (e.g. croma – semiminima – croma; semiminima – minima – semiminima). Per farla sentire maggiormente si può fare più veloce e/o la prima nota la faccio un po’ più corta, lasciando un piccolo vuoto prima di eseguire la seconda nota accentandola.
La teoria musicale distingue quattro tipologie fondamentali di sincope:
Sincope regolare: figurazione ritmica costituita da note di pari valore da cui deriva uno spostamento di accento sempre uguale e regolare.
Sincope regolare
Sincope irregolare: figurazione ritmica costituita da note di valore differente da cui deriva uno spostamento di accento diseguale e irregolare.
Sincope irregolare
Sincope semplice: si verifica un solo spostamento d’accento;
Sincope composta: avviene lo spostamento di più accenti e viene anche detta andamento sincopato.
Sincope composta (andamento sincopato)
Il controtempo (o contrattempo) è un effetto ritmico simile alla sincope musicale ed è prodotto da una scansione di note sugli accenti deboli della battuta e di pause sui forti. In altre parole, i suoni in contrattempo si distinguono dalla sincope perché non si prolungano sulla parte forte della misura, ma si alternano con pause (e.g. un pà, un pà). Anche il contrattempo può distinguersi in regolare o irregolare e lo si può ritrovare sia nei tempi sia semplici sia composti. Nota: altra cosa è il contrappunto (i.e. nota conto nota) in cui altri strumenti coprono le pause di un brano cercoando di riempire tutte le pulsazioni (e.g. con un altro strumento o la batteria).
________________ Altezzae alterazioni (accidenti)
Il dizionario definisce l’altezza dei suoni con due termini acuto e grave. Siamo abituati a considerare alti i suoni acuti e bassi i suoni gravi sebbene sia una convenzione del tutto arbitraria. Infatti, se è vero che i suoni acuti si scrivono in alto sul pentagramma e quando li cantiamo abbiamo la sensazione che la voce sia “in testa” (mentre i suoni gravi sembrano vibrare nel terreno e nella pancia – quindi dal basso), è anche vero che in uno strumento a corda, i suoni gravi escono dalle corde più lunghe (i.e. alte) e i suoni acuti da quelle più corte (i.e. basse) così come avviene analogamente con le canne dell’organo dove quelle più alte emettono suoni gravi mentre quelle più basse emettono suoni acuti.
I suoni si ripetono in modo ciclico (i.e. a distanza di 12 semitoni) e ciascun suono ha una relazione speciale con quello che si trova esattamente a quelle distanze (e.g. 12 semitoni sopra o 12 semitoni sotto). I suoni si ripetono in modo simile in registri differenti, indicati con il termine tecnico ottava. Infatti, il sistema musicale adottato in occidente, sin dai tempi di J.S. Bach, è costituito da 7 note, alterando ognuna delle quali si ottengono i 12 gradini.
Nella notazione musicale, un’alterazione o accidente (ENG: accidents) è un simbolo che, anteposto a una nota sul pentagramma o scritto nell’armatura di chiave, ne modifica l’altezza. Esistono due categorie di alterazioni, a seconda della durata del loro effetto:
Costanti (o in chiave): vengono scritte immediatamente dopo la chiave, il cui effetto, valido per ogni ottava, perdura per tutto il brano, salvo nuova indicazione (cambiamento di tonalità). Il loro numero permette di stabilire la tonalità del brano.
Transitorie (o momentanee): vengono anteposte alla nota. Il loro effetto ha validità dal punto in cui vengono poste fino alla fine della battuta e valgono solo per la nota alterata nella stessa ottava.
Esistono poi anche le cosiddette alterazioni di precauzione o di cortesia, che vengono scritte generalmente tra parentesi: servono solo a ricordare all’esecutore la giusta altezza della nota nei casi in cui ciò non sia facilmente comprensibile leggendo lo spartito (utili in caso di frequenti cambi tra nota alterata e naturale, in prossimità di cambi di tonalità, in situazioni armoniche ambigue o complesse, in caso di notevole distanza tra la prima nota alterata e la successiva all’interno della stessa battuta).
Le alterazioni (o accidenti) si dividono in:
Ascendenti: diesis (♯) (ENG: sharp) e doppio diesis (♯♯), utilizzati per contrassegnare un innalzamento rispettivamente di 1 e 2 semitoni cromatici rispetto al suono naturale;
Discendenti: bemolle (♭) (ENG: flat) e doppio bemolle (♭♭) che sono utilizzati per contrassegnare un abbassamento rispettivamente di 1 e 2 semitoni cromatici rispetto al suono naturale.
Inoltre esiste l’alterazione bequadro (♮) (ENG: natural) utilizzata per annullare l’effetto di quelle precedenti, riportando alla loro originale naturale altezza le note eventualmente presenti su quel rigo/spazio fino a fine battuta: il singolo bequadro annulla qualsiasi alterazione, singola o doppia. Tuttavia, talvolta il segno di bequadro viene raddoppiato nell’annullare una doppia alterazione, anche se tale variante è puramente grafica: la transizione da doppio diesis a diesis singolo o da doppio bemolle a bemolle singolo è comunemente notata rispettivamente con un bequadro seguito da un diesis o bemolle.
Nel nostro sistema tonale temperato (detto anche sistema equabile) ci sono 12 tonalità:
di cui 3 omologhe (nome diverso ma stesso suono): SI=DOb, FA#=SOLb, DO#=REb
Bach nel definire le tonalità ha mantenuto solo quelle 3 omologie in quanto non si superavano i 7 # o 7 b. Tutte le altre omologie non le invece ha considerate in quanto avrebbero comportato doppi ## o bb con solo complicazioni nella lettura di uno spartito e nessuna utilità esistendo già un’altra tonalità omologa (e.g. la tonalità di RE# non l’ha considerata in quanto avrebbe 2 doppi diesis ## e 5 diesis #, per un totale di 9 #: d’altra parte il MIb è una sua omologia ed è contemplata.
_______ Digressione: questa suddivizione rigida ha origine nel XVII secolo quando furono unificati artificialmente i semitoni che appartenevano ad altre scale in vigore a quell’epoca (e.g. scala pitagorica, scala naturale di Zarlino). In quel contesto l’ottava fu suddivisa in 12 semitoni tutti uguali. In realtà poi ogni tono è suddiviso in 9 comma ed esistono due tipi di semitono:
semitono cromatico in cui è la stessa nota alterata sia in alto con il diesis sia in basso con il bemolle (e.g. DO – DO#): questo è costituito da 5 comma;
semitono diatonico in cui il nome delle note è diverso (e.g. DO# – RE): questo è costituito da 4 comma.
Da qui risulta che il DO#, se si parte dal DO, è diviso in 5 piccole parti, così come il REb se si parte dal RE; se invece si ha un DO – REb o un RE – DO#, l’intervallo sarà suddiviso in 4 comma anzichè 5 per cui il suono che si ascolta risulta un po’ differente. Ovviamente tutto questo vale per quegli strumenti ad arco (e.g. il violino) e alcuni strumenti a fiato (e.g. la tromba) in cui non ci sono tasti predefiniti (e.g. come nel pianoforte dove il tasto nero tra il DO e il RE è analogamente DO# e REb) o ponticelli (e.g. come nella chitarra dove sul secondo tasto della seconda corda ho sia DO# sia REb) in grado di fornire già tutte le note, ma è il musicista che “costruisce” il suono spostando con continuità il dito. Sebbene si tratti di millimetri, il DO# tende leggermente più verso il RE mentre il REb tende leggermente più verso il DO. Perciò si può dire, ad esempio, che un DO# ha un’altezza leggermente superiore ad un REb. Se si suona solo pianoforte o chitarra, talvolta l’orecchio non è abituato a sentire questa minima variazione. ________
Ciascun gradino è detto Semitono e tra una nota e la successiva generalmente c’è un Tono (i.e. 2 Semitoni) eccetto che tra MI e FA e tra SI e DO, tra i quali c’è un solo Semitono: perciò MI# coincide con FA e SI# con il DO.
Scala cromatica (da DO3 a DO4)
Sebbene la scienza classifichi i suoni in acuti e gravi, in musica si preferisce parlare di suoni alti e bassi. Infatti, immaginare i suoni nello spazio, come alti e bassi su una scala, è molto utile sia per la lettura della musica sia per lo studio dell’armonia. Per questo la visualizzazione più classica dei suoni e quella che associamo con il concetto di scala musicale sebbene, in realtà, più che di una scala lineare, sarebbe meglio immaginarlo come una scala a chiocciola (elica in geometria) nella quale tutti i suoni simili sono esattamente uno sopra l’altro: c’è dunque una dimensione lineare (i.e. DO RE MI FA…), ma anche una dimensione verticale (DO2 è sopra DO1 e così via). Infatti, l’altezza del suono non ha solo due direzioni (alto/basso) in quanto ci sono suoni che si ripetono uguali, ma in registri differenti: se si suonano due note uguali, ma in un registro differente, un suono è più acuto dell’altro, ma in qualche modo l’orecchio li percepisce molto somiglianti.
Con il termine altezza indichiamo il grado d’intonazione di un suono in rapporto all’acuto o al grave.
Il concetto di scala musicale, più di una scala lineare, sarebbe meglio immaginarlo come una scala a chiocciola (elica in geometria)
La fisica acustica ci aiuta a spiegare questo fenomeno, in quanto l’altezza di un suono dipende dalla frequenza dell’onda sonora, ovvero dal numero delle sue vibrazioni (misurate in vibrazioni al secondo) e quindi l’altezza di un suono risulta misurabile in modo preciso: quando percepiamo un suono come più acuto rispetto a un altro, è perché la sua frequenza è maggiore (i.e. l’onda sonora ha un maggior numero di vibrazioni al secondo).
Nella figura seguente, l’immagine a destra corrisponde a un suono più acuto rispetto a quella di sinistra, perché il numero di vibrazioni al secondo è maggiore:
Nel suono a destra, il numero di vibrazioni dell’onda sonora è maggiore rispetto a quello a sinistra per cui risulta più acuto
Possiamo verificare questa realtà anche con uno strumento a corda come la chitarra: se pizzichiamo una corda meno tesa, produrrà un suono più grave rispetto a una più tesa. Infatti, la corda meno tesa oscilla più lentamente rispetto a quella più tesa e, di conseguenza, l’onda sonora prodotta avrà un minor numero di oscillazioni al secondo.
L’altezza di un suono è dunque misurabile in modo preciso e un suono acuto ha un numero di vibrazioni superiore a quelle di un suono grave. Ad esempio, la nota LA (che si scrive sul secondo spazio del pentagramma e che si usa per accordare gli strumenti) ha una frequenza di 440 vibrazioni al secondo.
Perciò, raddoppiando il numero delle vibrazioni si ottiene lo stesso suono a distanza di un’ottava (e.g. la nota LA sul secondo spazio ha una frequenza di 440 vibrazioni/secondo, mentre la nota LA all’ottava superiore ha una frequenza di 880 vibrazioni/secondo).
Salendo di un’ottava, il numero di vibrazioni/secondo raddoppia. Ad esempio, per il DO: 262, 524, 1048
Nel tratto di massima sensibilità dell’intervallo delle frequenze udibili (intorno ai 2÷3kHz) l’orecchio ha una risoluzione di circa 2Hz mentre, via via che ci si allontana da questa zona, la risoluzione va diminuendo di pari passo. L’effetto della frequenza sull’orecchio umano segue una base logaritmica, in altre parole, la maniera con cui l’altezza di un suono viene percepita è funzione esponenziale della frequenza. La comune scala musicale di dodici suoni ne è un esempio: quando la frequenza fondamentale di una nota è moltiplicata per 2 1/12, il risultato è la frequenza del semitono successivo in direzione ascendente. Andare più in alto di dodici semitoni, ovvero di un’ottava, è lo stesso che moltiplicare la frequenza della fondamentale per 212/12, ovvero raddoppiare la frequenza (per approfondire vedi: temperamento equabile). Come risultato si ha che la risoluzione nel riconoscimento della frequenza assoluta viene giudicata meglio dall’orecchio in termini di semitoni o in cent, cioè in centesimi di semitono.
Altro riscontro fisico si ha per due suoni con diversa intensità che dipende dall’altezza dell’onda sonora. Ad esempio, nella seguente immagine il numero di vibrazioni al secondo del primo suono è uguale a quello del secondo, ma quella di destra ha un’ampiezza maggiore. Dunque, si tratta dello stesso suono ma con un’intensità più forte:
L’onda sonora a destra ha un’ampiezza maggiore, di conseguenza il suono ha maggiore intensità
Così come l’altezza del suono, anche l’intensità è misurabile in modo preciso e la sua unità di misura è il decibel (dB). L’orecchio umano ha una soglia di udibilità intorno ai 5÷10 dB e non riesce dunque a percepire i suoni con intensità minore, mentre rischia di danneggiarsi se esposto a suoni oltre i 100÷120 dB, specialmente se esposto in modo prolungato. Analogamente ci sono dei limiti anche sulla percezione uditiva dell’orecchio umano che può udire i suoni nell’intervallo 20Hz ÷ 20kHz. Questo limite superiore tende ad abbassarsi con l’avanzare degli anni e molti adulti non sono in grado di udire frequenze oltre i 16kHz. Sebbene l’orecchio di per sé non sia in grado di rispondere alle frequenze superiori o inferiori a quell’intervallo indicato, queste ultime (i.e. quelle basse) possono essere comunque percepite col corpo attraverso il senso del tatto sotto forma di vibrazioni, se sufficientemente potenti in ampiezza.
_____________ Unità di tempo, di misura e di suddivisione
1) Unità di misura (o di battuta) corrisponde alla figura di valore pari ad una misura (o battuta) intera, vale a dire quella che comprende tutto il tempo della battuta. Ad esempio, l’U.M. è per
4/4 semibreve (che vale appunto 4/4) 2/4 minima (che vale appunto 2/4) 3/4 minima con punto (che vale appunto 3/4)
Nei tempi composti:
6/8 minima con punto (che vale appunto 6/8=3/4) 12/8 semibreve con punto (che vale appunto 8/8 + 4/8=12/8) 4/2 breve (che vale appunto 8/4= 4/4+4/4)
9/8 è l’unica che necessita di due figure di valore: minima con punto legata con semiminima con punto (6+3=9 crome da 1/8)
2) Unità dimovimento (o pulsazione) corrisponde alla figura di valore pari a un movimento (o pulsazione) Ad esempio, per
4/4 2/4 3/4 è la semiminima con punto (che vale appunto 1/4, vale a dire una pulsazione completa)
Nei tempi composti:
6/8 semiminima con punto (che vale appunto 1/4 +1/8=3/4=6/8) 12/8 semiminima con punto (che vale appunto 1/4 + 1/8=12/8) 4/2 2/2 minima (che vale appunto 1/2)
3) Unità disuddivisione corrisponde alla figura di valore pari a una suddivisione (o accento) Ad esempio, per i tempi semplici (che hanno base 4) è la croma che vale 1/8 essendo ciascun movimento suddiviso in due parti; per i tempi composti 6/8 ciascun ovimento è diviso in 3 parti per cui l’iunità di movimento è la croma da 1/8
_____________ Tono e semitono
Per definizione, nel moderno sistema musicale occidentale (asato sul sistema temperato equabile che divide l’ottava musicale in dodici parti uguali), il semitono è la più piccola distanza che passa fra due suoni. Con la voce, con diversi strumenti a corda senza tasti (fretless) e con strumenti a fiato (e.g. trombone) si possono produrre suoni in frazioni di semitono (e.g. quarti di tono).
Il semitono può essere di due tipi:
diatonico quando i due suoni, ai suoi estremi, hanno nome diverso e suono diverso
cromatico quando i due suoni, ai suoi estremi, hanno stesso nome e suono diverso.
Esempi di semitoni diatonici
Esempi di semitoni cromatici
I più importanti semitoni “naturali” sono SI-DO e MI-FA e non soltanto quelli formati da un suono naturale e uno alterato.
Il tono è l’unione di due semitoni di diversa specie (uno cromatico e l’altro diatonico): non si troverà mai un tono formato da due semitoni della stessa tipologia (i.e. due diatonici o due cromatici).
Tono: unione di due semitoni di diversa specie (uno cromatico e l’altro diatonico o viceversa)
Risulta infatti impossibile ottenere un tono sommando due semitoni diatonico: ad esempio, partendo dal semitono diatonico SOL – LAb, si dovrebbe avere un altro semitono diatonico ascendente – nome diverso e suono diverso – che parte dal LAb, ma ciò non è possibile in quanto la nota con nome diverso più vicina al LAb è il SIb che si trova a distanza di tono anziché di semitono: pertanto si otterrebbe un intervallo di IIIa minoreSOL – SIb e non più un tono.
Esempio di somma di due semitoni diatonici che non forma un tono bensì un intervallo di IIIa minore
Analogamente è impossibile ottenere un tono sommando due semitoni cromatici: ad esempio, partendo dal semitono cromatico SOL – SOL#, si dovrebbe avere un altro semitono cromatico ascendente – stesso nome e suono diverso – che parta dal SOL#, ma ciò non è possibile in quanto la nota con lo stesso nome più vicina al SOL# è il LA# che si trova a distanza di tono anziché di semitono: pertanto si otterrebbe un intervallo di seconda eccedente SOL – LA# e non più un tono.
Esempio di somma di due semitoni cromatici che non forma un tono bensì un intervallo di IIa eccedente
Non è possibile formare un tono da due semitoni formati da tre note aventi lo stesso nome (LAb – LA – LA#) poiché in questo caso non avremmo il semitono diatonico che costituisce parte del tono. I toni ed i semitoni devono essere costruiti sempre su gradi congiunti, non su intervalli di IIIa: per esempio, DO – MIbb, pur avendo da un punto di vista sonoro le caratteristiche di un tono, in realtà è un intervallo di IIIadiminuita, come si vedrà in seguito.
___________ Scala
Nella teoria musicale, una scala è una successione di suoni nell’ambito di un’ottava: parte da una nota data e procede per gradi congiunti, fino al raggiungimento del suono iniziale all’ottava superiore. Si chiama poi scala ascendente una in cui l’altezza delle note cresce mentre scala discendente una in cui l’ordine è decrescente. Una stessa scala può presentare alterazioni differenti se considerata nel tratto ascendente o in quello discendente. Una scala si costruisce seguendo regole ben precise e il posizionamento dei semitoni all’interno dell’ottava, a seconda dei gradi tra cui si trovano, modificano la scala (e.g. da maggiore a minore).
Le scale possono essere classificate secondo diversi criteri, fra cui:
Le classiche 7 note formano la scala delle note naturali: il pianoforte è sostanzialmente basato sulla scala naturale avendo i tasti bianchi in evidenza e quelli neri in aggiunta. Ciò non avviene in altri strumenti (e.g. chitarra) in cui non c’è una distinzione a livello visivo tra note naturali e quelle alterate, per cui sono organizzati per semitoni e si basano sostanzialmente su una scala cromatica. Una scala cromatica include anche le note alterate ed è perciò una scala musicale composta dai dodici semitoni dove il semitono è l’intervallo minimo tra due note del sistema temperato identificato come “temperamento equabile” per antonomasia dalla maggior parte dei musicisti occidentali nella seconda metà del XIX secolo. Si noti che il termine “cromatico” deriva dal greco chroma (colore): in genere le note cromatiche sono intese come armonicamente poco significanti e utilizzate per dare “colore” alle scale diatoniche spezzando gli intervalli di tono, e offrendo una maggiore varietà e fluidità melodica. Un esempio di sequenza di scala cromatica ascendente è il seguente:
DO, DO#, RE, RE#, MI, FA, FA#, SOL, SOL#, LA, LA#, SI
Essa è formata da 12 suoni equidistanti fra loro (all’interno di un’ottava) ed è per questo simmetrica ed ha un’unica trasposizione possibile: rimane cioè identica a sé stessa a prescindere dalla nota di partenza. Tale scala non è dunque associabile ad alcun modo musicale o tonalità specifiche.
Si noti come, in una scala cromatica ascendente (i.e. si sale dalle note più basse verso quelle più alte spostandosi da sinistra verso destra sulla tastiera del pianoforte) i tasti neri si chiamino diesis (#) mentre quando si ha una scala cromatica discendente (i.e. si scende dalle note più alte alle più basse spostandosi da destra verso sinistra sulla tastiera del pianoforte), i tasti neri si chiamino bemolle (b). Nella scala cromatica vi sono 5 suoni omologhi, cioè note che in virtù dell’effetto delle alterazioni hanno suono identico e nome differente: DO# – REb, RE# – MIb, FA# – SOLb, SOL# – LAb, LA# – SIb.
La scala cromatica include quindi tutte le note e le loro versioni alterate, fino all’ottava superiore. Tutte le note sono quindi separate dallo stesso intervallo minimo ed è di conseguenza impossibile determinare la tonalità della scala per cui una scala cromatica è atona: ne esiste una sola per tutte le tonalità.
In pratica la scala cromaticacompleta non viene quasi mai usata nella sua estensione, se non nei casi in cui si intende riprodurre l’effetto di un glissando con strumenti che non possono modulare in maniera continua i suoni, o nella dodecafonia dove viene esposta per intero all’interno della costruzione di una serie. Per quanto riguarda la musica tonale esistono comunque numerosi esempi di come la scala cromatica possa essere inclusa in progressioni armoniche per cui spesso si possono trovare brani con frammenti di scala cromatica o passaggi cromatici fra diverse note della scala diatonica (denominati appunto “cromatismi”), (e.g. Studio op 10 nº 2 di Chopin; assolo di chitarra è basata sulle note cromatiche discendenti in Hotel California degli Eagles; progressione discendente nel coro di Astronomy Domine dei Pink Floyd).
La scala cromatica armonica utilizza invece un insieme di note e alterazioni che rimane invariato sia scendendo che salendo o variando tonalità:
Scalaarmonica cromatica di Do
La scala cromatica melodica, sebbene ci siano discordanze di opinione, utilizza alterazioni differenti a seconda della tonalità (maggiore o minore) e a seconda del suo andamento (discendente o ascendente):
Esempio di scalamelodica cromatica di Do
La scala diatonica è quella comunemente utilizzata dalla musica occidentale: è una scala eptafonica (cioè una che ha sette gradi per ottava) in cui le note si susseguono secondo una precisa successione di sette intervalli, cinque toni e due semitoni. Tutte le scale diatoniche hanno semitoni diatonici. La musica che ne deriva è una musica tonale, cioè organizzata attorno a un suono centrale (tonica): la musica “tonale” stabilisce un rapporto di gerarchia tra la tonica e tutti gli altri suoni di una scala diatonicamaggiore o minore. La successione caratteristica delle note di una scala diatonica non è univoca a differenza di quella cromatica, ma può essere specificata in sette diverse combinazioni, definite modi, aventi la caratteristica che ognuna di queste può essere costruita a partire dalle altre, usando come prima nota (chiamata tonica) una delle note intermedie delle altre.
A qualsiasi scala musicale pertanto può essere applicato il concetto di modo: in una scala diatonicaqualsiasi si possono “estrarre” tanti modi quante sono le note della scala. Perciò, per le scale diatoniche, costituite da 7 note, si contano 7 modi distinti. Tuttavia, in alcuni casi, i modi “effettivamente esistenti” possono essere in numero inferiore al numero di note della scala: questo accade ove la particolare struttura della scala comporti che, anche a partire da note diverse, si possa osservare la stessa successione di intervalli (e.g. nella scala diminuita – costituita da 8 note e da una successione di otto intervalli in cui a un tono segue sempre un semitono o viceversa – i modi osservati sono soltanto due).
I modi musicali più noti e studiati sono i modi della scala diatonica, ai quali vengono attribuiti specifici nomi. L’importanza di tale scala e dei relativi modi nella musica occidentale è dovuta al fatto che su essa si basa il sistema tonale occidentale, ossia l’insieme delle “note di base” di qualsiasi brano musicale che generalmente ascoltiamo: in particolare nella musica occidentale al concetto di modo è legato quello di tonalità, dal momento che quest’ultima sfrutta la definizione di modo. In tal senso è utile indicare che è diffuso l’uso del termine modalità, in opposizione a tonalità, per distinguere il sistema formato dai molti diversi modi utilizzati nei brani medievali e rinascimentali dal sistema tonale che la musica europea comincia a utilizzare dalla fine del XVI secolo in poi: ciascuna delle dodici tonalità che formano il sistema tonale moderno si presenta infatti in due soli modi, maggiore e minore. La scala diatonica può essere di due specie (modi): maggiore e minore e può svolgersi sia in senso ascendente che discendente.
I modi e le scale modali non sono utilizzati esclusivamente per la definizione delle tonalità dei brani, ma anche indipendentemente da queste all’interno dei brani, nella tessitura melodica e armonica: un uso particolare di scale modali viene effettuato ad esempio nel jazz. In questo caso si distinguono due particolari stili improvvisativi basati, a loro volta, su due diverse maniere di costruire la progressione armonica dei brani.
Le note della scala diatonica, e gli accordi costruiti su di esse, obbediscono a delle leggi che li pongono necessariamente in relazione rispetto alla tonica (i.e. la prima nota che è anche quella che dà il nome alla tonalità).
Generalmente per stabilire la tonalità di un brano basta considerare il numero di alterazioni indicate sul pentagramma, subito a destra dell’indicazione del tempo per la chiave musicale. Questo gruppo di simboli prende il nome di armatura di chiave. Se si conosce la tonalità di un brano (cioè la scala da cui si prendono le sue note e accordi), non solo è più semplice leggere la musica prevedendo quali note seguiranno sulla partitura, ma anche improvvisare. La tonalità è quindi un sistema complesso di melodie o accordi tutti riconducibili alla stessa scala di partenza: perciò, quando si usano espressioni tipo “questa canzone è in DO” ci si riferisce alla tonalità di quella canzone e significa che sia le melodie sia gli accordi in essa presenti sono costruiti a partire da quella scala. Scala e tonalità possono essere usate in pratica come sinonimi: dire “questa melodia è sulla scala di DO maggiore” equivale a dire “è in DO maggiore” o anche “è in tonalità di DO maggiore”.
(Un’ulteriore conferma data dall’analisi delle alterazioni d’impianto presenti nell’armatura di chiave, può essere data dall’analisi della prima e l’ultima nota o il primo e l’ultimo accordo del brano in questione, che sono rispettivamente – nella maggioranza dei casi – la tonica o l’accordo di tonica in stato fondamentale. Si può infine tener conto della risoluzione della sensibile, ossia della settima nota della scala in uso, che secondo le convenzioni dell’armonia tonale deve risolvere la propria tensione sulla tonica, la prima nota della scala. La sensibile dista mezzo tono dalla tonica nel caso di modo maggiore, mentre è assente nel modo minore a meno che il settimo grado della scala non venga innalzato di un semitono – tramite un’alterazione – raggiungendo così la distanza di un semitono dalla tonica).
La tonalità è scelta liberamente dal compositore del brano, spesso tenendo conto della difficoltà esecutiva o delle caratteristiche peculiari dello strumento e dell’organico di destinazione; si distingue in modo maggiore e modo minore, considerati reciprocamente “relativi”. La tonalità prende il nome dal grado della scala cromatica che assume la massima importanza. Modo maggiore e modo minore possono essere applicati a partire da ognuna delle note della scala, generando così 12+12=24 tonalità: quando si utilizza (come è la norma nelle composizioni moderne) la scala temperata, che divide l’ottava in 12 semitoni uguali, alcune tonalità hanno gli stessi suoni (altezze) e gli stessi intervalli all’interno della scala, ma assumono nomi differenti sugli stessi gradi (tonalità enarmoniche), com’è ad esempio il caso di DO♯ e REb. Si indica con enarmonia quando si chiama lo stesso suono in modo diverso (e.g. FA e MI#; DO# e REb). Quando trovo in una partitura DO e DO#, cioè un semitono cromatico, so che in base alla chiave (i.e. tonalità) una delle due note non appartiene alla tonalità del brano ma è un cromatismo: infatti, in una scala/tonalità diatonica non ci sono mai due note con lo stesso nome seppur alterate. Invece se ho DO e REb si tratta di un semitono diatonico e quindi possono essere in una medesima tonalità, in quel caso di quella di REb di cui il DO è la VIIa. La tonalità d’impianto, come si vedrà, si vede all’inizio della partitura in cui sono indicate le alterazioni fisse, cioè quelle che valgono per tutto il brano o parte di questo (se poi c’è un bequadro questo vale per una misura, cioè fino alla prossima stanghetta). Questo nostro sistema musicale per la costruzione di una scala musicale fondato sulla suddivisione dell’ottava in intervalli tra di loro uguali viene detto temperamento equabile: nell’uso più frequente, l’ottava è suddivisa in 12 parti (semitoni). Il temperamento equabile è un espediente teorico che, eliminando la distinzione tra tono maggiore/minore e semitono diatonico/cromatico, fa coincidere il suono di diesis e bemolli (e.g. Sol♯ = La♭) dividendo il tono in due semitoni uguali. In questo modo anche su strumenti a intonazione fissa il grado di consonanza degli accordi rimane lo stesso in tutte le tonalità diversamente da quanto accadeva con i temperamenti inequabili, alcuni dei quali permettevano di suonare in tutte le tonalità, come esemplificato dal Clavicembalo ben temperato di Bach, ma con effetti volutamente diversi a seconda della tonalità. Il maggiore svantaggio è l’alterazione di tutti gli intervalli giusti, particolarmente rilevante e avvertibile negli intervalli di terza. Da un punto di vista matematico, l’idea di base è semplice: suddividere l’ottava in 12 intervalli “elementari” (semitoni temperati) in progressione geometrica (i.e. successione di numeri tali che il rapporto tra un elemento e il suo precedente sia sempre costante) tutti esattamente della stessa ampiezza. L’ampiezza di un intervallo corrisponde al rapporto fra le frequenze fondamentali delle due note (e non alla differenza delle frequenze come sarebbe stato per una progressione aritmetica). Poiché l’intervallo di ottava è espresso dalla frazione 2/1 – in quanto la frequenza raddoppia a ogni ottava – il rapporto di frequenze che identifica il semitono temperato è il numero irrazionale : in questo modo dodici semitoni coprono esattamente l’intervallo di un’ottava.
All’interno di un brano la tonalità può cambiare e questo processo prende il nome di modulazione: ad esempio, si può dire che un brano modula da DO a MI. I cambi tonali sono normalmente temporanei: nella composizione tonale, costituisce gran parte del carattere del brano proprio il trattamento da parte dell’autore dell’allontanamento del brano dal centro tonale e il suo ritorno a esso. Si noti che molto spesso in musica leggera i brani mantengono la stessa tonalità per tutta la loro durata.
La successione caratteristica viene generalmente rappresentata nella sua applicazione al cosiddetto modo maggiore, costituito dalla seguente successione di intervalli:
Tuttavia, la successione caratteristica può essere rappresentata senza ambiguità da uno qualsiasi dei sette modi possibili. Ad esempio, considerando il modo minore si ha la seguente successione di intervalli:
T S T T S T T
dove si può notare che questa successione può essere ottenuta da quella del modo maggiore partendo dalla sua sesta nota (VIo grado)ricominciando daccapo non appena la successione originale termina.
Scale di DO maggiore e di DO minore (relativa di MIb maggiore)
Sinteticamente si può dire che una scala di 7 intervalli, di cui 5 toni e 2 semitoni, può essere definita diatonica solamente se i due semitoni si trovano a inquadrare due toni, oppure (condizione assolutamente equivalente) se i due semitoni si trovano a inquadrare tre toni.
Per costruire una scala maggiore occorre prendere una nota, metterla al I° grado (tonica) e costruire una scala seguendo il modello visto per quella tipologia di scala (TTSTTTS). Per rispettare quegli intervalli predefiniti è necessario inserire opportune alterazioni qualora la tonica sia una nota diversa da DO. Ad esempio, per la scala di SOL maggiore, si deve porre un’alterazione sul VII° grado:
La scala di SOL maggiore ha un’alterazione sul VII° grado per mantenere il modello TTSTTTS
Associata a ogni scala maggiore, esiste poi una scalaminore relativa (modello TSTTSTT) che risulta formata esattamente dalle stesse note di quella (i.e. le sue note hanno le stesse alterazioni). Per individuarla basta considerare la nota che sta al VI° grado della scala maggiore, ponendola come tonica della nuova scala. Per trovarla ancora più velocemente basta scendere di un tono e mezzo(i.e. Tono + Semitono)rispetto alla tonale della scala maggiore. Ad esempio, alla scala di DO maggiore è associata la scala di LA minore per cui anch’essa non avrà alcuna alterazione nelle note: al VI° grado della scala di DO maggiore si trova infatti la nota LA e si ha anche:
DO maggiore – (Tono + Semitono) = LAminore
Dire che una canzone è in DO maggiore o in LA minore è sostanzialmente la stessa cosa.
Analogamente, alla scala di RE maggiore è associata la scala di SI minore per cui anch’essa avrà le stesse alterazioni nelle note proprie della scala di RE maggiore (i.e. FA#, DO#): infatti, al VI° grado della scala di RE maggiore si trova la nota SI e si ha anche:
RE – (Tono + Semitono) = SI
Dire che una canzone è in RE maggiore o in SI minore è sostanzialmente la stessa cosa.
Alla scala di RE maggiore è associata la scala di SI minore: abbassata di 1 tono e mezzo, ha le stesse alterazioni nelle note
A parte la diversa successioni di intervalli tonali (maggiore: TTSTTTS; minore: TSTTSTT) la qualità maggiore o minore di una scala è specificata dal suo III° grado: se è un semitono più basso (intervallo di IIIa minore con la tonica) siamo in presenza di una scala minore.
Perciò se tra Io e IIIo grado abbiamo 2 toni (T+T) (intervallo di IIIa maggiore con la tonica) la scala è maggiore, mentre se c’è 1 tono e mezzo (T+S) è una scala minore.
Nel seguito l’elenco delle 12 tonalità minori, così come deducibili anche dal circolo delle quinte: come per le scale maggiori, ci sono 15 tonalità di cui 3 omologhe.
Nella scala maggiore le omologie erano:
SI / DOb, FA# / SOLb; DO# / REb
e nella scala minore diventano:
SOL#m / LAbm, RE#m /MIbm, LA#m / SIbm
DO maggiore/ LA minore
SOL maggiore / MI minore
RE maggiore / SI minore
LA maggiore / FA# minore
MI maggiore / DO# minore
SI (DOb) maggiore / SOL# (LAb) minore
FA# (SOLb) maggiore / RE# (MIb) minore
DO# (REb) maggiore / LA# (SIb) minore
LAb maggiore / FA minore
MIb maggiore / DO minore
SIb maggiore / SOL minore
FA maggiore / RE minore
Si noti che l’eventuale alterazione della tonica della tonalità minore è pari a quella (se presente) della rispettiva nota nella scala della tonalità maggiore (e.g. la scala di SI maggiore ha cinque diesis in chiave tra cui il SOL# che è la il suo VIo grado: perciò la sua relativa SOL# minore è anch’essa con la tonale in #).
Si noti che esistono alcuni casi in cui c’è una doppia denominazione della tonalità: stesse note ma notazione musicale differente.
Rispettando le distanze delle strutture viste per le scale maggiore e minore, si possono ad esempio derivare le seguenti scale (e tonalità) di RE maggiore e di RE minore naturale:
Scala di RE maggiore
Scala di RE minore
Una scala minore naturale mantiene, sia ascendendo si discendendo, solo le alterazioni di impianto della relativa maggiore. Poi della scala minore ci sono anche le varianti armonica e melodica che, nel caso del RE, aggiungerebbero il DO# o il SI naturale (al posto del SIb) in alcuni punti ma queste sarebbero, nell’ambito della tonalità, delle alterazioni provvisorie che potrebbero comparire in un brano in RE minore, ma che non vanno comunque indicati nell’armatura di chiave.
Ogni tonalità ha una sua sonorità: ad esempio, la tonalità di DO# minore è più drammatica.
In un brano di musica classica, in genere, il cambio di tonalità è costante sebbene ci sia una tonalità centrale. In un brano di musica leggera la tonalità in genere rimane la stessa: si tratta infatti di musica “popolare” che ha come target quello di poter essere compresa da tutti, quindi orecchiabile, facile da ricordare e da ripetere. Diversamente buona parte della musica classica, avendo una struttura armonica complessa, è quindi più difficile da ricordare a meno di avere un’alfabetizzazione musicale adeguata.
______________________ Intervallo
L’intervallo in musica è la distanza fra due suoni: si tratta di una classificazione teorica delle distanze musicali e non delle distanze acustiche che separano un suono da un altro. A causa della fisiologia della percezione del suono da parte dell’orecchio umano, un intervallo musicale non è proporzionale alla differenza delle frequenze dei due suoni, bensì a quella dei loro logaritmi, cioè al rapporto tra le frequenze, per cui non si misura in Herz (non ha una frequenza quantificabile).
Un intervallo può essere classificato in diversi modi:
Composto (o multiplo): supera un’ottava (e.g. DO e RE dell’ottava successiva). Sono considerati trasposizioni degli intervalli primari alle ottave superiori (e.g. l’intervallo di 10ª è il multiplo di quello di 3ª). Solitamente nella classificazione, gli intervalli multipli vengono ricondotti ai loro corrispettivi primari, tranne casi particolari riguardanti lo studio dell’armonia.
Gli intervalli poi vengono classificati in base in base alla loro specie (o qualifica) determinata dai rapporti diatonici o cromatici dell’intervallo stesso nei confronti della scala.
Esistono due tipi d’intervalli tra due note:
Intervallo melodico: i due suoni (i.e. note) vengono emessi in successione, sono consecutivi. Si distingue anche per la direzione (ascendente o discendente) a seconda che il secondo suono sia rispettivamente più acuto o più grave rispetto al primo.
Intervallo armonico: i due suoni (i.e. note) vengono emessi contemporaneamente. (i.e. accordo). È caratterizzato anche da consonanza e dissonanza, fenomeni legati all’interferenza generata dai due suoni in questione.
Infine, si dice unisono quando la nota viene ribattuta senza generare nuove distanze: anche un intervallo di VIIIa genera una nota uguale seppur di altezza differente. Analogamente un intervallo di numero ancora maggiore non è altro che un intervallo in cui la seconda nota si trova nell’ottava successiva (e.g. il RE dell’ottava superiore della scala di DO forma un intervallo di IXa e non più di IIa come si ha con il RE della medesima ottava della tonica). Solitamente ci si ferma al XIIIo intervallo (e.g. Il LA dell’ottava superiore, nel caso in cui la tonica sia DO).
Una nota ripetuta è una ripetizione della stessa nota. Un intervallo congiunto è un movimento da un rigo del pentagramma allo spazio subito adiacente (o viceversa): con “grado congiunto” si intende l’esecuzione di due o più suoni consecutivi, siano essi ascendenti o discendenti, nell’ordine della scala musicale. Un intervallo disgiunto è qualsiasi movimento più grande di un intervallo congiunto.
Un intervallo può poi essere diatonico se la distanza tra le due note è di una specifica tonalità.
Un intervallo può essere:
consonante: all’orecchio suona “bene” (i.e. intervalli giusti, di IIIa maggiore/minore, di VIa maggiore/minore).
dissonante: intervalli eccedenti e diminuiti che sono intervalli instabili (e.g. IIa minore/maggiore, VIIa maggiori/minori).
Sono consonanti gli intervalli di VIIIa giusta, Va giusta, IIIa maggiore e IIIa minore. Gli intervalli di IVae VIa dissonanti se formano intervallo di seconda con altre note, altrimenti sono consonanti. Sono dissonanti gli intervalli di IIa, VIIa e tutti gli altri intervalli (diminuiti, eccedenti etc.. ). Riassumendo:
Intervalli CONSONANTI
L’unisono e gli intervalli di Va giusta e VIIIa giusta
Intervalli consonanti PERFETTI
Gli intervalli di IIIa e VIa sia maggiore sia minore
Intervalli consonanti IMPERFETTI
L’intervallo di IVa giusta – Intervallo consonante MISTO (a seconda di come si presenta unito ad altri suoni, può essere considerato consonante o dissonante)
Intervalli DISSONANTI
Gli intervalli di IIa, VIIa, IXa etc. maggiore e minore
Tutti gli intervalli diminuiti
Tutti gli intervalli eccedenti
In musica,la disarmonicità è il grado in cui le frequenze delle sfumature (note anche come toni parziali o parziali) si allontanano da interi multipli della frequenza fondamentale (serie armonica). Acusticamente, una nota percepita come avente un unico tono distinto contiene infatti una varietà di sfumature aggiuntive. L’armonia e l’intonazione della musica dipendono fortemente dall’armonicità dei toni. Una corda o colonna d’aria ideale, omogenea, infinitesimamente sottile o infinitamente flessibile ha esattamente modalità armoniche di vibrazione. Tuttavia, in qualsiasi strumento musicale reale, il corpo risonante che produce il tono musicale – tipicamente una corda o una colonna d’aria – si discosta da questo ideale e ha una piccola o grande quantità di disarmonicità. Ad esempio, una corda molto spessa si comporta meno come una corda ideale e più come un cilindro (un tubo di massa) con risonanze naturali che non sono multipli di numeri interi della frequenza fondamentale. Tuttavia, in strumenti a corda come il pianoforte, il violino e la chitarra, o in alcuni tamburi indiani come la tabla, le sfumature sono assai vicine a multipli numerici interi della frequenza fondamentale. Qualsiasi allontanamento da questa serie armonica ideale è noto come disarmonicità. Meno elastiche sono le corde (cioè più corte, più spesse, con minor tensione o più rigide), più disarmonicità mostrano.
__________________ Il circolo delle quinte
Il circolo delle quinte (composto di note a intervalli di Va) serve per leggere le armature di chiave presenti e individuare la tonalità del brano. Consente quindi di trovare, agevolmente e memonicamente, le alterazioni necessarie in una scala per rispettare la sua struttura (i.e. TTSTTTS nella scala maggiore). Già nel VI secolo a.C. il matematico e filosofo Pitagora aveva incominciato a standardizzare le tonalità musicali sia scoprendo relazioni tra frequenze e lunghezza delle corde, sia definendo cosa fosse un’ottava. Divise quindi un cerchio in 12 sezioni uguali (come un orologio) e a ciascuno dei 12 punti intorno al cerchio assegnò un’altezza (i.e. nota), che corrisponde grosso modo al sistema odierno di suddividere un’ottava in 12 semitoni. I teorici musicali occidentali hanno poi aggiornato tali indicazioni aggiornando il circolo delle quinte così come oggi è conosciuto e su cui si basa la teoria musicale occidentale odierna.
In realtà, anche senza ricorrere a quella rappresentazione grafica, come si vedrà nel seguito, si possono dedurre le medesime informazioni relativamente a tonalità e armature in chiave, applicando semplici regole memoniche, per cui nel seguito non si farà più alcun riferimento a tale notazione grafica.
Ogni suono della scala viene definito grado della scalae viene scritto sotto forma di numeri romani: ogni grado ha uno specifico nome e una funzione armonica precisa. Sebbene all’inizio possa essere sufficiente riferirsi solo ai nomi delle note (e.g. MI, SI), che compongono una scala specifica, successivamente bisogna passare a un approccio “funzionale”, in cui si attribuisce un ruolo per gradi a ciascuna nota (e.g. questo è il III° grado della scala, quello è il VII°).
Si svincola una nota dal suo nome e la si definisce come grado dell’intervallo che ha rispetto alla tonica all’interno di qualsiasi specifica scala. Questi gradi hanno dei nomi che contestualizzano la loro funzione all’interno di una tonalità.
Io grado – Tonica È il grado principale della scala ed è il punto di riferimento statico della tonalità verso cui convergono tutti gli altri gradi. Crea un forte senso di riposo e stabilità, proprio per questo motivo non ha bisogno di risolvere su altri gradi. In altre parole, si tratta della nota che dà stabilità al brano musicale, quello che attira a sé le altre note e con la quale viene naturale concludere il brano stesso. È la tonica che determina quali dovranno essere le alterazioni tali da garantire, nella scala, la corretta successione di toni e semitoni.
IIo grado – Sopratonica È un grado secondario di passaggio ed è piuttosto instabile: lascia un senso di sospensione ovvero ha bisogno di risolvere su altri gradi. Nei due modi (minore e maggiore) della scala la sua posizione non varia rispetto alla tonica.
IIIo grado – Modale (o Caratteristica o Mediante) Il nome di questo grado deriva dal fatto che indica il modo maggiore o minore a seconda se l’intervallo che sta tra la tonica e la modale è di IIIa maggiore o minore. Dal punto di vista armonico appartiene invece al “polo” della tonica in quanto somiglia al Io grado ed è piuttosto stabile: infatti, è un grado su cui può concludersi il discorso musicale ovvero non deve necessariamente risolvere su altri gradi. Questo grado stabilisce inequivocabilmente la modalità della scala. Nelle scale maggiori questo IIIo grado dista dalla tonica 2 toni (T + T), in quelle minori 1 tono e mezzo (T + S).
IVo grado – Sottodominante È un grado molto importante perché lo si trova spesso nelle cadenze. La sua forte instabilità è dovuta alla vicinanza sia con la dominante sia con la modale, la quale tende a farlo scendere. Ha un carattere intermedio, non è stabile come la tonica (Io grado) e nemmeno sospensivo come la dominante (Vo grado). È il secondo grado invariabile nei due modi della scala.
Vo grado – Dominante È il grado più importante dopo la tonica: mentre la tonica è la nota della stabilità, la dominante è la nota più dinamica della scala, quella che da movimento e tensione al brano. Domina per poi risolvere sulla fondamentale. Dal carattere interrogativo, crea un forte senso di sospensione e determina un effetto di tensione armonica. Lo si può definire l’opposto armonico della tonica poiché è instabile e deve necessariamente risolvere su altri gradi; poiché contiene la sensibile ha una forte tendenza a risolvere sulla tonica (Io grado). Rappresenta l’elemento dinamico della tonalità. Tonica e dominante rappresentano quindi i due “poli” di attrazione del discorso musicale, sono cioè le note verso le quali “tendono” le altre note della scala che appartengono all’uno o all’altro di questi poli (i.e. saranno note più o meno stabili oppure più o meno dinamiche). Spesso l’accordo dominante è un accordo di settima che è costruito sul Vo grado.
VIo grado – Sopradominante È un altro grado di passaggio (come la sopratonica) che nella scala maggiore diventa il punto di partenza delle scale minori. Anche questo grado lascia un senso di sospensione nel discorso musicale ovvero ha bisogno di risolvere su altri gradi. Si tratta di un grado secondario e subisce delle alterazioni a seconda della specie di scala cui appartiene.
VIIo grado – Sensibile (o Sottotonica) È il grado più instabile della scala e deve necessariamente risolvere su altri gradi: appartiene al “polo” dominante. Tende sempre a salire alla tonica data la sua vicinanza a quella: è sensibile all’attrazione della tonica. Quando si costruiscono le scale maggiori, è proprio la VIIa una delle note che vengono alterate in senso ascendente per ottenere il semitono che arrivava alla tonica. Alla fine di un brano la sensibile posta appena prima della tonica, ne accentua il senso di conclusione. In alcune scale minori (e.g. scala minore naturale) si trova a distanza di un tono dalla tonica e in questi casi esso prende il nome di sottotonica.
Nell’VIII grado il suono è la ripetizione del primo in zona più acuta e si chiama sempre tonica.
La scala maggiore è alla base del sistema musicale tonale ed è il punto di partenza dal quale derivano gli accordi e le progressioni armoniche più comuni, tanto nella musica classica quanto nel jazz. Dalla scala maggiore si ricavano inoltre alcune delle scale modali più utilizzate nella musica jazz e rock: insomma, sulla scala maggiore è stata concepita gran parte della musica degli ultimi tre secoli.
Le caratteristiche armoniche di ciascun grado si vedranno attraverso lo studio delle cadenze, delle relazioni armoniche tra i gradi e delle funzioni armoniche ovvero lo studio dell’armonia. Infatti, ogni grado della scala assolve determinate funzioni armoniche: dal punto di vista delle relazioni armoniche i due gradi fondamentali sono la tonica e la dominante, poi la sottodominante (IV grado) e la sopradominante (VI grado), che assieme al I grado vanno a formare importanti cadenze. Nella scrittura/lettura musicale viene spesso utilizzata la definizione gradi congiunti: il disegno melodico procede di grado in grado, evitando salti e cromatismi.
Si è visto che la scala maggiore è formata da una serie precisa di intervalli che, data una nota di partenza (detta tonica), in successione sono i seguenti: Tono, Tono, Semitono, Tono, Tono, Tono, Semitono. In altre parole, tutte le volte che si ha quella successioni di intervalli (TTSTTTS) vuole dire che siamo in presenza di una scala maggiore. Si noti che gli intervalli di semitono si trovano in due sole posizioni: tra i gradi IIIo e IVo e tra i gradi VIIo ed VIIIo. Tutte gli altri gradi della scala distano tra loro un tono.
Prendendo in esame la scala di DO maggioree andiamo a esaminare gli intervalli che si formano a partire sempre dalla tonica (la nota di partenza), in questo caso il DO:
Gradi della scala nella tonalità di DO maggiore
Posizionamento dei semitoni nella scala di DO maggiore
Nella scala minorenaturale i semitoni si trovano invece tra il IIo e IIIo grado e tra il Vo e il VIo grado. In altre parole, tutte le volte che si ha quella successioni di intervalli (TSTTSTT) vuole dire che siamo in presenza di una scala minore. Come sempre, la prima nota della scala ne determina il nome. La scala minorenaturale viene ottenuta dalla scala maggiore con lo stesso nome, abbassando di un semitono il IIIo, il VIo e il VIIo grado.
Posizionamento dei semitoni, prima nella scala di LA minore
Si noti che esistono diverse scale minori: naturale, armonica e melodica:
La scala minore naturale è quella che mantiene solo le alterazioni di impianto, cioè quelle che si trovano in armatura di chiave.
La scala minore armonica(più arabeggiante) si ottiene alzando di un semitono il VIIogrado (la sensibile) della minore naturale utilizzando delle alterazioni (diesis, bemolli o bequadri) e non alzando l’armatura di chiave.
Lascala minore melodica si ottiene alzando di un semitono il VIo e il VIIo grado della minore naturale ma solo quando la scala è ascendente, mentre quando la scala è discendente si utilizza la scala minore naturale. Generalmente quando si scrive musica nella scala minore melodica è più comodo scrivere il brano utilizzando le note della scala minore naturale e aggiungendo poi le alterazioni necessarie per alzare di un semitono quando sono ascendenti il VIo e il VIIo grado.
Si noti che l’arpeggio rimane uguale per qualsiasi delle tre tipologie di scala minoredal momento che tocca note che non subiscono variazioni (IoIIIo Vo grado).
Ad esempio, la scala di SOL minorenaturale mantiene sia ascendendo sia discendendo, le alterazioni presenti nella sua relativa scala maggiore (i.e. SIb maggiore), vale a dire SIb e MIb.
Scala di SOL minorenaturale
La scala di SOL minorearmonica, quella più arabeggiante, alza di un semitono la sensibile, cioè il VIIo grado della scala, sia ascendendo sia discendendo: in questo caso si avrà il FA#.
Scala di SOL minorearmonica
La scala di SOL minoremelodica alza di un semitono il VIo e il VIIo grado della minore naturale, ma solo quando la scala è ascendente, mentre quando la scala è discendente si utilizza la scala minore naturale: il MIb in armatura avrà un bequadro per farlo diventa MI naturale nella parte ascendente della scala, mentre in quella discendente si tornerà ad avere le alterazioni della scala naturale cioè il FA non verrà più alterato e si ritornerà ad avere il MIb:
Scala di SOL minoremelodica
Si noti inoltre che se un brano ha il VIIo grado (la sensibile) alterata rispetto all’armatura in chiave, sicuramente è nella tonalità minore (armonica o melodica).
È importante riconoscere ciascun intervallo tra una nota e la successiva, qualsiasi queste siano, vale a dire memorizzare questi intervalli partendo dalla scala associata: qualsiasi sia, riuscirò poi a distinguerlo. Nel nostro sistema musicale (i.e. sistema temperato), ogni intervallo suona sempre nello stesso modo, a prescindere da quale nota venga generato. Perciò, un intervallo di IIIa maggiore sarà sempre uguale a livello acustico, sia che si suonino, ad esempio, le note DO – MI o FA – LA oppure RE – FA#, essendo tutte tre quegli intervalli uguali rispetto alla loro rispettiva tonica. Conviene quindi provare a suonare con uno strumento ciascun intervallo in modo che l’orecchio si abitui a sentirlo, magari intonandolo in contemporanea con la propria voce. Un secondo passo può essere poi quello di suonare solo la prima nota dell’intervallo e poi cantare l’altra, verificando infine con lo strumento la corretta intonazione. Non avendo quasi mai una persona un orecchio assoluto, si fa uso dell’orecchio relativo, vale a dire ci si riferisce a canzoni conosciute dove esistano due note che abbiano un intervallo analogo: tutto questo aiuta a far sì che ciascuna tipologia d’intervallo resti impressa nella propria mente, soprattutto se si canta ripetutamente quell’intervallo seguendo il brano che uno conosce bene.
Si noti che l’intervallo Ia è detto anche unisono, intervallo di prima giusta, praticamente l’assenza di intervallo essendo il confronto tra una nota con sé stessa. Se due note non sono esattamente uguali, come quando si accorda uno strumento, si verificano dei battimenti: più si stona, maggiori saranno i battimenti. Solo con l’unisono si ottiene il loro annullamento completo. Infatti, i battimenti sono l’effetto sonoro che si ha quando si suonano due note con una frequenza leggermente diversa l’una dall’altra: si tratta di una vibrazione direttamente proporzionale allo sfasamento di frequenza (più le frequenze si allontanano più il vibrato è veloce, mentre più si avvicinano più il vibrato è lento, fino a scomparire completamente quando si raggiunge l’unisono perfetto).
Inno alla gioiadi Beethoven; Ouverture del Guglielmo Telldi Rossini; Autunno (dalle Quattro Stagioni) di Antonio Vivaldi; Inno di Mameli (Goffredo Mameli, 1847) Jingle Bells (James Lord Pierpont, 1857) Tanti Auguri A Te (Mildred Hill, 1893) Let It Be (The Beatles, 1970) Candle in the Wind (Elton John, 1973)
II minore
White Christmas (Irving Berlin, 1954) As Time Goes By (Herman Hupfeld, 1931) A Hard Days Night (The Beatles, 1964) Lo squalo (John Williams, 1975) Isn’t She Lovely (Stevie Wonder, 1976)
II maggiore
Fra’ Martino;Marcia alla Turca di Mozart; Tanti auguri a tei; Va pensiero(aria del Nabucco) di Giuseppe Verdi; Silent Night (Franz Xaver Gruber, 1818) Rudolph Dal Naso Rosso (J. Marks, 1939) Autumn Leaves (Joseph Kosma, 1945) Never Gonna Give You Up (Rick Astley, 1987)
III minore
Greensleeves(tradizionale) Georgia on My Mind (Hoagy Carmichael, 1930) What the World Needs Now (B. Bacharach, 1965) Happiness Is A Warm Gun (The Beatles, 1968) Axel F (Beverly Hills Cop, 1985)
III maggiore
Oh, when the Saints(tradizionale) Primavera (Antonio Vivaldi, 1721-25) For He’s a Jolly Good Fellow (tradizionale) Morning has Broken (tradizionale) What a Wonderful World (George Douglas, 1967)
IV
We Wish You a Merry Christmas (tradizionale) Con Te Partirò – coro (Andrea Bocelli, 1995) Amazing Grace (John Newton, 1773) Love Me Tender (Elvis Presley, 1956) Black or White (Michael Jackson, 1991)
Go Down Moses(tradizionale) Valzer in Do diesis minore (Frédéric Chopin, 1847) In My Life (The Beatles, 1965) A Town With An Ocean View (Joe Hisaishi, 1989) Close Every Door (Andrew Lloyd Webber, 1991)
VI maggiore
Azzurro;My way;aria Brindisi de La Traviata di VerdiMy Bonnie Lies over the Ocean (tradizionale) Notturna in Mi Bemolle Maggiore (Chopin, 1830) Only Love (Nana Mouskouri, 1985)
VII minore
Maman les p’tits bateaux (tradizionale) Somewhere (Leonard Bernstein, 1957) Theme from Star Trek (Alexander Courage, 1966) The Winner Takes It All – coro (ABBA, 1980)
VII maggiore
Samba di Orpheo;Take on me;SupermanFantasy Island Theme (John Ottman, 1977) Take on Me – coro (A-ha, 1984) Popular (Nada Surf, 1996) Don’t Know Why (Norah Jones, 2002)
VIII
Abbronzatissima;Over the rainbow(Harold Arlen, 1939) Singin’ in the Rain (Nacio Brown, 1929) The Christmas Song (Robert Wells, 1945) Blue Bossa (Kenny Dorham, 1963) Ironic (Alanis Morissette, 1996)
Inno di Mameli (Goffredo Mameli, 1847) Jingle Bells (James Lord Pierpont, 1857) Tanti Auguri A Te (Mildred Hill, 1893) Let It Be (The Beatles, 1970) Candle in the Wind (Elton John, 1973)
II minore
Joy to the World (Isaac Watts, 1719) Für Elise (Ludwig van Beethoven, 1810) Fly Me to the Moon (Frank Sinatra, 1954) All My Loving (The Beatles, 1963) Fields of Gold (Sting, 1993)
II maggiore
Il Natale é (tradizionale) Mary Aveva Un Agnellino (tradizionale) Eight Days a Week (The Beatles, 1964) Yesterday (The Beatles, 1965) Wonderwall (Oasis, 1995)
III minore
The Star-Spangled Banner (Francis Key, 1814) Il mattino (Edvard Grieg, 1875) Frosty the Snowman (Walter Rollins, 1950) Hey Jude (The Beatles, 1968) They Don’t Care About Us (Michael Jackson, 1996)
O Come, All Ye Faithful (John Wade, 1751) Eine kleine Nachtmusik (W.A. Mozart, 1787) I’ve Been Working on the Railroad (tradizionale) Shave and a Haircut (tradizionale) All of Me (Gerald Marks, 1931)
Tritono
Blue 7 (Sonny Rollins, 1956) Turn Back, O Man (Godspell, 1971) YYZ (Rush, 1981) Even Flow (Pearl Jam, 1991)
V
Minuetto in Sol maggiore (Christian Petzold, 1725) The Way You Look Tonight (Dorothy Fields, 1936) Have You Met Miss Jones? (Richard Rodgers, 1937) Flintstones Theme (Hoyt Curtin, 1961) Love Will Keep You Warm (Swan Lee, 2004)
VI minore
Forêts paisibles (Jean-Philippe Rameau, 1735) Chega de Saudade (Antonio Carlos Jobim, 1957) Love Story Theme (Francis Lai, 1970) You’re Everything (Chick Corea, 1973)
VI maggiore
Nobody Knows the Trouble I’ve Seen (tradizionale) A Weaver of Dreams (Nat King Cole, 1925) The Music of the Night (Andrew L. Webber, 1986) Man in the Mirror – coro (Michael Jackson, 1988) No Surprises (Radiohead, 1977)
VII minore
An American in Paris (George Gershwin, 1951) Watermelon Man (Herbie Hancock, 1962) Lady Jane – coro (Rolling Stones, 1966)
VII maggiore
I Love You (Cole Porter, 1944)
VIII
Willow Weep For Me (Ann Ronell, 1932) Doogie Howser Theme (Mike Post, 1989) Todos los días un poco (León Gieco, 1993) To Zanarkand (Uematsu, 2002)
II maggiore => Si trova tra la prima e la seconda nota di una scala maggiore o minore: la distanza che c’è fra queste due note è di un tono. È il rivolto della VIIa minore (e.g. VII< DO – SIb; II> Sib – DO). Si tratta di un intervallo melodico se si suonano le due note in modo consequenziale, mentre è dissonante, se le due note sono suonate simultaneamente.
II minore => È il rivolto della VIIa maggiore ed è, nel nostro sistema musicale occidentale, la minore distanza che ci può essere tra due suoni vicini, cioè il semitono. È chiamata anche semitono diatonico, perché le due note che formano l’intervallo hanno nomi diversi (e.g. DO – REb), per distinguerla dal semitono cromatico in cui le due note hanno lo stesso nome (e.g. DO – DO#).
Si tratta di un intervallo melodico se si suonano le due note consecutivamente, ma assai dissonanti se suonate simultaneamente in quanto le frequenze dei due suoni producono battimenti molto forti (i.e. ancora più di quanto avviene nella IIa maggiore)
Ave Maria di Charles Gounod (in forma ascendente); Per Elisa di Beethoven (in forma discendente); Marcia nuziale di Mendelssohn, (in forma discendente).
Puoi eventualmente scaricare l’ebook gratuito Allena il tuo orecchio musicale di Barbara Polacchi a cui sono allegati anche gli mp3 di brani con diversi intervalli: comprende anche dieci esercizi da provare a cantare per ogni intervallo.
Il I grado della scala è la prima nota della scala: da questa prende nome la scala stessa. Serve di base alla scala e perciò, oltre che tonica, viene chiamata anche nota fondamentale (o nota primordiale). Quindi la scala indicata nel seguito sarà detta scala di Do maggiore naturale in quanto inizia con il DO:
Esiste un intervallo di un semitono tra MI e FA e tra SI e DO
Scala (diatonica) di Do maggiore naturale
La tastiera del pianoforte ci può aiutare a visualizzare la posizione di toni e semitoni sulla scala musicale di DO maggiore naturale:
Scala in DO> => nessuna alterazione in chiave (insieme alla scala in LA< , come si vedrà, trattandosi della sua relativa minore) ed è perciò formata solo di suoni naturali.
Ogni grado della scala può a sua volta diventare nota fondamentale (i.e. la prima nota, la tonica) di una nuova scala: si potrà così ottenere la scala di RE, di MI, di FA, ecc… se l’inizio delle nuove scale sono rispettivamente le note RE, MI, FA, ecc… e se i suoni sono disposti con il medesimo ordine di quelli visti per la scala di DO (e.g. TTSTTTS per la scala maggiore). Per ottenere questa eguaglianza di disposizione nei gradi delle diverse scale che si vogliono formare, sarà necessario innalzare o abbassare qualche suono, mettendo davanti alle note i rispettivi segni d’alterazione (detti anche accidenti, termine che si rifà alla sua definizione filosofica, vale a dire variazione all’essenza: indica una determinazione o qualità che non appartiene all’essenza di un oggetto).
La scala di DO è dunque considerata come scala modello, mentre le altre non sono che una ripetizione di questa, trasponendola in un tono più o meno acuto: tuttavia, perché queste altre scale riescano analoghe a quella di DO si devono inserire delle alterazioni in base ad alcune regole che si basano sul cosiddetto circolo delle quinte.
Le alterazioni (dette d’impianto o in chiave) durano per tutto il brano e, nella musica occidentale tonale, vengono segnate sul pentagramma in un ordine convenzionale prestabilito e derivante dal circolo delle quinte (per i diesis: FA, DO, SOL, RE, LA, MI, SI; per i bemolli: SI, MI, LA, RE, SOL, DO, FA)
Il circolo delle quinte per idiesis(#) è composto dalle seguenti note, ordinate a intervalli di 5a:
FA# – DO# – SOL# – RE# – LA# – MI# – SI#
Analogamente, il circolo delle quinte per ibemolle (b) è composto dalle seguenti note, ordinate a intervalli di 4a (nota bene: è la stessa lista di note vista per i #, solo che ora sono ordinate nell’ordine inverso):
SIb – MIb – LAb – REb – SOLb – DOb – FAb
Nell’armatura di chiave, sia di diesis sia di bemolli, le alterazioni vengono posizionate esattamente in corrispondenza dello spazio/rigo relativo a ciascuna nota, nello stesso ordine in cui sono elencate nelle rispettive sequenze appena viste. Inoltre, si noti che le alterazioni delle note contrassegnate si applicano comunque per tutte le altezze di quelle note (i.e. se c’è un # sul 5o rigo del FA, tutti i FA risulteranno alterati indipendentemente dall’altezza, ad esempio anche quello del primo spazio e non solo quello sull’ultimo rigo in cui è indicato espressamente):
FA# DO# SOL# RE# LA# MI# SI#
SIb MIb LAb REb SOLb DOb FAb
Mentre per la sequenza utile per le tonalità in diesis non si può fare altro che ricordarsele a memoria, magari fissando graficamente la loro posizione nell’armatura di chiave sul pentagramma, per la sequenza utile per le tonalità in bemolle può magari tornar utile utilizzare la seguente frase, formata unendo il nome delle note presenti nella sequenza: similare soldo fa (si-mi-la-re sol-do fa). Può anche servire tenere a mente che si tratta della stessa lista di note, ordinate però una nell’ordine inverso rispetto all’altra.
Indico subito le uniche eccezioni:
Scala di DO> nessuna alterazione
Scala di FA>SIb è unica alterazione
Per le altre scale ci sono tonalità con dei bemolle e altre con dei diesis, ma solo per le prime (tonalità bemolli) questo viene indicato esplicitamente nel nome della scala, mentre per le seconde (tonalità diesis) nel nome della scala viene indicata solo la nota fondamentale (i.e. tonica). Queste variazioni in chiave valgono per le scale maggiori e tutti i suoi accordi.
Per ricavare le alterazioniin chiave presenti per ciascuna scala maggiore, le procedure da applicare sono diverse a seconda delle scale in diesis e quelle in bemolle, come descritto nel seguito.
Per lescale in diesis(#) la procedura da applicare è la seguente:
Dalla tonica della scala, individuare la nota che la precede di un semitono.
Dal circolo delle quinte per i diesis considero tutte le note a partire dalla prima fino a quella della nota precedentemente individuata, comprendendo anch’essa: queste costituiranno l’armatura in # per la scala di quella tonica.
Ad esempio per la scala di RE> 1) La nota che precede di 1 semitono è il DO# 2) Andando quindi nel circolo delle quinte per i diesis, considero tutte le note a partire dall’inizio di quella lista fino appunto al DO# precedentemente individuato, comprendendolo (i.e. FA#, DO#): perciò si dovranno mettere i # solo in corrispondenza del rigo del FA e del DO, mantenendo graficamente la sequenza da sinistra verso destra:
Armatura in chiave della scala di RE>
Applicando per tutte le scale maggiori in tonalità diesis tale procedura si deduce:
Scala di RE> FA#, DO# Scala di MI> FA#, DO#, SOL#, RE# Scala di FA#> FA#, DO#, SOL#, RE#, LA#, MI# Scala di SOL> FA# Scala di LA> FA#, DO#, SOL# Scala di SI> FA#, DO#, SOL#, RE#, LA# Scala di DO#> FA#, DO#, SOL#, RE#, LA#, MI#, SI#
Si noti in particolare che, per la scala di FA#, la nota che precede di un semitono la tonica è il FAcioè il MI#, per cui devo considerare dalla lista tutte le note fino a quella compresa (i.e. FA#, DO#, SOL#, RE#, LA#, MI#). Analogamente per la scala di DO# per la quale la nota che precede di un semitono quella tonica è il DOcioè il SI#, per cui devo considerare tutte le note fino a quella compresa (i.e. FA#, DO#, SOL#, RE#, LA#, MI#, SI#).
Dalla posizione sul rigo musicale dell’ultimo # (quello più a destra) si può derivare a occhio la tonalità della scala: in pratica, nel caso di un’armatura in chiave contenente diesis, la tonalità (maggiore) è quella della nota 1 semitono sopra l’ultimo # dell’armatura (i.e. basta individuare sul rigo musicale la nota sopra di 1 semitono rispetto a quella in cui è presente l’ultimo # nell’armatura, procedura inversa a quella vista per sapere le note da contrassegnare in diesis per la scala di una specifica nota in maggiore). Conviene tenere a mente sempre la posizione dei diesis dell’armatura in #:
FA# DO# SOL# RE# LA# MI# SI#
Ad esempio, se il SOL# è l’ultimo diesis in armatura, si sale di un semitono (S) per trovare la tonalità che in questo caso sarà quindi quella di LA maggiore o della sua relativa minore, il FA# minore (essendo il FA# un tono e mezzo prima del LA).
1# – Scala di SOL> (FA# + S) => FA# 2# – Scala di RE> (DO# + S) => FA#, DO# 3# – Scala di LA> (SOL# + S) => FA#, DO#, SOL# 4# – Scala di MI> (RE# + S) => FA#, DO#, SOL#, RE# 5# – Scala di SI> (LA# + S) => FA#, DO#, SOL#, RE#, LA 6# – Scala di FA#> (FA# = FA + S = MI# + S) => FA#, DO#, SOL#, RE#, LA#, MI# 7# – Scala di DO#> (DO + S = SI# + S) => FA#, DO#, SOL#, RE#, LA#, MI#, SI#
Per le scale in bemolle(b) la procedura da applicare è ancora più semplice:
Vado subito nel circolo delle quinte per le tonalità in bemolle (b) e considero tutte le note dall’inizio della lista fino a quella dopo quella della tonica (i.e. nella lista del circolo delle quinte per i bemolli cerco la nota di cui si desidera sapere la scala in bemolle e poi si considera, per sapere tutti i b da mettere nell’armatura di chiave, anche la nota successiva sempre in quell’elenco).
Applicando per tutte le scale maggiori in tonalità bemolli tale procedura si deduce:
Scala di REb> SIb, MIb, LAb, REb, SOLb Scala di MIb> SIb, MIb, LAb Scala di SOLb> SIb, MIb, LAb, REb, SOLb, DOb Scala di LAb> SIb, MIb, LAb, REb Scala di SIb> SIb, MIb Scala di DOb> SIb, MIb, LAb, REb, SOLb, DOb, FAb
Esiste poi l’eccezione già indicata:
Scala di FA> SIb unica alterazione
Analogamente a quanto visto per le scale in diesis, anche per quelle in bemolle si può derivare a occhio la tonalità della scala dalla posizione sul rigo musicale dell’ultimo b(quello più a destra). In pratica, nel caso di un’armatura di chiave contenente bemolli la tonalità (maggiore) è quella del penultimo accidente b presente in chiave (i.e. basta ricercare, andando nel circolo delle quinte per le tonalità in bemolle, la nota in cui c’è l’ultimo b e quindi considerare la nota precedente in quella lista, procedura inversa a quella vista per sapere le note da contrassegnare in bemolle per una specifica scala). Conviene tenere a mente sempre la posizione dei bemolli dell’armatura in b:
SIb MIb LAb REb SOLb DOb FAb
Ad esempio, se ci sono 3 bemolli in chiave SIb MIb LAb, il penultimo è il MIb per cui la tonalità può essere o di MIb maggiore o la sua relativa minore che è il DO minore.
Quando c’è un solo bemolle (il SIb) si tratta della tonalità di FA maggiore o della sua relativa minore cioè RE minore.
1b – Scala di FA> (SIb eccezione) 2b – Scala di SIb> (SIb, MIb) 3b – Scala di MIb> (SIb, MIb, LAb) 4b – Scala di LAb> (SIb, MIb, LAb, REb) 5b – Scala di REb> (SIb, MIb, LAb, REb, SOLb) 6b – Scala di SOLb> (SIb, MIb, LAb, REb, SOLb, DOb=SI) 7b – Scala di DOb> (SIb, MIb, LAb, REb, SOLb, DOb, FAb=MI)
Nella seguente tabella si riassume il numero di diesis/bemolle nelle rispettive scale: ci sono 15 tonalità di cui 3 omologhe (nome diverso ma stesso suono).
Numero di #/b nelle rispettive scale delle 15 tonalità (di cui 3 omologhe)
___________________________ Determinare il nome di un intervallo
Nella definizione di un intervallo tra due note si parte sempre da quella di altezza più grave (i.e. più bassa) indipendentemente dalla sua posizione lungo il rigo musicale (i.e. se precede o segue). Gli intervalli mi servono per costruire gli accordi e non per vederli tra due note distinte in una sinfonia.
La prima parte del nome, indicata con numeri romani (i.e. Ia o unisono, IIa,IIIa,IVa, Va, VIaeVIIaeVIIIa), è la distanza diatonica (e.g. quantità dell’intervallo) delle due note cioè quante note ci sono tra quella di partenza e quella di arrivo (estremi inclusi)). In pratica, dipende dal numero di righe e di spazi che ci sono sul pentagramma tra le due note che compongono l’intervallo (compresi anche gli spazi/righe su cui queste si trovano). Gli intervalli tra note con distanze in toni/semitoni diverse vengono conteggiati uguali (e.g. tra LA e DOc’è un intervallo di IIIa esattamente come tra DO e MI, sebbene si abbiano ora 4 semitoni di distanza anziché 3 come nell’intervallo precedente) e non si deve tener in conto nessuna alterazione eventualmente presente (e.g. tra DO e MI ci sono in tutto 3 note – DO, RE, MI – per cui c’è una IIIadi distanza e lo stesso vale anche tra DOe MIb o tra DO# e MI).
La seconda parte del nome di un intervallo è il carattere (oqualità)dell’intervallo e tiene invece conto delle possibili alterazioni e quindi dipende dal numero di semitoni presenti tra le due note dell’intervallo. Ci sono cinque caratteri diversi che può avere un intervallo:
Maggiore/Major [M] – Intervallo di IIa,IIIa,VIaeVIIase non subisce alterazioni.
Minore/minor [m] – Intervallo maggiore abbassato di 1 semitono.
Giusto/Perfect [P] – Intervallo di IVa,Vao VIIIa se non subisce alterazioni. Gli intervalli di IVa, Va hanno un ruolo molto importante nella tonalità e si presentano identici nei due modi – maggiore e minore – per questo sono detti giusti. Se vado poi a cercare un rivolto mantengono la loro struttura. Anche l’unisono e l’ottava, essendo la ripetizione di uno stesso suono, sono considerati intervalli giusti. Nota: questi intervalli sono chiamati “giusti/perfetti” poiché i loro rapporti di frequenza sono semplici numeri interi e, inoltre, per come suonano: infatti, se suonati insieme, risultano “perfettamente consonanti”, si ottiene cioè un tono dolce nell’intervallo che risulta perfetto, risolto: diversamente un suono dissonante si sente teso e con necessità di risoluzione.
Diminuito/Diminished [dim oppure 0] – intervallo maggiore abbassato di 2 semitoni (o analogamente intervallo minore abbassato di 1 semitono) oppure intervallo giusto abbassato di 1 semitono (quindi un intervallo di IVa,Vao VIIIa non avranno minori: non creano armonia).
Più che diminuito – Intervallo maggiore abbassato di 3 semitoni (o analogamente intervallo minore abbassato di 2 semitoni) oppure intervallo giusto abbassato di 2 semitoni
Eccedente (o aumentato)/Augmented [augoppure A] – Intervallo maggiore o giusto alzato di 1 semitono.
Più che eccedente(o più che aumentato) – Intervallo maggiore o giusto alzato di 2 semitoni.
Il carattere degli intervalli si comporta in modo diverso a seconda del grado della scala che stiamo analizzando. Il passaggio da un carattere all’altro viene determinato dal distanziamento dell’intervallo (di uno o più semitoni in senso ascendente o discendente) rispetto il posizionamento nella scala maggiore.
In altre parole, possiamo dividere quindi gli intervalli in due specie:
Prima specie (intervalli di IIa, IIIa, VIaeVIIa) [i.e. Maggiore/Major se non subisce alterazioni] Questi intervalli possono essere maggiori quando la nota più acuta dell’intervallo appartiene alla scala maggiore costruita a partire dalla nota più grave, altrimenti possono essere minori (i.e. maggiori abbassati di 1 semitono), aumentati (i.e. maggiori aumentati di 1 semitono), più che aumentati (i.e. maggiori aumentati di 2 semitoni), diminuiti (i.e. maggiori abbassati di 2 semitoni) o più che diminuiti (i.e. maggiori abbassati di 3 semitoni);
Seconda specie (intervalli unisono, IVa, VaeVIIIa) [i.e. Giusto/Perfect se non subisce alterazioni] Questi intervalli possono essere giusti quando la nota più acuta dell’intervallo appartiene alla scala maggiore costruita a partire dalla nota più grave, altrimenti possono essere aumentati(i.e. giusti aumentati di 1 semitono), più che aumentati (i.e. giusti aumentati di 2 semitoni), diminuiti (i.e. giusti abbassati di 1 semitono) o più che diminuiti (i.e. giusti abbassati di 2 semitoni).
Un intervallo di IVa,Va o VIIIa non può perciò mai essere maggiore o minore, ma può solo essere giustose non subisce alterazioni, diminuito se abbassato di 1 semitono (più che diminuito seabbassato di 2 semitoni), eccedente/aumentato sealzato di 1 semitono (più che eccedente se alzato di 2 semitoni). Si noti poi che sia l’unisono sia l’VIIIa hanno tutte le caratteristiche teoriche degli intervalli giusti e pertanto essi possono essere sia diminuiti sia eccedenti:
Intervalli giusti a partire dalla nota SOL
Ad esempio, DO – SOL# è un intervallo di Va eccedente in quanto aumentato di 1 semitono (i.e. la nota più acuta dell’intervallo non appartiene alla scala maggiore costruita a partire dalla nota più grave, ma risulta aumentata di 1 semitono). Analogamente per l’intervallo DOb – SOL.
Esempio di intervalli dalla nota DO
Esempio di intervalli dalla nota DO
La tabella dimostra che la stessa distanza può essere interpretata in molti modi differenti: ad esempio, DO – MI♭ è concettualmente diversa da DO – RE#, anche se raffigurano fisicamente lo stesso suono. Quindi, sebbene quei suoni siano fisicamente uguali e abbiano la stessa distanza dalla tonica, le due figure trovano la loro ragione di esistere in vari campi dell’armonia e nella formazione delle scale risultano entrambi fondamentali nella natura della teoria musicale: ciò che varia è l’altezzanominale e non la loro distanza fisica. Infatti, DO – MI♭ è una IIIa minore (DO-RE-MI, con il MI è abbassato di semitono rispetto al maggiore, un intervallo di un tono e mezzo), mentre DO – RE# è una IIa eccedente (il RE è innalzato di un semitono dalla IIa maggiore DO-RE, pur essendo sempre un intervallo di 1 tono e mezzo).
Perciò, per calcolare un intervallo tra due note dobbiamo:
Determinare la distanza diatonica (o quantità) cioè quanti gradi contiene l’intervallo (e.g. nell’intervallo RE – FA#, il RE è il Io grado, il MI è il IIo, il FA è il IIIo grado. Sono perciò in totale tre gradi, per cui si tratta di un intervallo di IIIa). Nota: si parla di distanza diatonica in quanto le due note non sono mai con lo stesso nome seppur alterate. Infatti, non si tengono qui conto eventualmente alterazioni presenti (e.g. che sia FAb, FA o FA#, il grado dell’intervallo rimane sempre il medesimo).
Determinare il carattere (oqualità)dell’intervallo per tener conto delle possibili alterazioni.
Considerare la nota più grave come tonica della scala maggiore di riferimento (e.g. per l’intervallo RE – FA# consideriamo la nota RE come tonica della scala di RE maggiore).
Determinare quali alterazioni (diesis o bemolle) appartengono all’armatura di chiave della scala individuata al punto 1 (e.g. la scala di RE maggiore ha in chiave il FA# e il DO#).
Considerando ora la nota più acuta dell’intervallo si deve vedere se appartiene o meno allatonalità determinata dalla nota più grave, in funzione di tonica (e.g. per l’intervallo RE – FA#, si vede che la nota più acuta, il FA#,appartiene alla tonalità di RE maggiore, come precisato al punto 2).
Se la nota più acuta appartiene alla scala individuata dalla nota più grave concludiamo al punto 5, altrimenti proseguiamo al punto 6.
Se la nota più acuta appartiene alla scala maggiore della nota più grave, concludiamo sulla base della distanza: nella scala maggiore gli intervalli di IIa,IIIa, VIa e VIIa sono maggiorie gli intervalli di IVa,Vae VIIIa sono giusti(e.g. nell’intervallo RE – FA#, essendo un intervallo di IIIa, sarà maggiore).
Se la nota più acuta NON appartiene alla scala maggiore della nota più grave, valutiamo la sua distanza con quella appartenente a quella scala maggiore e applicando le seguenti regole:
minore: intervallo maggiore ridotto di 1 semitono cromatico [e.g. RE – MIb è un intervallo di IIa minore];
eccedente: intervallo maggiore o giusto aumentato di 1 semitono cromatico [e.g. RE – MI# è un intervallo di IIa eccedente; RE – SOL# è un intervallo di IVaeccedente];
diminuito: intervallo maggiore ridotto di 2 semitoni (i.e. minore ridotto di 1 semitono) o giusto ridotto di 1 semitono cromatico [e.g. RE – MIbb è un intervallo di IIa diminuito; RE – SOLb è un intervallo di IVadiminuito];
più che eccedente: intervallo maggiore o giusto aumentato di 2 semitoni cromatici (o, analogamente, intervallo eccedente aumentato di 1 semitono cromatico); [e.g. SOL – DO## è un intervallo di IVapiù che eccedente perché nella tonalità di SOL maggiore – armatura FA# –il DO è naturale mentre ora è stato aumentato 2 volte].
più che diminuito: intervallo maggiore ridotto di 3 semitoni (i.e. minore ridotto di 2 semitoni) o giusto ridotto di 2 semitoni cromatici (o, analogamente, intervallo diminuito ridotto di 1 semitono cromatico) [e.g. SI – REbb è un intervallo di IIIa più che diminuita poiché nella tonalità di SI maggiore – armatura FA#, DO#, SOL#, RE#, LA# –il RE è diesis. In questo caso il RE# è stato abbassato 3 volte – RE# < RE < REb < REbb – quindi è più che diminuito].
più più che eccedente (raro): intervallo maggiore o giusto aumentato di 3 semitoni
più più che diminuito (raro): intervallo maggiore ridotto di 4 semitoni o giusto di 3 semitoni
_______ Esempi
I casi più semplici si hanno quando la nota più grave è il DO, in quanto la scala di DO> non ha alterazioni in chiave, per cui l’analisi richiesta al punto 3 viene semplificata. Partiamo quindi da esempi che hanno la nota DO come tonica:
DO – MI Intervallo di IIIa maggiore (il MI appartiene allascala di DO>, che ha per tonica la nota più grave dell’intervallo e non presenta alcuna armatura in chiave)
DO – MIb IIIa minore (il MIb non appartiene allascala di DO>, che infatti non ha alterazioni per cui il MI risulta abbassato di 1 semitono)
DO – LA VIa maggiore (il LA appartiene allascala di DO>, che infatti non ha alterazioni)
DO – LAb VIa minore (il LAb non appartiene allascala di DO>, che infatti non ha alterazioni per cui il LA risulta abbassato di 1 semitono)
DO – SOLb Va diminuito (il SOLb non appartiene allascala di DO>, che infatti non ha alterazioni per cui il SOL risulta abbassato di 1 semitono). Inoltre, non è minore in quanto è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto.
DO – SIbb VIIa diminuito (il SIbb non appartiene allascala di DO> che infatti non ha alterazioni per cui il SI risulta abbassato di 2 semitoni). Si noti che i suoni si devono scrivere con il giusto nome anche se suonano uguali: il LA naturale ha un’altra tonalità rispetto al SIbb, in quanto si andrà a risolvere diversamente: a nulla importa che, abbassando di due semitoni il SI, si ottenga il LA che sarebbe invece nella chiave di DO> e quindi sarebbe in quel caso un intervallo di VI maggiore).
DO – SIbbb VIIa più che diminuito (il SIbbb non appartiene allascala di DO> che infatti non ha alterazioni per cui il SI risulta abbassato di 3 semitoni). Vedi nota dell’esempio precedente.
DO – FA# IVa eccedente (il FA# non appartiene allascala di DO>, che infatti non ha alterazioni per cui il FA risulta alzato di 1 semitono). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto ma la regola d’innalzamento di 1 semitono varrebbe anche per intervalli della prima specie.
Gli esempi seguenti utilizzano invece come fondamentale una nota differente dal DO, per cui è necessario fare riferimento all’armatura in chiave della scala di quella nota considerata come tonica: conterrà delle alterazioni di cui si dovrà tener conto per determinare la relazione tra la nota più acuta dell’intervallo e questa scala della nota più grave.
RE – DO VIIa minore (la scala di RE> ha come chiavi di armatura FA#, DO# per cui la nota più altra dell’intervallo, il DO, non appartiene a quellascala mail DO risulta abbassata di 1 semitono – Da DO# passa al DO in quell’intervallo). Nota: è minore in quanto è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
RE – MIb IIa minore (la scala di RE> ha come chiavi di armatura FA#, DO# per cui la nota più altra dell’intervallo, il MIb, non appartiene a quellascala mail MI risulta abbassata di 1 semitono (MIb = MI –1 semitono) – Da MI passa al MIb in quell’intervallo). Nota: è minore in quanto è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
MIb – SOL# IIIa eccedente (la scala di MIb> ha come chiavi di armatura SIb, MIb, LAb per cui la nota più altra dell’intervallo, il SOL#, non appartiene a quellascala mail SOL risulta alzato di 1 semitono (SOL# = SOL + 1 semitono). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo giusto.
SI – SOL# VIa maggiore (la scala di SI> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE#, LA# per cui la nota più altra dell’intervallo, il SOL#, appartiene a quellascala per cui non è alterato). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo maggiore.
SIb – FAb Va diminuito (la scala di SIb> ha come chiavi di armatura Sib, MIb per cui la nota più altra dell’intervallo, il FAb, non appartiene a quellascala per cui risulta abbassato di 1 semitono – da FA passa al FAb di quell’intervallo). Nota: non è minore in quanto è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto e non maggiore.
SIb – MI IVa eccedente (la scala di SIb> ha come chiavi di armatura SIb, MIb per cui MI non appartiene a quellascala per cui il MI risulta alzato di 1 semitono rispetto al MIb della scala: MI = MIb + S ). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto.
SOL – REb Va diminuito (la scala di SOL> ha come chiavi di armatura FA# per cui REb non appartiene a quellascala il cui RE risulta abbassato di 1 semitono). Nota: è un intervallo della seconda specie.
SOL – RE# Va eccedente (la scala di SOL> ha come chiavi di armatura FA# per cui RE# non appartiene a quellascala il cui RE risulta alzato di 1 semitono). Nota: è un intervallo della seconda specie.
DO# – SIb VIIa diminuito (la scala di DO#> ha come chiavi di armatura # per tutte le note: FA#, DO#, SOL#, RE#, LA#, MI#, SI# per cui SIb non appartiene a quellascala il cui SI risulta abbassato di 2 semitoni: SIb = SI# – 2S). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
LA – FA## VIa eccedente (la scala di LA> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL# per cui FA## non appartiene a quellascala il cui FA risulta alzato di 1 semitono: FA## = FA# + 1S). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
MIb – SI# Va più che eccedente (la scala di MIb ha come chiavi di armatura SIb, MIb, LAb per cui SI# non appartiene a quellascala il cui SI risulta alzato di 2 semitoni: SI# = SIb + 2S). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto.
MIb – SI Va eccedente (la scala di MIb ha come chiavi di armatura SIb, MIb, LAb per cui SI non appartiene a quellascala il cui SI risulta alzato di 1 semitoni: SI# = SI + 1S). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto.
SOL – FA# VIIa maggiore (la scala di SOL ha come chiavi di armatura FA#per cui FA# appartiene a quellascala mantenendo la stessa alterazione). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
SOLb – SIb IIIa maggiore (la scala di SOLb ha come chiavi di armatura Sib, Mib, LAb, REb, SOLb, DOb per cui SIb appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie.
REb – SIbb VIa minore (la scala di REb ha come chiavi di armatura Sib, Mib, LAb, REb, SOLb per cui SIbb non appartiene a quellascala il cui SI viene abbassato di un semitono: SIbb = SIb – 1S). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
REb – DO VIIa maggiore (la scala di REb ha come chiavi di armatura Sib, Mib, LAb, REb, SOLb per cui DO appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie.
MI – SOL IIIa minore (la scala di MI> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE# per cui SOL non appartiene a quellascala il cui SOL risulta abbassato di 1 semitono: SOL = SOL# – 1S). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
MI – SI# Va eccedente (la scala di MI> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE# per cui SI# non appartiene a quellascala il cui SI risulta alzato di 1 semitono: SI# = SI + 1S). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto.
MI – DO VIa minore (la scala di MI> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE# per cui DO non appartiene a quellascala il cui DO risulta abbassato di 1 semitono: DO= DO# – 1S). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
FA# – RE VIa minore (la scala di FA#> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE#, LA#, MI# per cui REnon appartiene a quellascala il cui RE risulta abbassato di 1 semitoni: RE = RE# – 1S). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
LA – SOL# VIIa maggiore (la scala di LA> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE#per cui SOL# appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, intervallo maggiore.
_______
MIb – SIbb Va eccedente (la scala di MIb> ha come chiavi di armatura SIb, MIb, LAb per cui SIbb è un semitono sotto il SIb che appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto.
MIb – LA IVa eccedente (la scala di MIb> ha come chiavi di armatura SIb, MIb, LAb per cui LA è un semitono sopra il LAb che appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto.
RE – SI# VIa eccedente (la scala di RE> ha come chiavi di armatura FA#, DO# per cui SI# non appartiene a quella scala che ha il SI naturale, che in questo intervallo risultaaumentato di un semitono). Nota: è un intervallo della prima specie, intervallo maggiore.
_______
MIb – DO VIa maggiore (la scala di MIb> ha come chiavi di armatura SIb, MIb, LAb per cui DO appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, intervallo maggiore.
LA – FA# VIa maggiore (la scala di LA> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE# per cui FA# appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, intervallo maggiore.
SOL – MIb VIa minore (la scala di SOL> ha come chiavi di armatura FA#, DO# per cui MIb non appartiene a quellascala in quanto è abbassato di un semitono). Nota: è un intervallo della prima specie, altrazione di un intervallo maggiore.
LAb – SI IIa eccedente (la scala di LAb> ha come chiavi di armatura SIb, MIb, LAb, REb per cui SI non appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto.
LAb – MIbb Va diminuita (la scala di LAb> ha come chiavi di armatura SIb, MIb, LAb, REb per cui MIbb è un semitono sotto il MIb che appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto.
SOL – RE# Va eccedente (la scala di SOL> ha come chiavi di armatura FA#, DO# per cui RE# non appartiene a quellascala in quanto aumentato di un semitono). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto.
SIb – MI IVa eccedente (la scala di SIb> ha come chiavi di armatura SIb, MIb per cui MI è un semitono sopra il MIb che appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto.
MI – SOL# IIIa eccedente (la scala di MI> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE# per cui SOL# appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
FA# – DO## Va eccedente (la scala di FA#> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE#, LA#, MI# per cui DO## è un semitono sopra al DO# che appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto.
DO# – MIb IIIa diminuita (la scala di DO#> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE#, LA#, MI#, SI# per cui MIb è due semitoni sotto il DO# che appartiene a quellascala: minore -> diminuita). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
SI – SOL VIa minore (la scala di SI> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE#, LA# per cui il SOL è un semitono sotto il SOL# che appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
SI – LA VIIa minore (la scala di SI> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE#, LA# per cui LA è un semitono sotto il LA# che appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
SOLb – SI IIIa eccedente (la scala di SOLb> ha come chiavi di armatura SIb, MIb, LAb, REb, SOLb, DOb per cui SI è un semitono sopra il SIb che appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
LA – SOL VIIa minore (la scala di LA> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL# per cui SOL è un semitono sotto il SOL# che appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
SI – LA# VIIa maggiore (la scala di SI> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE#, LA# per cui LA# appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, un intervallo maggiore.
SOLb – LA IIa eccedente (la scala di SOLb> ha come chiavi di armatura SIb, MIb, LAb, REb, SOLb, DOb per cui LA è un semitono sopra il LAb che appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
SI – RE IIIa minore (la scala di SI> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE#, LA# per cui RE è un semitono sotto il RE# che appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, un intervallo maggiore.
REb – SIb VIa maggiore (la scala di REb> ha come chiavi di armatura SIb, MIb, LAb, REb, SOLb per cui SIb appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, alterazione di un intervallo maggiore.
SI – RE# IIIa maggiore (la scala di SI> ha come chiavi di armatura FA#, DO#, SOL#, RE#, LA# per cui RE# appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, un intervallo maggiore.
DO – SI VIIa maggiore (la scala di DO> ha come chiavi di armatura FA# per cui SI appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della prima specie, un intervallo maggiore.
REb – SOL IVa eccedente (la scala di REb> ha come chiavi di armatura SIb, MIb, LAb, REb, SOLb per cui SOL è un semitono sopra il SOLb che appartiene a quellascala). Nota: è un intervallo della seconda specie, alterazione di un intervallo giusto.
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Altri esempi, suddivisi per specie:
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A) Intervalli di prima specie (intervalli di IIa, IIIa, VIaeVIIa) [i.e. Maggiore/Major se non subisce alterazioni]
Se un intervallo maggiore viene alterato in senso ascendente, diventa progressivamente:
maggiore > eccedente > più che eccedente > più più che eccedente (raro)
Nota: eccedente si può indicare anche con il termine aumentato.
Esempi di intervalli di IIIa, IIa,VIa eVIIaalterati in senso ascendente
RE – FA# è un intervallo di IIIa maggiore poiché nella tonalità di RE maggiore (armaturaFA#, DO#) il FA è diesis e quindi nell’intervallo non è stato alterato rispetto alla tonalità di riferimento.
SOL – LA#è un intervallo di IIa aumentata poiché nella tonalità di SOL maggiore (armaturaFA#) il LA è naturale. Siccome il LA è stato aumentato di 1 semitono in senso ascendente, rispetto alla tonalità di riferimento, diventa una IIaaumentata.
FA – RE##è un intervallo di VIa più che aumentata poiché nella tonalità di FA maggiore (armatura SIb) il RE è naturale. In questo caso il RE è stato aumentato due volte, quindi diventa più che aumentato.
REb – SI##è un intervallo di VIa più più che aumentata poiché nella tonalità di REb maggiore (armatura SIb, MIb, LAb, REb, SOLb)il SI è bemolle. In questo caso il SIb è stato aumentato tre volte (SIb > SI naturale > SI # > SI##) quindi più più che aumentato.
Se invece un intervallo maggiore viene alterato in senso discendente, diventa progressivamente:
maggiore > minore > diminuito > più che diminuito > più piùche diminuito(raro)
Esempi di intervalli di IIa,IIIa, VIaeVIIa alterati in senso discendente
DO – MI intervallo di IIIa maggiore poiché nella tonalità di DO maggiore (armatura vuota)il MI è naturale.
SOL – SIb intervallo diIIIa minore poiché nella tonalità di SOL maggiore (armaturaFA#) il SI è naturale. In questo caso il SI è stato abbassato di 1 semitono, per cui la IIIa è passata da maggiore a minore.
FA – LAbb intervallo diIIIadiminuita poiché nella tonalità di FA maggiore (armatura SIb) il LA è naturale. In questo caso il LA è stato abbassato 2 volte, per cui la IIIa diventa diminuita.
SI – REbb intervallo di IIIa più che diminuita poiché nella tonalità di SI maggiore (armaturaFA#, DO#, SOL#, RE#, LA#)il RE è diesis. In questo caso il RE# è stato abbassato 3 volte (RE# < RE bequadro < REb < REbb) quindi è più che diminuito.
FA# – MIbb intervallo di VIIa più più che diminuita poiché nella tonalità di FA# maggiore (armaturaFA#, DO#, SOL#, RE#, LA#, MI#) il MI è diesis. In questo caso il MI# è stato abbassato quattro volte (MI# < MI bequadro < MIb < MIbb) quindi è più più che diminuito.
_________
B) Intervalli di seconda specie (intervalli unisono, IVa,VaeVIIIa) [i.e. Giusto/Perfect se non subisce alterazioni]
Se un intervallo giusto viene alterato in senso ascendente, diventa progressivamente:
giusto > eccedente > più che eccedente > più più che eccedente (raro)
Nota: eccedente si può indicare anche con il termine aumentato.
Esempi di intervalli unisono, IVa,Va e VIIIa alterati in senso ascendente
SI – SI# intervallo diunisono aumentato perché nella tonalità di SI maggiore (armaturaFA#, DO#, SOL#, RE#, LA#) il SI è naturale. In questo caso il SI è aumentato 1 volta, quindi è unisono aumentato.
LAb – RE intervallo di IVa eccedente perché nella tonalità di LAb maggiore (armatura SIb, MIb, LAb, REb) il RE è bemolle. In questo caso il RE è aumentato 1 volta, quindi è una IVa eccedente.
SOL – DO## intervallo diIVapiù che aumentata perché nella tonalità di SOL maggiore (armatura FA#)il DO è naturale. In questo caso il DO è stato aumentato 2 volte, quindi è una IVapiù che aumentata.
MIb – SI## intervallo di Vapiù più che aumentata perché nella tonalità di MIb maggiore (armatura SIb, MIb, LAb) il SI è bemolle. In questo caso il SI è stato aumentato 3 volte (SIb > SI bequadro > SI# > SI##), quindi è unaVa più più che aumentata.
Se un intervallo giusto viene alterato in senso discendente, diventa progressivamente:
giusto > diminuito > più che diminuito > più più che diminuito(raro)
Esempi di intervalli unisono,IVa,VaeVIIIa alterati in senso discendente
FA# – SI intervallo diIVa giusta perché nella tonalità di FA# maggiore (armatura FA#, DO#, SOL#, RE#, LA#, MI#) il SI è naturale, quindi non è stato alterato.
DO – SOLb intervallo diVadiminuita perché nella tonalità di DO maggiore (armatura vuota) il SOL è naturale. In questo caso il SOL è stato abbassato 1 volta, quindi è una Va diminuita.
LA – LAbb è un intervallo di VIIIa più che diminuita perché nella tonalità di LA maggiore (armaturaFA#, DO#, SOL#) il LA è naturale. In questo caso il LA è stato abbassato 2 volte, quindi è una VIIIapiù che diminuita.
SI – FAbb intervallo di Va più più che diminuita perché nella tonalità di SI maggiore(armatura FA#, DO#, SOL#, RE#, LA#) il FA è diesis. In questo caso il FA è stato abbassato 3 volte (FA# < FA < FAb < FAbb), quindi è unaVa più più che diminuita.
Si noti che alcune note non sono presenti nel circolo delle quinte che contempla infatti solo DOb>, DO>, DO#>, REb>, RE>, MIb>, MI>, FA>, FA#>, SOLb>, SOL>, LAb>, LA>, SIb>, SI>
Si noti che esistono scale maggiori enarmoniche, cioè che hanno esattamente gli stessi suoni anche se il nome è differente: è il caso di FA# e SOLb, DO# e REb, SI e DOb.
Anche le altre tonalità comunque esistono, ma solo da un punto di vista armonico, vale a dire si tratta di tonalità empiriche che si ritrovano solo nelle analisi armoniche. In genere non vengono considerate a livello di alfabetizzazione musicale. Il calcolo dell’armatura in chiave si può comunque sempre fare anche per quelle, seguendo la seguente procedura:
Si toglie l’alterazione e si trova l’armatura dell’intervallo così derivato;
Si modifica tutta l’armatura trovata al punto 1, aggiungendo per tutte le note del pentagramma l’alterazione presente nella nota più grave e precedentemente non considerata nel considerare la scala.
Si considera la tipologia dell’intervallo tenendo conto anche della variazione tonale introdotta al punto 2.
Ad esempio, se si cerca la tipologia dell’intervallo RE# – SIb, si nota subito che la tonica RE# non è contemplata dal circolo delle quinte. Considero allora inizialmente l’intervallo RE – SIb (e.g. senza prendere perciò in conto l’alterazione della tonica): si tratta di un intervallo VIa minore essendo il SIb abbassato di 1 semitono rispetto alla scala di RE maggiore che contempla un SI naturale). Tendo ora in conto il # della tonica RE# che accorcia ancora di 1 semitono quell’intervallo, per cui si ha un abbassamento totale di 2 semitoni per cui l’intervallo RE# – SIb è di VIa diminuita. Il numero di # presenti nell’armatura sono poi quelli del RE (FA#, DO#) più uno spostamento di tutte le note in #, per un totale di (2 + 7) = 9# (tutte le note avranno un # eccetto il FA e il DO che avranno ##: nota che devono essere chiamate FA## e DO## e non SOL e RE seppur note analoghe da un punto di vista sonoro). Analogamente la scala di MI# avrà un’armatura di (4 + 7) = 11# avendo quella del MI un’armatura di 4# (FA#, DO#, SOL#, RE#).
Si noti che lo stesso ragionamento si può anche fare per il DO#,sebbene contemplato dal circolo delle quinte: infatti anche in questo caso, essendo il # della tonalità di DO che non ha alcuna alterazione, quella alterazione comporterà lo spostamento di tutte le note in #, per cui si avrà appunto un’armatura con 7#, così come anche stabilito applicando la procedura del circolo delle quinte!
Se si desidera solo conoscere l’intervallo tra due notea partire da una non contemplata dal circolo delle quinte (e.g. FAb – SI), è sufficiente togliere l’alterazione alla prima nota dell’intervallo (riportandola ad una contemplata) e di conseguenza spostare analogamente la seconda nota, in modo da mantenere inalterata l’ampiezza dell’intervallo: ad esempio, l’intervallo FAb – SI è uguale a quello di FA – SI# (avendo spostato più in alto di un semitono entrambe le note, mantenendone così immutata la distanza), per cui si tratta di un inervallo di IV più che eccedente (SI# è spostato di un tono rispetto alla nota SIb presernte nella scala di FA).
______ Trovare una tipologia di intervallo a partire da una tonica
Un altro esercizio consiste nel trovare una tipologia di intervallo a partire da una tonica:
VIa ecc di REb =====> SI Infatti, la VIa di RE è SI; inoltre, REb ha in armatura SIb, MIb, LAb, REb, SOLb, DOb per cui se fosse SIb sarebbe un intervallo maggiore, ma noi lo vogliamo eccedente per cui devo aumentarlo di 1 semitono(SI = SIb + 1 semitono)
IVa dim di SIb =====> MIbb Infatti, la IVa di SI è MI; inoltre, SIb ha in armatura SIb, MIb per cui se fosse MIb sarebbe un intervallo giusto, ma noi lo vogliamo diminuito per cui devo diminuirlo di 1 semitono (MIbb = MIb – 1 semitono)
VIa magg di SI =====> SOL# Infatti, la VIa di SI è SOL; inoltre, SI ha in armatura FA#, DO#, SOL#, RE#, LA# per cui se metto il SOL# in armatura ho appunto un intervallo maggiore.
IIIa minore di LAb =====> DOb Infatti, la IIIa di LA è DO; inoltre, LAb ha in armatura SIb, MIb, LAb, REb per cui se metto DO ho un maggiore per cui devo abbassare di un semitono (DOb = DO – semitono) per ottenere il minore.
VIIa minore di RE =====> DO Infatti, la VIIa di SI è DO; inoltre RE ha in armatura FA#, DO# per cui se mettessi il DO# avrei un intervallo maggiore, ma volendolo minore devo abbassarlo di un semitono (DO = DO# – 1 semitono).
_________ I rivolti
Rivoltare un intervallo vuol dire girarlo ovvero il primo suono diventa il secondo all’ottava superiore. Ogni intervallo ha sempre il suo rivolto e la sovrapposizione dei due intervalli darà come risultato un’ottava: è un po’ come in geometria, l’angolo complementare di un dato angolo è un angolo di ampiezza tale che, sommato all’angolo dato, permette di ottenere un angolo retto, ovvero di 90 gradi (in questo caso è invece la ottava musicale). L’intervallo principale e il suo rivolto devono essere sempre compresi nell’ambito di un’ottava, inoltre la somma delle distanza dei due intervalli (fondamentale e rivolto) darà come risultato sempre il numero 9. Si ricorda che la somma va fatta soltanto tra le distanze, senza considerare le specie.
Ad esempio per un intervallo DO – LAb(VIa minore) il suo rivolto sarà LAb – DO (IIIa maggiore) e la somma di questi due intervalli darà come risultato sempre il numero 9. Infatti sommando il primo intervallo (VIa) al secondo intervallo (IIIa) il risultato è 9 (6 + 3).
Il rivolto è sempre il contrario del tipo di intervallo originale:
Se l’intervallo è maggiore, il suo rivolto sarà sicuramente minore e viceversa (e.g. SOL – SI è una IIIa maggiore, SI – SOL è una VIa minore; l’intervallo DO – MI è una IIIa maggiore e il suo rivolto MI – DO è una VIa minore);
Se l’intervallo è diminuito diventa l’eccedente e viceversa (DO – SOL# è un intervallo di Va ecc e il suo rivolto SOL# – DO è una IVa dim; DO – FA# è un intervallo di IVa ecc e il suo rivolto FA# – DO è una Va dim);
Solo se il primo intervallo è giusto, il suo rivolto rimarrà giusto (e.g. DO – FA è IVa giusta e il suo rivolto FA – DO è una Vasempre giusta).
Esempio di intervalli e relativi rivolti
Le tonalità relative sono tonalità che hanno la stessa armatura, ovvero le stesse alterazioni. Nel sistema tonale moderno le tonalità relative sono a coppie, una maggiore e l’altra minore. Ogni tonalità maggiore ha per VIo grado la tonica della tonalità relativa minore (detta relativa minore o relativo minore), mentre ogni tonalità minore ha per IIIo grado la tonica della tonalità relativa maggiore (relativa maggiore o relativo maggiore).
Contando separatamente anche le coppie di tonalità acusticamente equivalenti (e. g. FA♯ maggiore e SOL♭ maggiore), cioè le tonalità omologhe, si arriva a sommare un totale di 30 tonalità:
La trasposizione (o trasporto) è la pratica musicale mediante la quale un brano viene eseguito o riscritto in una tonalità differente da quella originaria. Perciò, una stessa canzone che ha una sua tonalità originale in cui è stata incisa dall’artista, può essere suonata in qualsiasi altra tonalità, ad esempio per adattarla all’estensione vocale del cantante: infatti, accompagnando un cantante è sempre necessario trovare la tonalità più adatta alla sua voce, evitando così le note troppo alte o troppo basse per la sua estensione.
Si noti che, cmabiando tonalità, anche se non viene modificata la linea melodica, la percezione che si ha è differente. Il metodo del trasporto, inoltre, prevede che tutti gli intervalli tra i diversi suoni che compongono la melodia rimangano costanti anche nella nuova tonalità, così che anche l’idea musicale rimanga invariata (pur non conservando però lo stesso carattere che aveva nella tonalità di partenza). Perciò, il trasporto di un brano a una tonalità differente da quella originaria deve essere fatto spostando opportunamente la prima nota e poi ricostruendo le stesse proporzioni degli intervalli, cioè spostando tutte le note del pentagramma dello stesso numero di semitoni. Nella nuova partitura le note saranno così distanziate tra loro esattamente come lo erano le note della partitura originale. Il modo più banale di fare questo lavoro è quello di riscrivere la partitura nota per nota: ad esempio, per trasporre di un tono verso l’acuto, dove troviamo un LA scriveremo un SI, dove troviamo un FA scriveremo un SOL, dove troviamo un REb scriveremo un MIb, e così via. Questo procedimento è teoricamente semplice, ma richiede una buona dose di attenzione, oltre chiaramente alla capacità di leggere musica in modo sicuro e rapido. Solo se le note sono vicine tra loro in altezza è agevole ragionare a toni/semitoni per effettuare tale trasporto: diversamente è assai più conveniente (sia in termini di velocità sia meno prono a errori) ragionare in termini di intervalli e quindi ricostruire il brano portandosi a una scala differente (con le sue relative alterazioni).
La pratica del trasporto è poi necessaria per la lettura e per la scrittura delle parti per gli strumenti traspositori, vale a dire quegli strumenti musicali che producono note reali diverse da quelle scritte sulla loro sua partitura. Infatti, osservando una partitura per orchestra o banda, si osserverà che in un passaggio all’unisono, gli strumenti traspositori hanno una notazione diversa dagli altri: la stessa nota d’effetto (e.g. DO) può essere scritta RE (e.g. un tono sopra, se lo strumento è in SIb) o LA (e.g. tre semitoni sotto, se lo strumento è in MIb) o in altre posizioni. Inoltre anche la loro armatura di chiave (i diesis e i bemolli presenti in chiave) è diversa. Tutto ciò avviene perché questi strumenti seguono una convenzione di lettura diversa. Gli strumenti traspositori sono per la maggior parte strumenti a fiato e sono basati su una nota fondamentale diversa dal DO; ciò comporta che la loro scala naturale sia trasposta rispetto alla scrittura. Ad esempio, gli strumenti in SIb intonano un tono sotto rispetto alla scrittura per cui la loro parte deve essere scritta un tono sopra rispetto al suono reale (e.g. trasportata rispetto a una partitura classica per strumenti in DO).Si noti che, se quello strumento fosse realizzato nella tonalità DO (in modo tale che i suoni scritti corrispondano al suono reale) avrebbe una lunghezza minore, per cui il timbro del suo suono risulterebbe alquanto diverso (una colonna d’aria più corta produce meno armonici di una più lunga): questo è il motivo della scelta di una diversa nota fondamentale per quello strumento.
Perciò, mentre su un pianoforte si verifica la corrispondenza (biunivoca) tra nota rappresentata e frequenza (in Herz) secondo il temperamento equabile, su uno strumento in SIb (strumento traspositore quale la tromba o il clarinetto) alla nota segnata sul pentagramma corrisponderà la frequenza di un tono sotto (i.e. SIb = DO – 1tono). Per esempio, un DO (in chiave di violino) sul pianoforte suonerà effettivamente alla frequenza di un DO, mentre quella stessa nota DO suonata da una tromba in SIb emetterà la frequenza di un SIb, cioè esattamente un tono sotto. Quindi, sebbene gli spartiti per tromba in SIb siano storicamente in chiave di violino per cui il nome delle note resta invariato sul rigo, lo strumento produrrà suoni un tono sotto a quelli delle note rappresentate in quegli spartiti pensati proprio per strumenti in SIb. Per sapere quindi quale nota si sta suonando (in termini di frequenza o, se comunque in relazione a un pianoforte) si può immaginare di leggere in chiave di tenore.
Diversi strumenti musicali presentano all’interno della propria “famiglia” differenti esemplari che permettono di suonare con diversi timbri e in diverse altezze: perché ciò possa avvenire gli strumenti vengono costruiti in diversi “tagli“. Ne consegue però che l’esecutore andrebbe incontro a maggiori difficoltà di lettura e di diteggiatura, dovendo cambiare a seconda dello strumento. Per questo si adotta un sistema di lettura unico convenzionale per tutti gli esemplari della stessa “famiglia” che permette all’esecutore di non cambiare diteggiatura: la chiave di lettura che si adotta è la chiave di violino (o di SOL) definendo così le note che si andranno a leggere come “note scritte” e distinguendole quindi dalle “note reali” (o d’effetto) che verranno prodotte. Nella scrittura, le “note reali” vengono già trasportate in un’altra tonalità che permetta all’esecutore di suonare nella maniera per lui più naturale (i.e. senza alterare la diteggiatura) senza, però per questo, alterare musicalmente la tonalità originale del brano. Ad esempio, un sax contralto, che è tagliato in MIb (e.g. sax alto/baritono/contrabbasso), presenterà come nota “centrale” un MIb (tre semitoni più alto), mentre un sax tenore, che è tagliato in SIb, presenterà come nota “centrale” un SIb (un tono più basso). La trasposizione permette di usare il tasto del “DO centrale” a prescindere dallo strumento, suonando comunque la “nota reale“, facilitando così sia la lettura dello spartito sia l’uso della diteggiatura sullo strumento da parte dell’esecutore. In pratica, ad esempio uno strumento in SIb (e.g. clarinetto, tromba, sax soprano/tenore/basso) quando suona un DO in realtà suona un Sib: quindi, nello spartito si dovrà compensare effettuando, ad esempio, la trasposizione in RE dei DO che erano presenti nello spartito classico scritto appunto per strumenti in DO.
Inoltre, esistono alcuni strumenti (e.g. ottavino, chitarra, contrabbasso) in cui le “note reali” corrispondono ad altezze diverse di un’ottava da quelle scritte, per cui si applica una trasposizione d’ottava per evitare fastidiosi tagli addizionali sul pentagramma. In questo caso, tuttavia, non è necessario modificare nessuna nota/alterazione, essendoci limitati a spostare tutto di un’ottava e mantenendo perciò inalterato il nome delle rispettive note sul pentagramma.
Nella chitarra le note suonano un’ottava più in basso, per cui la notazione nello spartito è tutta trasposta di un’ottava più in alto per poter così scrivere una melodia solo utilizzando il pentagramma in chiave di violino.
La trasposizione degli strumenti rende più facile passare da uno strumento all’altro della stessa famiglia, mantenendo spartiti scritti con la medesima chiave: perciò il musicista non dovrà imparare nuove diteggiature. Ad esempio, ci sono diversi tipi di sassofoni nella famiglia dei sassofoni (i.e. sassofono soprano, sassofono contralto, sassofono tenore e sassofono baritono): le diteggiature sono tutte uguali, anche se produrranno suoni diversi su ognuno di quelli strumenti.
Avere poi strumenti di trasposizione rende anche molto più facile la lettura della musica in chiave di concerto. Molte orchestre richiedono ai clarinettisti di suonare un clarinetto in LA. Se un clarinetto in Sib dovesse suonare una certa musica scritta per orchestra, il clarinettista dovrebbe leggere un’enorme quantità di alterazioni: per questo, in questi casi i clarinettisti orchestrali suonano su un clarinetto in LA riducendo la quantità di alterazioni nello spartito, oltre a mettere la musica in una chiave di più agevole lettura.
Durante le prove, il direttore di orchestra dirà: “Suoniamo un concerto in Do maggiore“.
È compito del musicista sapere in quale trasposizione si trova il proprio strumento:
Gli strumenti in DO suoneranno una scala di DO maggiore.
Gli strumenti in SIb suoneranno una scala di RE maggiore.
Gli strumenti MIb suoneranno una scala di LA maggiore.
Gli strumenti in FA suoneranno una scala di SOL maggiore.
Nel seguito riporto una interessante tabella di trasposizione per strumenti in SIb e in MIb che ho trovato in questo sito: ad esempio, un DO suonato al pianoforte (strumento in DO) corrisponde ad un RE suonato da un sax tenore (strumento in SIb) e a un LA suonato da un sax alto (strumento in MIb).
Per usare la tabella basta individuare sulla prima colonna (pianoforte) la nota che si vuole trasporre e poi leggere, a fianco, la nota corrispondente nella colonna dello strumento in SIb (e.g. sax tenore, sax soprano identico al tenore ma suona a una ottava superiore) o di quello in MIb (e.g. sax alto, sax baritono identico al sax alto ma suona a una ottava inferiore). La prima categoria di strumenti viene detta in “SIb” perché al loro DO di posizione corrisponde il suono reale SIb di un pianoforte. Analogamente una seconda categoria di strumenti viene detta in “MIb” perché al loro DO di posizione corrisponde la nota MIb del pianoforte. La differenza di ottava può essere trascurata in quanto ogni strumento è opportuno che suoni nel suo registro più comodo e non c’è necessità di trascrivere le note del brano che si sta trasportando nella ottava originaria. Anche la trasposizione, ad esempio, da flauto traverso (strumento in DO) a clarinetto (strumento in SIb) può convenientemente essere fatta non solo convertendo scala di DO maggiore in una in RE maggiore, ma anche abbassando tutto di un’ottava (i.e. il RE sul 4o rigo del pentagramma si traspone nel MI sul 1o rigo).
Dalla armatura di chiave si può riconoscere la tonalità del brano originario: il caso più semplice è il caso in cui il brano originario sia nella tonalità di DO maggiore in cui non ci sono alterazioni in chiave e la nuova tonalità del brano trasposto viene un tono più in alto cioè sarà in RE maggiore (i.e. con due diesis FA#, DO#). Per la trascrizione per gli strumenti in RE, anche dalla tabella precedente si nota che, dopo avere inserito quelle due dovute armature (FA#, DO#) basta poi alzare tutte le note in alto (spazio sopra se nota originaria si trovava su un rigo, rigo sopra qualora si fosse trovata su uno spazio): ovviamente poi può essere conveniente normalizzare sia le note enarmoniche nella nuova partitura (e.g. MI# diventa FA, DOb diventa SI) sia eventuali doppi accidenti (e.g. FA## diventa SOL).
Nel seguito un esempio pratico di trasposizione di un tono verso l’acuto (i.e. per trasportare uno spartito per strumenti in DO in uno per strumenti in SIb) nel caso più complesso in cui ci sia in chiave un diesis (i.e. FA#) nella partitura in DO, da cui si deduce che il brano originario è nella tonalità di SOL maggiore:
Volendo trasporre il tutto un tono sopra (e.g. quando si suona il Sib nel clarinetto in Sib, voglio che suoni un DO), la nuova tonalità sarà LA maggiore per cui la nuova partitura avrà in chiave tre diesis (FA#, DO# e SOL#)
Si trascrivono sia le note originariamente poste su un rigo, nello spazio immediatamente sopra sia quelle originariamente poste su uno spazio, nel rigo immediatamente sopra, riportando eventuali accidenti (solo quelli non in chiave ???) e facendo anche attenzione a interpretare correttamente gli eventuali bequadro.
Si normalizzano infine sia le note enarmoniche nella nuova partitura (e.g. MI# diventa FA, DOb diventa SI) sia eventuali doppi accidenti (e.g. FA## diventa SOL).
Si noti che benchéil pentagramma sia diatonico, nel senso che gli intervalli tra righi e spazi non sono tutti di un tono (e.g. tra il primo rigo MI e il primo spazio FA c’è un semitono, come anche tra il terzo rigo SI e il terzo spazio DO), al passo 3 possiamo essere certi di aver aggiunto un tono a tutte le note, grazie alla modifica dell’armatura di chiave effettuata al passo 2.
Nel seguito si vede un esempio di trasposizione. Si noti che lo spartito relativo al suono d’effetto di uno strumento in SIb ha in chiave due bemolle (Sib, MIb) essendo una tonalità in SIb. La parte trascritta per uno strumento in SIb ha invece due # (FA#, DO#) avendo alzato di un tono la tonalità iniziale in DO e quindi portandolo a una tonalità di RE che presenta appunto tale armatura:
Analogamente se il brano per strumenti in DO (e.g. pianoforte) fosse nella tonalità di FA maggiore (1 bemolle in chiave -> SIb), per trasporlo per uno strumento in SIb si deve portare il brano in SOL maggiore (1 diesis in chiave -> FA#): come sempre non deve essere cambiata solo la tonalità, ma si devono anche spostare le note un tono più alte.
Trasporto (un tono più alto) di un brano tonalità di Fa maggiore per strumenti in DO in uno in SOL maggiore per uno strumento in SIb
Trasporto (un tono più alto) di un brano tonalità di DO maggiore per strumenti in DO in uno in RE maggiore per uno strumento in SIb
Se si deve fare la trasposizione è di un solo semitono o più semitoni vedi qui.
Quindi, in prima battuta, se si vogliono avere dei suoni reali con uno strumento in SIb leggendo spartiti in DO – quelli più facili da reperire – lo si devono leggere in chiave di contralto (un tono sopra). Viceversa, uno strumento in DO per leggere da spartiti in Sib, dovrà leggerlo in chiave di tenore (un tono sotto). Tuttavia questo non è sufficiente in quanto si devono considerare anche il cambio dell’armatura di chiave ed effettuare un’analisi delle alterazioni transitorie: vedi qui. Tuttavia, in genere anche gli spartiti per gli strumenti traspositori(e.g. tromba, clarinetto) sono scritti nella classica chiave di violino, per cui conviene, come visto precedentemente, riportare lo spartito a questa chiave senza utilizzare pentagrammi in chiavi di DO (i.e. chiave di contralto in cui il DO centrale si trova sulla 3a riga del pentagramma; oppure chiave di tenore in cui DO centrale si trova sulla 4a riga del pentagramma).
In questo interessante sito sulle diverse tipologie di sax si legge: le note dello strumento vengono nominate per come appaiono su di una partitura preparata appositamente per sassofono che è però diversa da quella del pianoforte. Questo artificio ci consente di poter chiamare le note nello stesso modo su tutti i tipi di sassofono. In assenza di una partitura preparata appositamente le note dei diversi sassofoni si troverebbero distribuite su più di quattro ottave obbligandoci a leggere continuamente fuori dal pentagramma e in più, a dover memorizzare differenti posizioni per la stessa nota sui differenti sassofoni. Per trovare sul sassofono le note del pianoforte è necessario quindi trasporle una VIa sopra per il sax contralto, una IXa sopra per il sax tenore. La reale estensione della famiglia dei sassofoni è rappresentata in figura:
Se uno ha lo spartito in forma digitale, si può effettuare automaticamente la trasposizione desiderata utilizzando appositi SW anche gratuiti (e.g. in Musescore si deve fare cntl+ a per selezionare tutto lo spartito e poi selezionare la voce Attrezzi -> Trasporto [ENG: Tools -> Transpose] del menù principale).
Nel seguito le tonalità degli strumenti da orchestra:
Già in precedenti post ho mostrato alcuni modi con cui è possibile scaricare video o audio resi disponibili su Internet anche se non esiste esplicitamente un tasto che consenta agevolmente il loro download:
Ho acquistato da poco un libro di spartiti che indicava l’indirizzo del sito dell’autore per avere a disposizione anche l’esecuzioni in mp3 di tali arrangiamenti. Purtroppo ho dovuto constatare che quel sito consentiva soltanto l’ascolto online in streaming dei brani e non di scaricarli in locale!!
Come fare allora per averceli anche offline? Basta individuare l’URL relativa al download di ogni singolo brano mp3 e questo può essere fatto utilizzando anche solo alcune funzionalità presenti nei browser principalmente per facilitare il debug di siti/programmi da parte degli sviluppatori! Sottolineo comunque che la procedura da seguire è comunque assai semplice e non è assolutamente necessario essere del mestiere per utilizzare tali funzionalità. Già in questo vecchio post avevo fatto vedere come ero riuscito a scaricare in locale tutto lo streaming dell’opera AIDA utilizzando appunto la funzionalità Developer Tools (F12) già presente in una delle prime versioni del browser Edge del 2015:
Developer Tools già presenti nella versione di Edge del 2015, come indicato in questo vecchio post
Ovviamente l’evoluzione di Edge in questi anni è stata notevole e anche quelle funzionalità, a supporto principalmente degli sviluppatori, sono molto migliorate! Ora per aprire quella sezione di debug del sito visitato in Edge si deve andare dal suo menù (… in alto a destra) su Altri strumenti ->Strumenti di sviluppo:
Sezione Altri strumenti ->Strumenti di sviluppo di Edge
Anche se l’interfaccia è migliorata, la metodologia da utilizzare per riuscire a scaricare i file mp3/mp4 rimane sostanzialmente quella stessa che avevo descritto nel vecchio post: si vedono i sorgenti della pagina (tab Elementi) e si ricercano eventuali riferimenti appunto a URL relative a file .mp3 o .mp4 .
Qualora, come spesso avviene, non se ne trovano, si passa alla sezione del tool relativa a ciò che transita in rete (tab Rete), in quanto probabilmente, agendo sullo specifico widget che consente la riproduzione in streaming del brano musicale/video, si vedrà transitare appunto la URL dal medesimo utilizzata per effettuare quello streaming. Infatti, per iniziare la riproduzione di ciascun brano, agendo su ciascuno dei widget presenti nel sito (che rimane visibile sulla sinistra) compaiono sullo strumento di debug (a destra) delle righe relative a file multimediali qualora si sia selezionato il sub-tag File multimediali di quella sezione Rete per effettuare opportunamente il filtraggio di ciò che sta transitando in rete, essendo noi interessati appunto ai contenuti multimediali. Facendo quindi click sul Nome del file richiesto, se ne vedono i dettagli e in particolare l’URL da cui è stato richiesto lo streaming:
A questo punto è sufficiente copiare tale URL (click tasto destro -> Copia valore) e poi aprire un nuovo tab nel browser per incollarcela e richiedere quindi al browser di riprodurre ciò che è collegato a quell’indirizzo. Anche qui basta fare click con il tasto destro e selezionare Download dal menù che compare sul video control HTML, per avviare il download del file:
Come sempre avviene, quel file scaricato dal browser si troverà nella directory specifica per i download (e.g. C:\Users\<nomeutente>\Downloads):
______________
Altre volte, (pur essendo magari bloccata dal componente la visibilità di ciò che transita in rete) si può ancor più semplicemente trovare l’URL da cui è poi possibile scaricarsi in locale l’mp3/mp4 ricercandola nel codice html della pagina, andando a evidenziare quella sua parte associate al componente (e.g. fare click sul tasto freccia per l’avvio della riproduzione audio, per vedere evidenziato il codice associato a quel componente che riproduce appunto il file mp3 da noi ricercato e che si intende poi riprodurre con il componente di riproduzione di default del browser il quale consente anche di scaricare in locale il brano). Ad esempio, è questo il caso di questo mp3 abbinato a un corso online di chitarra e che riproduce le corde a vuoto della chitarra, assai utile per accordare velocemente il proprio strumento e che quindi conviene sempre avere sul proprio smartphone: purtroppo non viene reso disponibile al download e si potrebbe solo riprodurre online una volta entrati nell’area privata del corso con una procedura non proprio immediata… Come vedete si può comunque scaricare convenientemente in locale copiandosi, dal codice associato a quel tag html <audio>, l’url del file mp3 che, copiato e poi inserito in un nuovo tab del browser consente di riprodurlo ed eventualmente anche scaricarlo in locale, analogamente a quanto visto precedentemente 😉 Il componente di default che riproduce il file mp3 nel browser Edge, consente infatti anche di scaricarlo in locale sia cliccando con il tasto destro e scegliendo “Salva audio con nome” sia cliccando sui tre punti (“…”) e quindi selezionando “Download“:
Si noti che anche nello stesso sito, a seconda del componente utilizzato nella pagina specifica, possono dover essere utilizzate entrambe le modalità viste. Ad esempio in un’altra pagina del medesimo sito ho dovuto utilizzare la prima metodologia:
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Si noti che, come alternativa ad andare sulla voce Altri strumenti ->Strumenti di sviluppo del menù di Edge, si può visualizzare ancor più agevolmente quella medesima sezione anche cliccando con il tasto destro su una parte “vuota” (e.g. non un’immagine o altro componente specifico) di una qualsiasi pagina di un sito che si vuole analizzare e scegliendo Esamina dal menù che compare: per chiudere poi quella modalità di visualizzazione basta anche qui fare click sulla X in alto a destra. Se invece, da quelle opzioni del menù, si sceglie Visualizza origine pagina (CTRL + U), viene solo visualizzato (in un altro tab del browser) il codice HTML di quella pagina:
Avevo già scritto, circa un anno fa, un post Come leggere ovunque un eBook comprato su Amazon, anche senza utilizzare un lettore Kindle in cui avevo fatto vedere come fosse possibile leggere un ebook nel formato proprietario di Amazon anche senza possedere un lettore Kindle, vale a dire utilizzando un’app su smartphone o un qualsiasi browser su qualsiasi piattaforma (e.g. PC). Quando avevo scritto quel post non era più presente un’applicazione Kindle installabile su un PC Windows, sebbene esistessero già nello Store Microsoft alcune app per leggere ebook Kindle, app tuttavia non sviluppate da Amazon e quindi presumibilmente non con tutte le potenzialità dell’app Kindle ufficiale disponibile del PlayStore… e per di più si tratta di app a pagamento. Per leggere da PC un ebook nel formato proprietario Amazon, era rimasto di fatto solo la possibilità di utilizzare la versione di lettore presente nel sito leggi.amazon.it o anche in read.amazon.it: il modello di URL utilizzato è il medesimo per ogni Paese, vale a dire “read” prima del dominio specifico del sito locale Amazon (e.g. read.amazon.com per la versione intenzionale in inglese, read.amazon.co.uk, read.amazon.fr, read.amazon.ca).
Da poco ho notato che finalmente è tornato possibile scaricare un’applicazione Kindle installabile sul proprio PC Windows: sebbene fosse scomparsa da diverso tempo, ora è quindi nuovamente possibile installare l’applicazione Kindle sul proprio PC/MAC. Infatti, la pagina di Amazon relativa ai lettori Kindle contempla ora anche il pulsante “Scarica per PC & MAC” che consente appunto di scaricare l’eseguibile per installarla:
D’altra parte il lettore disponibile da qualsiasi browser ha dalle limitazioni, penso dovute al fatto che opera online senza scaricare localmente tutto il libro. Infatti, ad esempio se uno va nella sezione Your Notes and Highlights di quel lettore web e cerca – andando nelle opzioni relative a una specifica annotazione – di posizionarsi dove quella nota era stata inserita nel testo, viene richiesto di aprire l’applicazione Kindle (Don’t you have Kindle for PC/;AC? Download it for free) che viene quindi scaricata se non ancora installata. Dopo avere acconsentito a scaricarla, nella directory Downolads relativa al proprio utente Windows (e.g. C:\Users\nomeutente\Downloads) uno si troverà il file d’installazione KindleForPC-installer-1.34.63103.exe (o successiva prossima versione) che dovrà essere cliccato due volte, con una procedura quindi usuale per l’installazione di una qualsiasi applicazione! Il fatto che Amazon non l’abbia resa disponibile anche come app scaricabile dallo Store di Microsoft non è certo bello, ma tant’è! Non ho ancora verificato, ma forse su Windows 11 ora risulta possibile installare la versione Android dell’app Kindle se, come immagino, disponibile nell’Amazon Appstore: infatti ho letto che, a partire dalla build 1.8.32837.0, è disponibile in Windows 11 il supporto alle applicazioni Android presenti nell’Appstore di Amazon, utilizzato da quell’azienda statunitense per i suoi dispositivi Fire. Queste applicazioni Android non sono quindi presenti direttamente nel Microsoft Store ma si deve passare attraverso l’Amazon Appstoreche deve essere scaricato dal Microsoft Store e installato come un normalissimo programma.
Si noti che l’applicazione Kindle è assai completa e, una volta autenticati con le proprie credenziali Amazon, fornisce tutte le funzionalità che uno si aspetta, anche quella di scaricarsi in locale i file relativi ai libri acquistati: scegliendo l’opzione Scarica dal menù che compare cliccando con il tasto destro sul libro d’interesse, si crea una cartella apposita in Documenti/My Kindle Content che contriene tutti i file associati, in particolare quello con estensione .azw con il contenuto del libro. Esiste poi, nel menù, un’apposita sezione Scaricati dove si possono vedere (e leggere) i libri appunto precedentemente scaricati in locale.
Quei file sono protetti da DRM e quindi possono essere letti solo dall’app Kindle. Infatti, se si cerca di aprirli con un generico lettore ebook, quale ad esempio Calibre, quei file nel formato azw non vengono riconosciuti se non installando appositi plug-in (anche gratuiti e opensource) o utilizzando altri programmi specifici a pagamento (e.g. questo):
I file scaricati dall’applicazione Kindle, essendo protetti da DRM, non possono essere letti (così come sono) da lettori di ebook generici
Lo scopo di questa guida è quello di mostrare come esista comunque la possibilità di eliminare la protezione DRM ai propri libri, potendoli così convertire eventualmente in altro formato richiesto da qualsiasi dispositivo uno possegga. Si noti, infatti, che il plugin DeDRM, di cui si parlerà nel seguito, sembra non funzionare con libri noleggiati o prestati, bensì solo con quelli che uno ha personalmente acquistato. Si tenga inoltre presente che le copie create potrebbero comunque contenere, ad esempio tra i metadati, informazioni che consentono di risalire all’acquirente del libro originario per cui sconsiglio vivamente di farne un uso che non sia quello esclusivamentestrettamente personale.
Esiste una pagina introduttiva con F.A.Q. di quel SW opensource (elencato tra i migliori plug-in di Calibre) dove si risponde, tra l’altro, alla domanda: “Perché dovrei voler rimuovere DRM dai miei ebook? Questa la risposta data: Quando i tuoi ebook hanno DRM non sei in grado di convertire l’ebook da un formato all’altro (ad esempio kindle KF8 in Kobo ePub), quindi sei limitato nella gamma di negozi di ebook che puoi utilizzare. DRM consente inoltre agli editori di limitare ciò che puoi fare con l’ebook che hai acquistato, ad esempio impedendo l’uso di software di sintesi vocale. A lungo termine, non puoi mai essere sicuro di essere in grado di tornare e rileggere i tuoi ebook se hanno DRM, anche qualora uno si salvasse in locale una loro copia di backup. Certo è forse una risposta di parte e magari incompleta in quanto dei libri digitali non protetti possono poi essere agevolmente diffusi a un pubblico che non paga i diritti dell’autore e dell’editore. È comunque anche vero che, pur operando su un ebook acquistato e non intendendo darlo ad altri, può tornare assai utile sia poterne usufruire anche su dispositivi che richiedono un altro formato (e.g. epub) sia poter stampare alcune sue pagine: quest’ultima esigenza penso sia particolarmente sentita qualora si tratti di spartiti musicali per i quali una lettura su un lettore Kindle risulta sicuramente non appropriata, date le dimensioni assai ridotte del suo display. Purtroppo anche tale possibilità di stampa a scopo personale è osteggiata da Amazon e risulta impossibile da effettuare utilizzando le sue applicazioni Kindle… sebbene ovviamente si possa sempre catturare a video le pagine d’interesse per poi stampare quelli screenshot! Insomma una copia si potrebbe sempre fare, sebbene utilizzando quella procedura non certo agevole, anzi assai scomoda! Anche di un libro cartaceo si possono sempre fare delle fotocopie personali di alcune sue parti, sebbene anche questa possibilità sia vietata dalle leggi di copyright che personalmente trovo fin troppo restrittive se applicate nei confronti di chi ha il possesso del prodotto e intende fare solo un uso personale di eventuali sue copie parziali.
Nel seguito fornisco nulla di più che alcune informazioni, disponibili agevolmente in rete (a tale scopo fornisco i rispettivi link), che dimostrano come comunque sia di fatto possibile, anche per i libri protetti da DRM, effettuarne una conversione in altri formati, rendendo così possibile sia una loro lettura su un qualsivoglia dispositivo sia una loro stampa a titolo personale. Si tratta di SW opensource di cui esistono perciò i sorgenti scaricabili da repository pubblici e quindi consultabili da chiunque (sebbene comprensibili ovviamente solo ai programmatori in quello specifico linguaggio, e.g. Pyton) e a cui più persone hanno contribuito alla realizzazione e mantenimento, come sempre avviene nei progetti opensource.
Questi SW, in particolare, forse non sono del tutto legali, ma comunque esistono ed esisteranno sempre… Come in tutte le cose, penso che ci sia sempre la possibilità di fare un corretto uso di ciò che l’informatica e i programmatori mettono a disposizione (anche gratuitamente con SW opensource), pur rimanendo rispettosi dei diritti intellettuali degli artisti (e.g. scrittori, musicisti, registi) e di tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione di un prodotto. Si noti che, così come è avvenuto per i film e (seppur in maniera minore) per gli audio, i meccanismi di protezione per gli ebook cambiano nel tempo, divenendo sempre più sofisticati per cercare di giustamente contrastare la pirateria. Perciò, anche per chi desidererebbe solo stamparsi qualche pagina di un proprio ebook acquistato, i problemi da superare sono cresciuti nel tempo, sebbene – a mio parere – questa attività sia ben diversa dalla pirateria a scopo di profitto che le leggi di copyright intendono giustamente contrastare! Auspico perciò che, in futuro, anche i lettori quali il Kindle consentano di effettuare una stampa personale (magari anche solo parziale) dei libri acquistati, quasi indispensabile soprattutto per alcune categorie di libri (e.g. spartiti musicali).
In particolare, gli ebook venduti da Amazon, sebbene possano essere letti anche su diversi dispositivi che non siano necessariamente i lettori proprietari Kindle, sono in un formato proprietario e anche i meccanismi di protezione associati sono cresciuti nel tempo. Immagino che anche la scomparsa, per diverso tempo, dell’applicazione Kindle per PC sia stata dovuta al fatto che si intendeva proteggere ulteriormente quella tipologia di prodotto con meccanismi più sicuri. Infatti, in generale, scaricare in locale un libro sul PC – per poterlo poi eventualmente sproteggere – risulta sicuramente più agevole che doverlo fare da un lettore Kindle in quanto richiede poi di doverlo trasfere a un PC via USB… operazione semplice ma comunque non proprio alla portata di tutti! Questa facilità di reperire il file scaricato, sebbene protetto, rende più agevole l’eliminazione della sua protezione DRM! Sembrerebbe che fino alla versione 1.26 dell’applicazione Kindle per PC si potesse ancora disabilitare il download dei libri nel nuovo formato KFX (quello che attualmente sembra risultare il più difficile da sproteggere) e si potesse quindi richiedere di avrlo nel formato precedente. Quella d’installarsi una vecchia versione del lettore Kindle per PC risulta quindi una delle possibilità per poi poter procedere all’eliminazione del DRM. Comunque, si può disabilitare il download del libro in tale formato anche con l’ultima versione dell’applicazione Kindle per PC, a patto di eseguire un’opportuna semplice procedura descritta nel seguito. A tale proposito, in questo forum si legge (vedi questo thread e quest’altro):
1. Disinstallare l’eventuale versione vecchia dell’applicazione Kindle. 2. Scaricare e installare quella più recente dalla pagina ufficiale di Amazon relativa ai lettori Kindle (i.e. https://www.amazon.it/kindlepcdownload/ref=klp_hz_win) 3. Lanciare l’applicazione Kindle per scaricare il libro d’interesse da leggere ed eventualmente poi convertire in altro formato. Tuttavia, prima di effettuare tale download del libro, modificare a false il valore della seguente chiave di quella applicazione nel registry di Windows:
Per effettuare tale modifica è necessario lanciare l’Editor del registro di sistema e ricercare quella chiave navigando nell’albero HKEY_CURRENT_USER\SOFTWARE\Amazon\Kindle\User Settings. Ovviamente è necessario fare molta attenzione a non modificare null’altro nel registry di Windows in quanto questo potrebbe comportare malfunzionamenti del sistema operativo e/o di altre applicazioni. Sebbene personalmente sconsigli di effettuare tali modifiche se non si è un esperto del settore, nel seguito elenco alcuni dei possibili modi con cui si può lanciare agevolmente quell’editor:
Cercare regedit con la lente di ricerca presente nella toolbar e lanciare quel programma presente di default in Windows;
Nella finestra di Esegui scrivere il comando regedit ed eseguirlo premendo il tasto OK di conferma;
Nella finestra di DOSo nella PowerShell eseguire il comando regedit
Si noti che comunque, ad esempio all’apertura dell’applicazione Kindle, il valore di quella chiave nel registry viene da quella generalmenteimpostato nuovamente a true, per cui conviene verificare che abbia mantenuto il suo valore a false ed eventualmente modificarlo nuovamente ogni volta si desidera scaricare un libro che si intende poi convertire! Qualcuno propone quindi di non lanciare direttamente l’applicazione Kindle bensì di utilizzare il seguente file .bat che, fondamentalmente, contiene uno script che cancella innanzitutto quella chiave dal registry, lancia l’applicazione Kindle, aspetta che quell’applicazione stessa ricrei quella chiave (con il valore a true) e quindi ne modifica il valore a false:
@echo off
rem delete the registy key controlling KFX downloads
reg delete "HKEY_CURRENT_USER\SOFTWARE\Amazon\Kindle\User Settings" /v "isKRFDRendererSupported" /f
rem start K4PC from the default location or admin install location. This can be modified for non-standard installs
rem the "" sets the title for the DOS box. This was needed when the location for the segment
rem that starts K4PC had a user name with an embedded space requiring the "...." wrapper
set KINDLE=%LocalAppData%\Amazon\Kindle
set KINDLE_EXE=%PROGRAMFILES(X86)%\Amazon\Kindle
cd "%KINDLE%"
if not exist "%KINDLE_EXE%\Kindle.exe" goto :next
start "" "%KINDLE_EXE%\kindle.exe"
goto :repeat
:next
if not exist "%KINDLE%\application\Kindle.exe" goto :error
start "" "%KINDLE%\application\kindle.exe"
rem this loop waits for the isKRFDRendererSupported key to be created
:repeat
timeout 1
reg query "HKEY_CURRENT_USER\SOFTWARE\Amazon\Kindle\User Settings" /v "isKRFDRendererSupported"
if ERRORLEVEL 1 goto :repeat
rem when we arrive here, the key has been created, replace it with a version that does not allow KFX downloads
reg add "HKEY_CURRENT_USER\SOFTWARE\Amazon\Kindle\User Settings" /v "isKRFDRendererSupported" /t REG_SZ /d "false" /f
goto :ender
:error
echo Could not start Kindle4PC from either location tried.
:ender
rem wait for any key to be hit to close the command windows. remove the pause statement to auto-close
pause
Se si desidera approfondire, si possono visitare anche i seguenti link da cui ho preso tutte le informazioni descritte precedentemente:
Può anche convenire disabilitare nell’applicazione Kindle per PC l’aggiornamento dell’applicazione (Strumenti -> Opzioni -> Installa aggiornamenti senza chiedere conferma), soprattutto se uno desidera mantenerla in una versione antecedente la 1.26, magari appositamente installata in quanto non contemplava ancora il supporto KFX per cui non è in quel caso neppure necessario effettuare quel cambiamento di una chiave nel registry descritto precedentemente come soluzione alternativa.
Attenzione che, qualora si desideri installare una di quelle vecchie versioni dell’applicazione, probabilmente scaricandola dopo averla ricercata in Rete (infatti Amazon non le distribuisce più), è fondamentale verificare che non si tratti di una versione modificata appositamente per introdurre malware. Vedi How to Downgrade Kindle for PC/Mac Manually or Automatically 2021 Un modo per verificarlo è quello di controllare che il suo hash sia identico a quello dell’applicazione originale.In Windows questo si può fare aprendo una finestra di comando, cambiando la directory di lavoro in quella contenente il programma scaricato e immettendo il comando seguente:
certutil -hashfile <filename> SHA256
(cambiare <filename> con il nome del file scaricato)
4. Effettuando il doppio click sul libro d’interesse precedentemente acquistato, questo verrà scaricato nel “vecchio” formato come singolo file azw in una cartella apposita in Documenti/My Kindle Content/<Codicelibro>.Infatti, il plug-in drm remove di Calibre è in grado di operaresolo se il file è unico. 5. Se si sono installati in Calibre i due plug-in KFX Input e DeDRM, effettuare dalla directory Documenti/My Kindle Content/<Codicelibro> il drag&drop in Calibredi quel singolo file azw del libro. 6. Effettuare la conversione in altro formato (e.g epub, pdf) da Calibre per avere dl libro in più versioni oltre quella AZW3 originaria (vedi Calibre: come caricare sul proprio Kindle un qualsiasi e-book o documento e/o magari convertirlo in qualsiasi formato).
Come indicato, ovviamente prima di effettuare quel drag&drop in Calibre del file, si deve installare il plug-in gratuito DeDRM (qui viene descritta dettagliatamente la procedura): si noti che il DRM viene così rimosso quando si importa il libro in Calibre e non quando viene convertito in un altro formato per cui risulta possibile leggerlo con quel lettore ebook anche lasciandolo nel formato azw.
Conviene comunque convertirlo anche il epub o anche eventualmente in pdf, in modo da poterlo avere accessibile anche da altri ebook/dispositivi. Si noti che l’installazione di quei plug-in richiede di accettare i “rischi” del caso: trattandosi di progetti opensource dove i sorgenti risultano visibili su repository pubblici (e.g. GitHub), direi che il rischio è davvero nullo. Inoltre, come indicato nel repository GitHub che contiene quel progetto opensource, per l’ultimo formato Amazon KFX, gli utenti devono anche installare sempre in Calibre un altro plug-in gratuito, quello chiamato KFX Input: sembrerebbe che questo sia talvolta disponibile anche dal menu standard dei plug-in proposti da Calibre, anche se io non l’ho trovato: comunque è stato reso disponibile anche su questo thread di MobileRead (KFX Input.zip), come indicato anche qui.
È preferibile installare Calibre e il plug-in DeDRM sulla stessa macchina (e utente) in cui si trova sia il lettore (Kindle o Adobe Digital Editions (ADE)) sia quindi il libro d’interesse, in modo che DeDRM possa recuperare automaticamente la chiave per decrittografare.
Estrarre lo zip per ottenere il seguente altro zip contenuto al suo interno: DeDRM_Plugin.zip
Installare quel plug-in in Calibre
Preferences > Plugins > Load plugin from file
Selezionare DeDRM_Plugin.zip (nota: NON DeDRM_tools_{version}.zip che lo contiene)
Consiglio infine di utilizzare, se possibile, il programma Calibre nella sua versione a 64 bit, in modo da non rischiare d’incorrere in problemi di memoria nel processo di decrittografia nel caso di file di grandi dimensioni.
Comunque, se il libro richiede sia l’ultima versione di Kindle per PC sia il supporto KFX, al momento sembra non esista alcuna soluzione per convertirlo e leggerlo con un generico ebook reader (e.g. Calibre, Kobo, Likebook, PocketBook) diverso di quelli forniti da Amazon ed è quindi anche impossibile poter eventualmente effettuare una stampa personale anche solo di alcune sue pagine.
Se ciò accade molto probabilmente, anche solo in uno dei client di email presente in uno dei dispositivi in cui ci si è autenticati, i è configurato il protocollo POP3 (Post Office Protocol) [e non IMAP (Internet Message Access Protocol)]. In quella modalità di connessione con il server di posta, può succedere che venga attivata di default, la modalità per cui i messaggi, scaricati/letti da un client in locale sul dispositivo in cui è installato, vengano poi mantenuti anche sul server solo per un certo tempo (e.g. 15 giorni, 1 mese) dopo il quale vengono automaticamente cancellati lato server e quindi non risultano più disponibili a qualsiasi client che si colleghi successivamente a esso. Ovviamente anche impostando il protocollo POP non significa che necessariamente che questa cancellazione debba avvenire in quanto alcuni client (e.g. Outlook, ma non nell’app Posta/Mailpresente di default in Windows) consentono, durante il processo di configurazione di un account di posta, anche d’impostare un’opzione specifica che permette comunque di mantenere tutti i messaggi anche sul server.
Fare in modo di mantenere i messaggi anche sul server di posta è sicuramente la modalità che consiglio, in quanto non si rischia di “perdere” dei messaggi relativamente vecchi se si legge la posta da un altro dispositivo (magari uno nuovo o anche uno utilizzato di rado), in quanto quelli risultano solo più presenti nei dispositivi che hanno acceduto al server prima di quel lasso temporale!
L’impostazione si cancellazione automatica sul server dopo un certo lasso di tempo può sì assicurare che non si possa verificare di superare il massimo spazio a disposizione – con conseguente rifiuto di successivi nuovi messaggi in arrivo – ma penso sia altrettanto drammatico correre il rischio di non più riuscire a ritrovare una mail ricevuta, seppur datata!! Relativamente poi al primo problema, per liberare spazio è sufficiente ogni tanto cancellare la posta indesiderata o non più utile (vedi, ad esempio: Come fare quando si è quasi esaurito lo spazio di archiviazione su Gmail).
Per cui, se accedendo direttamente da browser a una propria casella di posta (o anche da un client da un nuovo PC o uno non usato da un po’) non si riescono più a trovare le email più vecchie di un lasso di tempo relativamente corto (e.g. qualche mese), conviene a provare ad aprire tutti gli altri client di email che uno ha configurato su medesimo dispositivo o su un altro. Se in uno di questi, si trovano i vecchi messaggi, questo significa che quel programma (configurato con il protocollo POP) se li era scaricati prima che il server li cancellasse automaticamente (per impostazione o per default) e quindi ora non li abbia più nella sua memoria, rendendoli conseguentemente non più leggibili da altri client/dispositivi che ora si connettano a esso.
Nel seguito mostro, a titolo di esempio, come configurare con il protocollo IMAP una casella di posta PEC su Aruba: ovviamente lo stesso discorso vale per qualsiasi server di posta per cui, ovviamente, si dovranno indicare diversi indirizzi di server di posta in uscita e in entrata su specifiche porte (e.g. imaps.pec.aruba.it:993 in arrivo e smtps.pec.aruba.it:465 in uscita). Si noti che, utilizzando il protocollo IMAP, se dei messaggi vengono cancellati da uno dei dispositivi, questo si ripercuote anche nella visualizzazione dagli altri: d’altra parte è quello che uno ci si aspetta.
Configurazione dell’app Posta su PC
Nel seguito le istruzioni passo passo utilizzando le impostazioni del server in arrivo e di quello in uscita indicate appunto nella guida di Aruba relativa al suo servizio di PEC: notare che esiste, alla fine di quella pagina, un’icona che porta a una sezione di video esplicativi, uno per ciascuno dei client di posta più in uso. Nel seguito dettaglierò la configurazione del solo client Posta, da me privilegiato in quanto non solo ottimo ma anche perché già presente di default in tutti i PC Windows 10. Eventuali video per configurare altri client (oltre anche a questo medesimo) si possono comunque trovare in questo link di Aruba.
L’app Posta presente di default in tutti i PC con Windows 10
ATTENZIONE: conviene impostare in generale configurare il protocollo IMAP (Internet Message Access Protocol) e non quello POP3 (Post Office Protocol)
In una pagina di help di Aruba viene specificato che una volta scaricati, i messaggi resteranno esclusivamente sul proprio dispositivo e saranno cancellati dalla WebMail PEC o dal server di posta dopo un tempo predefinito (e.g. 15 giorni). Per cui, per default, se non esiste la possibilità di configurare appositamente il mantenimento anche sul server dei messaggi (come ad esempio avviene con Outlook) il rischio di perdere i vecchi messaggi è elevato, ad esempio anche solo cambiando PC! Si noti che il client dell’app Posta di Windows non mi sembra consenta d’impostare alcun parametro relativamente al mantenimento sul server dei messaggi scaricati, per cui esiste effettivamente il pericolo che i messaggi scaricati con esso, non si ritrovino più poi sul server!!
Nel seguito l’impostazione sia con protocollo POP sia con quello IMAP. Personalmente consiglio di scegliere quello IMAP (e.g. imaps.pec.aruba.it:993 in arrivo e smtps.pec.aruba.it:465 in uscita) per evitare potenziali problemi di cui sopra:
Impostazioni -> Gestisci account -> Aggiungi account -> scorrere in basso nella finestra di popup per far comparire l’ultima scelta,Configurazione avanzata, che è quella da selezionare -> Account di posta Internet
Per andare a leggere una specifica email certificata, è necessario poi selezionare l’allegato postacert.eml allegato a quella email:
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Nel caso del client Outlook la configurazione analoga è la seguente:
Nel seguito l’impostazione in Outlook per fare in modo che i messaggi, scaricati su questo client di posta, permangano anche sul server nel caso in cui si imposti il protocollo POP: si noti che esiste ancora online un fuorviante video di help di Aruba di configurazione per il client Outlook (datato e con impostazioni non più corrette) che fa riferimento proprio a una configurazione POP che personalmente sconsiglio proprio per non rischiare d’incorrere in problemi di cancellazione automatica delle email sul server dopo un certo tempo (e.g. 15 giorni, 3 mesi).
Configurazione client Outlook on protocollo POP e opzione per lasciare una copia dei messaggi sul server
Può essere utile controllare periodicamente la visibilità delle proprie informazioni inserite su Facebook… in quanto spesso si scopre che sono visibili a tutto il mondo informazioni e post che invece uno non intendeva realmente rendere pubbliche se non alla cerchia di amici!
Per visualizzare ed eventualmente modificare tali impostazioni conviene, secondo me, operare sul sito Facebook da un browser e non dalla sua app, in quanto l’interfaccia risulta sicuramente più completa e agevole da gestire.
Se si desidera modificare solo la visibilità di un singolo post basta agire sull’apposita icona presente nel medesimo in alto a destra:
Tuttavia se si vuole agire e operare su tutti i post passati, la procedura di agire sull’impostazione di privacy di ognuno è impensabile!
Sebbene ci siano diversi modi per poter giungere a modificare ciascun parametro, la procedure più semplice è, secondo me, quella di agire dalla sezione Privacy Checkupraggiungibile dal menù in alto a sinistra del proprio account. Nel seguito mostro passo-passo come procedere. Innanzitutto si può verificare ed eventualmente cambiare la visibilità di ciascuna sezione del proprio profilo. Nel punto 8 si agisce sulla visibilità dei post passati. Nel punto 6 si imposta invece la visibilità di default dei post futuri (attenzione che se uno modifica la visibilità di un nuovo post, forse i successivi mantengono quella nuova impostazione di default!). Infine si può anche specificatamente bloccare la visibilità di tutto per una lista di utenze che uno può specificare.
Come ogni anno conviene visionare per tempo che le fatture ricevute siano state correttamente registrate nel sito dell’Agenzia delle Entrate, sopratutto quelle per cui si potrà richiedere un rimborso fiscale (e.g. per ristrutturazione, risparmio energetico). Analogo discorso per le ricevute mediche che oramai vengono automaticamente registrate, anche solo quando si acquista un farmaco in farmacia (se ovviamente si fornisce il proprio codice fiscale).
Sezione Le tue fatture nel sito dell’Agenzia delle Entrate: elenco delle fatture di uno specifico trimestre
Una delle funzionalità introdotte dal browser Edge ormai da più di un anno consente di ricercare in automatico dei coupon da applicare a un carrello di prodotti prima che uno ne che concluda l’acquisto. Si tratta perciò di una funzionalità assai interessante,
Personalmente ho sperimentato sconti su acquisti effettuati su Zalando, anche del 25%, e che diversamente non avrei avuto sul prodotto che comunque stavo acquistando, mentre su Amazon mi è capitati di ricevere consigli di prodotti analoghi a quello che stavo acquistando, ma venduti a un prezzo inferiore da quella medesima piattaforma di e-commerce.
Sconto che mi sono visto applicare in automatico grazie a Edge su un acquisto effettuato su Zalando
Insomma, un potenziale risparmio che sicuramente mi invoglia ancor più a utilizzare questo browser, spesso preferendolo ad altri (e.g. Chrome, Firefox) che comunque è sempre bene avere installati sul proprio PC: non è infatti inusuale dover provare ad accedere a un sito da un diverso browser in caso di anomalie sperimentate, magari dovute a dati mantenuti in cache o qualora quel sito non sia stato realizzato in modo professionale.
Generalmente la funzionalità di ausilio allo shopping risulta attiva di default nel browser Edge di Microsoft, preinstallato in tutti i PC/tablet con Windows 10/11. Comunque, verificare ed eventualmente modificarne lo stato, è sufficiente andare sulle sue pagine di configurazione (click sui tre puntini orizzontali in alto a destra e scegliere la voce Impostazioni, presente quasi in fondo alla lista) nella sezione relativa alla Privacy, ricerca e servizi di cui fornisco qui comunque anche il link diretto. Effettuando uno scroll verso il basso, a un certo punto di trova la voceRisparmia tempo e denaro con Shopping in Microsoft Edge dove risulta precisato ciò: troveremo automaticamente i migliori prezzi sul Web e ti aiuteremo a completare la transazione più velocemente.
Se l’interruttore relativo a quella impostazione risulta a ON, tutte le volte che si procederà nell’acquisto in un sito di e-commerce, precisamente nella pagina in cui risulta possibile inserire dei codici sconto/coupon, comparirà in automatico una finestra per segnalarne l’individuazione di potenziali validi da parte di Edge: se ne vengono mostrati, si può provare a inserirli a mano nell’apposito campo sconti/coupon del sito di e-commerce o, più semplicemente, acconsentire affinché Edge stesso prove ad applicare tutti quelli che ha trovato per vedere se risultano ancora attivi/validi per quell’acquisto specifico!
Ovviamente non sempre l’esito risulta positivo,… ma costa davvero pochi secondi lasciare effettuare quella verifica:
Non sempre i coupon che erano stati trovati risultano applicabili per l’acquisto in corso, ma tanto vale provare!
Talvolta può capitare di ricevere una email e di volere rispondere inserendoci un’immagine o caratterizzando lo stile del testo inviato in risposta (e.g. metterne una parte in grassetto o italico). Può succedere tuttavia che talvolta facendo, ad esempio, l’incolla di una immagine precedentemente salvata negli appunti (i.e. clipboard), questa non riesca a essere inserita e compaia il seguente messaggio: “Alcune caratteristiche di questo documento non sono supportate dai messaggi di posta elettronica con testo normale. Le immagini andranno perse“.
Fallisce l’inserimento di una immagine nel testo della risposta a una email ricevuta
Il motivo di ciò risiede nel fatto che il messaggio ricevuto, di cui stiamo effettuando un rispondi o un inoltra, è stato scritto con un formato Testo normale (e non HTML) per cui contempla solo l’inserimento basico di testo:
Tale caratteristica permane anche in un messaggio in risposta o d’inoltro, a meno che uno non modifichi esplicitamente il formato. Ciò può essere effettuato in due modi:
– Si preme sul pulsante Passa a formato HTMLpresente nella finestra popup di Verifica compatibilità di Microsoft Outlook che compare, ad esempio, quando si cerca d’inserire una immagine nella risposta:
Pulsante Passa a formato HTML presente nella finestra popup
– Si selezionare, nella sezione Formato, la scelta HTML sostituendola a quella di Testo normale preesistente. SI noti che, operando in tal modo, subito la sezione Carattere (precedentemente grigia in quanto non selezionabile)risulta disponibile, consentendo perciò una caratterizzare dello stile del testo. Ovviamente anche tutte le altre caratteristiche proprie di un testo in HTML risultano ora attive (e.g. possibilità d’inserire immagini, link):
Quando il formato è Testo normale, risulta disabilitata la sezione Carattere che consente di caratterizzare lo stile
Il brutto purtroppo avanza a grandi passi, aiutato forse anche dalla pandemia che ha messo in ginocchio diverse attività commerciali… ma questa non è certo una giustificazione! Ho rifatto da poco la tessera musei (aspettando il giusto dopo essermi indispettito non poco qualche tempo fa per la loro gestione della pandemia) e ieri sono andato a Palazzo Madama, nel bel museo collocato proprio in uno dei più suggestivi palazzi di Torino, molto comodo da visitare trovandosi proprio nella centrale piazza Castello. Si tratta di un museo che visito sempre con piacere, apprezzando spesso anche le mostre temporanee proposte. Inoltre, pur non raggiungendo la medesima elevata perfezione dell’impagabile museo Accorsi, la pulizia delle bacheche e la precisione nella collocazione degli oggetti esposti è sicuramente superiore a quella riscontrabile nel museo di Palazzo Reale… e anche questo fa piacere!
In questi giorni stanno allestendo una nuova mostra temporanea, per cui alcune sale erano inagibili, ma è sempre edificante passeggiare tra tante cose belle, come ammirare nuovamente il bel dipinto Ritratto d’uomo di Antonello da Messina (tornato al suo posta da poco, essendo stato concesso in prestito fino al 16 gennaio 2022 al Rijksmuseum di Amsterdam, in occasione della mostraRemember me. Stories about portraiture in the Renaissance) o alcune opere di Paolo Piffetti (ben 12 sono le sue opere tra cui un interessante inginocchiatoio a triplice curvatura con un incavo al centro, intarsiato con mazzi di rose e ghirlande)… per non palare dell’incredibile vista che si ha da una delle torri medievali, dove si può ammirare dall’alto il palazzo Reale, piazza Castello, via Po con al fondo la Gran Madre, la Mole Antonelliana, ecc… ecc…!
Altri luoghi magici, forse ancor più dei diversi sontuosi saloni, sono alcune protuberanze dell’edificio con bellissime vetrate che si affacciano su piazza Castello: in uno, in particolare, era presente una caffetteria che valeva la pena visitare anche solo per il luogo in cui era stata ricavata. Con estremo stupore e direi quasi malessere, entrando in quel medesimo luogo ho visto ora un ingombrante distributore di bibite, per di più collocato addirittura davanti a un dipinto a parete, nascondendolo quasi interamente!
Distributori automatici, collocati in un luogo inappropriato all’interno di uno dei più prestigiosi edifici di Torino, hanno sostituito il preesistente bar
Comprendo bene che, visto il probabile attuale basso afflusso di visitatori, la presenza di un bar con personale risultasse antieconomica, seppur abbellisse quel luogo e invitasse a sostare piacevolmente in uno dei tavolini presenti, dove si poteva ammirare il bel paesaggio.
Tuttavia la decisione di mettere un distributore di bibite in quel luogo è davvero inaccettabile! Che lo si metta semmai, se proprio necessario, all’ingresso o all’uscita nei pressi del negozio di libri e souvenir, ma non in quel locale oscurandone la bellezza! C’è solo da sperare che, non essendoci un numero adeguato di consumazioni (viste anche le sue dimensioni!), risulti non vantaggioso economicamente mantenerlo in quel luogo e venga quindi tolto!! Sì, perché oramai sembra proprio che il vantaggio economico risulti troppo spesso il solo metro usato per effettuare certe scelte! Personalmente credo ci siano buone speranze che venga tolto, dal momento che chiunque ami il bello, seppur assetato, non può abbassarsi ad acquistare prodotti da un distributore così collocato!!
Cercando ora su Internet ho visto unAvviso per la ricerca del Direttore di Palazzo Madama – Museo Civico d’Arte Antica, Torino: le candidature dovevano pervenire entro il 14 settembre 2020. Chissà se è già stato selezionato e se la decisione di mettere quel mega distributore di bibite è stata opera sua o del suo precedessore! In quest’ultimo caso, spero bene che tra le prime decisioni che prenderà ci sarà quella di rimuovere quei distributori da dove sono attualmente, collocandoli in un luogo più consono, qualora sia proprio indispensabile mantenerli in quel museo!
Lo sguardo enigmatico del dipinto di ritratto d’uomo di Antonello da Messina rimane imperterrito a osservare anche questi malfatti. Sembra anche lui dirci: “Togliere il bar perché forse antieconomico è un conto, ma ben altra cosa è mettere dei distributori in quel medesimo luogo (e non all’ingresso dove c’è la biglietteria o all’uscita dove c’è il negozio) coprendo – tra l’altro – quasi completamente un dipinto… magari non di valore come quello che mi ritrae, ma comunque un’opera d’arte da rispettare!”
La risposta, in sintesi, è che si deve contattare il servizio clienti (meglio tramite il Modulo di contatto, l’unico che offra quel servizio gratuitamente) in quanto solo loro possono agire lato backoffice, per modificare l’associazione tra nuova email e codice fiscale. Infatti, per come hanno progettato (malamente) quel sistema di vendita di biglietti online, non esiste diversamente la possibilità di configurare un nuovo utente che abbia come username una email differente e indicando per quello il medesimo codice fiscale di un altro utente già precedentemente registrato nel sistema, anche qualora costui non possa più recuperare la password dimenticata, per via della email associata (che funge anche da username) appunto non più attiva: infatti il processo di recupero della password è possibile solo tramite quella email oramai inesistente! 🙄 Ora, se sei interessato ai particolari, puoi continuare nella lettura del post… 🙂
TicketOne dicono sia il principale sito di vendita online di biglietti per concerti, eventi sportivi e spettacoli. Nato in Italia nel 1998, oggi è parte del network Eventim di Francoforte. Insomma, si tratta di un sito di e-commerce in teoria non certo più in beta… sebbene mi sembri che di problematiche ne presenti ancora diverse e anche alcune scelte progettuali siano almeno discutibili! Ad esempio, vorrei tanto sapere perché, chi ha lo ha progettato ha imposto l’univocità del codice fiscale tra tutte le persone registrate, quando per identificare un cliente di un sito generalmente è più che sufficiente avere univoca la sua email (utilizzata per questo spesso come username e a cui associare una password) o al limite il suo numero di cellulare, agevolmente verificabile tramite una consolidata procedura con invio via SMS/email di un codice temporaneo (OTP)! Imponendo, invece, anche l’univocità del codice fiscale tra tutte le persone registrate al servizio, si sono solo creati inutilmente dei potenziali problemi nel processo di acquisto. Infatti, qualora uno non possieda più l’email con cui si era un tempo registrato (e.g. perché era una email aziendale non più ora esistente), non risulta più possibile per lui recuperare la password per accedere al sito e modificare il suo indirizzo di posta elettronica, dal momento che il processo implementato di recupero della password avviene unicamente tramite email, perciò in questo caso in quella vecchia neppure più esistente! Anche se poi uno cerca di configurare un altro account, associandolo ad una propria nuova email, sebbene riesca a farlo, poi all’atto del primo acquisto questo non si riesce a concludere, in quanto il processo si blocca in quanto obbliga alla compilazione di tutti i dati personali compreso appunto il proprio codice fiscale che deve assurdamente essere univoco tra tutti i clienti: viene infatti mostrato l’avvertimento “Il codice fiscale inserito risulta già registrato“!!
Questo è quanto è successo a me che avevo anni fa creato un account su TicketOne con la mia email aziendale, ora non più esistente essendo io andato in pensione. Non ricordandomi la password che avevo impostato per TicketOne e non potendo recuperarla – dal momento che tale procedura utilizzerebbe quell’email non più attiva -, ho ovviamente creato un nuovo account con la mia email personale: tuttavia, dopo avere messo dei biglietti nel carrello e procedendo nel loro acquisto, la procedura si bloccava senza scampo non accettando il mio codice fiscale (campo obbligatorio) in quanto – veniva indicato nel messaggio di errore – già associato all’altro account! Rendere obbligatorio fornire il proprio codice fiscale per un acquisto di un biglietto è già di per sé strano, in quanto si tratta di un’informazione direi proprio non necessaria per questa categoria di prodotto/servizio, ma imporre anche che risulti univoco per tutti gli utenti registrati è davvero logicamente incomprensibile! L’unico motivo per cui potrebbe essere stato imposto quel requisito penso sia l’errata scelta (tecnicamente errata) di rendere – in qualche tabella della loro base dati – il campo codice fiscale chiave primaria di ricerca (per cui univoca per definizione)…
Se si cerca di acquistare con un proprio account con come username una email differente, non riesce più ad acquistare nulla in quanto il processo viene bloccato con l’avvertimento “Il codice fiscale inserito risulta già registrato“!!
Come fare dunque per effettuare un acquisto d’ora in poi? Non trovando una soluzione tramite le funzionalità del sito, ho cercato come contattare il loro servizio clienti per chiedere assistenza. Mi sembrava, infatti, che la mia problematica dovesse essere alquanto comune e mi sono stupito quindi di non averla trovata tra le F.A.Q. presenti nel sito. Ho quindi individuato il numero del loro call center(892101) ma, leggendo bene, mi sono reso conto che si tratta di un servizio a pagamento… e con che costi! Risulta evidente come quest’azienda utilizzi quello strumento, seppur fondamentale per un cliente, come una fonte di guadagno: il costo della telefonata è infatti di 1€ + iva al minuto da rete fissa e 1.50€ + iva al minuto da cellulare, con 12.91 centesimi di scatto alla risposta. A parte il costo elevato, non si capisce poi logicamente perchè debba risultare maggiorato se uno chiama da un cellulare (come oramai generalmente avviene), dal momento che il personale che risponde offre il servizio è sempre il medesimo e il costo del collegamento è ovviamente risulta a carico del chiamante!!
Costi salati per un servizio che dovrebbe essere garantito alla clientela
Incredibile poi notare come tale servizio non sia attivo per tutta la domenicae neppure il sabato dopo le 17:30,cioè proprio quando spesso si tengono eventi e quindi si può far sentire dal cliente la necessità di un loro supporto in real time, in caso di problemi sopraggiunti.
Capite che con dei costi del genere, il call center risulta uno strumento da utilizzare con cautela, soprattutto quando si tratta di spiegare – come nel mio caso – un problema che, per essere risolto potrebbe magari comportare decine di minuti di telefonata (i.e. con un costo di decine di euro!). Se penso al servizio clienti Amazon che ti richiama addirittura lui nel giro di pochi secondi e ti fornisce assistenza a tutte le ore… non ho parole!
In alternativa, per fortuna, esiste anche la possibilità di un supporto gratuito tramite la compilazione du un modulo di contatto presente sul loro sito, raggiungibile anche dalla loro app andando alla voce Contatti consumatori del suo menu.
Modulo di contatto con cui è possibile inoltrare richieste/quesiti per problematiche riscontrate
Non si tratta certo un servizio in real time, avendo ricevuto una risposta solo dopo alcuni giorni e, essendo stata per di più quella inadeguata e quindi non risolutiva, per cui ho dovuto ricontattarli nuovamente… sempre riutilizzando quel form! Mi chiedo: sarebbe chiedere troppo predisporre un servizio di chat(quindi in real time e perciò assai più indicato soprattutto per un servizio di ticketing), come hanno oramai molti servizi clienti low cost??
Inizialmente, spiegando che non riuscivo a procedere nell’acquisto in quanto non veniva accettato il mio codice fiscale duplicato in un altro account collegato a una email aziendale che non possedevo più, mi è stato infatti semplicemente risposto “Il suo codice fiscale risulta da lei già associato al profilo con indirizzo…” 🙄 … ma non glielo avevo già detto io? Ma poi, con quella loro risposta, il problema da me evidenziato era stato risolto? 🤔
Ho quindi scritto nuovamente, utilizzando il medesimo form, specificando che a nulla mi era servita la loro risposta precedente e confidavo quindi ancora in un loro intervento concreto e risolutivo.
Hanno quindi risolto, immagino, cancellando quel mio account vecchio, anche se dalle loro confuse risposte non mi era del tutto chiaro come dovevo poi procedere. Infatti, mi notificavano semplicemente che avevano aggiornato la mia email registrata senza tuttavia precisare se avessi dovuto d’ora in poi utilizzare il nuovo account o piuttosto recuperare la password di quello vecchio, ora che l’email associata era stata da loro modificata con quella nuova e quindi quella procedura sarebbe potuta andare a buon fine:
Ho provato a collegarmi al nuovo account (i.e. quello collegato alla mia nuova email personale), e quindi, andando nella sezione dati personali, ho inserito il mio codice fiscale che questa volta è stato finalmente accettato, per cui in futuro potrò concludere una procedura di acquisto!
Concludo sottolineando come, comunque, quella evidenziata non sembra risulti l’unica problematica del sito, dal momento che, pur utilizzandolo per poche funzionalità e non avendo quindi ovviamente effettuato un suo test completo, ho riscontrato i seguenti altri due problemi:
Il campo Indirizzo e numero civico non accetta il punto, segnalando un errore con un messaggio inappropriato e per di più in inglese: “Please do not enter any links.“. Per ovviare e poter procedere nell’inserimento dei dati obbligatori ho dovuto quindi scrivere Corso – anzichè C.so – per vedere accettata la stringa dell’indirizzo!!
Il campo Indirizzo e numero civico non accetta il punto indicando “Please do not enter any links.” per cui ho dovuto non mettere C.so bensì Corso per vedere accettato quel campo!!
La verifica del numero telefonico ho dovuto ripeterla più volte in quanto, anche aspettando minuti, inizialmente il messaggio SMS (con il codice da indicare) non arrivava e poi – anche quando con successivi tentativi l’ho ricevuto – inserendolo nella finestra di verifica questa si bloccava:
La procedura di verifica del proprio numero telefonico non è gestita in modo appropriato e con tempistiche adeguate, per cui ho dovuto ripeterla più volte per vederla concludere positivamente
Insomma, per essere un servizio che opera da diversi decenni, mi sarei aspettato una progettazione e un’affidabilità migliore… oltre che un servizio clienti gratuito anche telefonico o almeno via chat!
Non è raro che, pur avendo una licenza legale di Windows, uno non sappia o ritrovi il numero seriale associato. In un PC tower, generalmente esiste un’etichetta attaccata sul case metallico, ma ciò non avviene nel caso di PC portatili o tablet a meno di non avere acquistato separatamente il sistema operativo e installato personalmente, procedura assai rara. Quindi può succedere che uno non l’abbia mai saputa essendo stato installato il sistema operativo dal produttore stesso senza fornire alcuna indicazione all’acquirente. La necessità di reperire tale chiave, può esserci ad esempio se si deve reinstallare da zero il sistema operativo (e.g. per problemi di prestazioni o perché non si riesce a eliminare un virus). In genere quando ci sono upgrade (e.g. da Windows X a Windows X+1) non viene richiesta, ma questo non lo escludo a priori!
Qualche giorno fa ho voluto fare un’analisi di Microsoft Defender Offline per cercare di sbarazzarmi di un Trojan, e mi è stata richiesta, con mia sorpresa, una chiave e, a prima vista ho pensato che si trattasse appunto del codice di attivazione del sistema operativo!
Per eseguire una Analisi di Microsoft Defender Offline mi è stato chiesto d’inserire il codice di ripristino di BitLocker per quel dispositivo
Mi sono poi accorto, invece, che non si trattava della licenza di Windows, bensì del codice BitLocker utilizzato per la sicurezza dell’unità con il sistema operativo del mio Surface. Sono andato quindi nel sito di gestione del mio Account Microsoft e, nella sezione specifica del dispositivo d’interesse contenente i dettagli, ho trovato link Gestisci i codici di ripristino che porta a una pagina dove sono presenti tali codici, uno per ciascuno dei miei dispositivi Windows (presenti e trascorsi). Si noti che, talvolta, il nome dispositivo riportato è il nome attuale da me cambiato, mentre altre volte è quello originariamente attribuito di default (e.g. DESKTOP-JIEQA6G) sebbene poi da me modificato andando su Impostazioni -> Sistema. Per fortuna, nella schermata blu di richiesta del codice di ripristino, veniva indicato anche il nome dispositivo così come era stato associato in quella pagina del sito con le Chiavi di ripristino di BitLocker, per cui sono riuscito a identificare quello associato al dispositivo ora d’interesse!
Inserendo quel codice, il processo di analisi offline di Microsoft Defender è perseguito, riuscendo così a eliminare il mio problema di sicurezza!
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Comunque questa esperienza mi è servita anche per accorgermi che in verità non sapevo il codice di attivazione (i.e. product key) del sistema operativo Windows del mio Surface, sia quello originariamente presente all’acquisto (nella versione Home) sia quella dell’upgrade effettuato successivamente alla versione Pro. Ricordo che codice Product Key di Windows 10 è una chiave di licenza chiamata anche chiave del prodotto o codice di attivazione. Si tratta di un codice composto da 25 lettere o cifre che devono essere inserite per installare il sistema operativo Windows sul PC: si tratta dell’unico modo per attivare il sistema operativo, installarlo e infine utilizzarlo.
Andando a ricercare come fare a recuperare entrambe, ho visto che la prima, vale a dire quella originari presente all’acquisto del PC/tablet sembrerebbe incorporata direttamente nel firmware UEFIdel computer stesso e poteva essere agevolamene recuperata eseguendo un opportuno comando sul Prompt DOS (vedi:I diversi modi per lanciare il classico Prompt dei comandi di Windows):
wmic path softwarelicensingservice get OA3xOriginalProductKey
Oppure, analogamente, usando la Windows PowerShell ed eseguendo il seguente differente comando:
(Get-WmiObject -query 'select * from SoftwareLicensingService').OA3xOriginalProductKey
Qualora il codice Product Key non fosse incorporato nel firmware, se non si è formattato il computer, lo si potrebbe comunque recuperare, in quanto sembra Windows archivia tale chiave nel Registro di sistema. Per ricercarle tale codice si deve quindi eseguire uno script (i.e. una serie di comandi) che deve essere innanzitutto scritto su un file per poi essere eseguito. Si deve quindi:
Aprire una nuova finestra Blocco Note
Copiare e incollare il seguente testo nella finestra
Set WshShell = CreateObject("WScript.Shell")
MsgBox ConvertToKey(WshShell.RegRead("HKLM\SOFTWARE\Microsoft\Windows NT\CurrentVersion\DigitalProductId"))
Function ConvertToKey(Key)
Const KeyOffset = 52
i = 28
Chars = "BCDFGHJKMPQRTVWXY2346789"
Do
Cur = 0
x = 14
Do
Cur = Cur * 256
Cur = Key(x + KeyOffset) + Cur
Key(x + KeyOffset) = (Cur \ 24) And 255
Cur = Cur Mod 24
x = x -1
Loop While x >= 0
i = i -1
KeyOutput = Mid(Chars, Cur + 1, 1) & KeyOutput
If (((29 - i) Mod 6) = 0) And (i <> -1) Then
i = i -1
KeyOutput = "-" & KeyOutput
End If
Loop While i >= 0
ConvertToKey = KeyOutput
End Function
Fare clic su File > Salva con nome e salvare il file sul desktop come productkey.vbs (NOTA: è importante includere l’estensione vbs perché si tratta di un file di script di Windows e deve avere quella estensione per poter poi essere eseguito).
Chiudere Blocco Note e fare doppio clic su quel file salvato: verrà presentato una finestra di popup che mostra il codice Product Key
Peccato che, utilizzando i tre metodi precedentemente suggeriti, mi veniva restituito dal terzo metodo una chiave differente da quella mostrata seguendo i primi due!! 🤔🙄
Quello dei primi due metodi era comunque molto probabilmente quello originario, presente nel computer all’acquisto, ma mi rimaneva il dubbio se l’altro fosse quello dell’aggiornamento alla versione Pro installata poi da me successivamente. Avendo poi trovato il codice della versione Pro attualmente istallata (informazione che mi ero salvata su un file 😎) ho appurato che non corrispondeva al codice indicato eseguendo quello script… e non era ovviamente neppure quella della versione Home precedentemente installata e presumibilmente ricavata dai precedenti comandi che avevano restituito la medesima chiave. Per essere proprio sicuro che quello trovato fosse proprio il codice del Windows 10 Pro che avevo attualmente sul mio Surface, ho eseguito da un Prompt di DOS il comando seguente che restituisce appunto in una finestra di popup solo le ultime 5 cifre del Product Key della versione attualmente attiva di Windows: fai attenzione che la finestra di popup potrebbe risultare nascosta da altre finestra già precedentemente aperta per cui conviene, ad esempio, minimizzarle tutte per poterla rendere visibile! Il comando da eseguire è il seguente:
slmgr/dli
Comando, da eseguire nel Prompt di DOS, che restituisce in una finestra di popup le ultime 5 cifre del Product Key
Quel comando non funziona se lanciato nella Power Shell, bensì solo nel Prompt di DOS
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Se infine proprio non si trova, salvato da qualche parte, il Product Key completo, dopo un aggiornamento da una versione a un’altra di Windows, l’unico modo per recuperare il codice completo di attivazione (se uno non se l’è salvato da qualche parte) è quello di utilizzare il SW gratuito seguente:ProduKey v1.97 – Recover lost Windows product key (CD-Key) and Office 2003/2007product key. Copyright (c) 2005 – 2021 Nir Sofer. Una volta scompattato il file scaricato, si esegue ProduKey.exe che apre una finestra che mostra in chiaro sia il codice prodotto di Windows X sia quello di altri programmi Microsoft eventualmente presenti nel computer:
ProduKey v1.9: recupera codice prodotto Windows e di altri prodotti Microsoft presenti sul PC (e.g. Office 2003/2007)
Oramai siamo abituati a vedere nei siti, soprattutto quelli relativi a una attività commerciale, una mappa (generalmente quella di Google) che mostra dove si trova un posto specifico, con la possibilità di effettuare lo zoom a piacere e ottenere addirittura indicazioni stradali per raggiungerlo!
Può quindi essere interessante inserire in un proprio sito WordPress anche questa funzionalità, senza per questo dover pagare nulla! Sebbene esistano appositi plug-in in grado di offrire questo e altro, è necessario avere in WordPress un piano di abbonamento business e poi (almeno per ottenere tutte le funzionalità) in genere risultano a pagamento:
Esistono numerosi plug-in in WordPress che consentono d’inserire mappe, ma è necessario avere un piano business (oltre che essere talvolta a pagamento per avere tutte le funzionalità offerte)
Tuttavia si può agevolmente giungere a un analogo risultato molto agevolmente anche senza l’uso di alcun plug-in e, come vedremo, senza necessariamente conoscere nulla di programmazione (sebbene si debba inserire del codice html che tuttavia uno deve solo copiare e incollare, senza necessariamente sapere nulla)!
Vediamo passo-passo come fare.
Per prima cosa si deve andare su https://www.google.com/maps e cercare il luogo d’interesse in modo che venga posizionato sulla mappa un apposito pushpin che lo identifichi. Quindi si preme sulle tre linee in alto a sinistra per fare comparire il menù a tendina, scegliendo poi Condividi o incorpora mappa. Compare quindi una finestra che fornisce sia il link alla pagina Maps con la mappa per quel luogo sia del codice che, se inserito in una pagina di un sito, incorpora nella pagina proprio la mappa corrispondente: noi sceglieremo questa seconda possibilità, agendo quindi sul tab a destra!
Cliccando sul link COPIA HTML, viene messo negli appunti il codice che, inserito appropriatamente nella pagina del sito, ad esempio di uno realizzato con WordPress, consentirà appunto l’incorporamento della mappa di quel luogo specifico.
Andando poi nella pagina di WordPress in cui si desidera inserire la mappa, si deve premere sul + per inserire un nuovo blocco e poi su Sfoglia tutto, per poter avere visualizzate tutte le possibilità d’inserimento blocchi. Tra questi si seleziona HTML personalizzato e si inserisce quel codice precedentemente copiato dal sito di Maps:
Per poi si desidera, per puro senso estetico, centrare la mappa nella pagina, si può modificare a manina minimamente il codice, introducendo l’opportuno parametro nel codice HTML:
Ecco quindi il risultato che potete vedere anche direttamente nel sito in cui ho inserito tale mappa:
Si noti che la mappa inserita consente agevolmente di effettuare zoom e di richiedere anche la navigazione in quel luogo cliccando sulle frecce di Indicazioni stradali:
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Se si desidera poi visualizzare non solo un punto ma avere sulla medesima mappa dei push-pin multipli (ad esempio per indicare diversi negozi di una medesima catena) anche questo può essere realizzato anche senza l’uso di plug-in.
Infatti, basta crearsi una propria mappa andando in Google My Maps e inserire tutti i punti che si intende evidenziare. Per aggiungere dei pushpin, si inserisce l’indirizzo e quindi, cliccando sopra il pushpin che indica il punto sulla mappa, sulla finestra popup che compare selezionare+ Aggiungi alla mappa. Analogamente si procede per inserire altri punti d’interesse su quella medesima mappa. È necessario poi cambiare quindi le impostazioni sulla privacy in modo da rendere la nostra mappa visibile a tutti su Internet. Andando su Anteprima, viene aperto un nuovo tab nel browser che mostra la mappa e cliccando sui tre puntini in alto a sinistra compare un menù che contiene tra l’alto la voce Incorpora mappa. Viene aperta quindi una finestra con il codice HTML (iframe) da copiare e poi inserire in un blocco HTML personalizzato, analogamente a quanto descritto precedentemente:
Ad esempio, inserisco nel seguito quella mia mappa di prova (in cui ho inserito i tre pushpin blu) incorporando nel blocco HTML personalizzato quel codice HTML iframe indicato:
Talvolta può essere conveniente accedere a un’app con diversi account sebbene contempli di memorizzarne solo uno: diverso è il caso di altre app (e.g. di posta elettronica) che già di per sé permettono di passare da un utente a un altro agendo semplicemente dal proprio menù. Spesso invece un’app contempla la memorizzazione di un solo account e per passare a un altro è necessario effettuare un logout e autenticarsi poi con diverse credenziali, operazione scomoda da fare se non sporadicamente! Altre volte (come nel caso di WhatsApp) la procedura di autenticazione non richiede semplicemente l’inserimento di username/password, ma è più complessa e tale da associare, ad esempio, il proprio numero telefonico e/o email personale che deve magari risultare univoco.
Insomma, anche solo se uno desidera avere sul medesimo smartphone, ad esempio, un Facebook aziendale e uno personale, può farsi sentire l’esigenza di avere quell’app “clonata” in modo da avere due icone differenti, ciascuna associata a un differente utente. In questo modo non solo si evita di dover ogni volta effettuare il logout per passare all’altro utente, ma si riesce anche a ricevere – sulle rispettive icone – la notifica della presenza di nuovi messaggi. Ovviamente, qualora poi sia necessaria un’associazione di un numero telefonico univoco, come nel caso dell’app WhatsApp, risulta necessario avere uno smartphone Dual-SIM in cui siano state inserite entrambe le SIM con i numeri telefonici da associare rispettivamente alla prima e seconda istanza di quel programma.
Se l’esigenza rimane unicamente nell’ambito di app social e di messaggistica, spesso è in sistema Android stesso specializzato dal costruttore a offrire una soluzione integrata. Ad esempio, nei telefoni Samsung, andando in Impostazioni -> Funzioni avanzate si può trovare la sezione Doppio Account che consente, appunto, di accedere a un secondo account nelle nostre applicazioni social preferite:
Funzionalità di Doppio Account presente tra le impostazioni avanzate dei telefoni Samsung
Tuttavia il numero di app “clonabili” è in questo caso predefinito e si limita ad alcune app social e di messaggistica che, per comparire in quell’elenco, devono essere prima state installate dal PlayStore. La funzionalità Doppio Account altro non fa che installare sul dispositivo, una seconda volta e in una cartella di sistema separata, la stessa applicazione (e.g. WhatsApp). A ciascuna istanza si può assegnare credenziali e parametri diversi (e.g. per WhatsApp si può indicare il numero di telefono dell’altra SIM presente nel telefono Dual-SIM). La nuova istanza ha un’icona di diverso volore (e.g. arancione) e per disinstallarla si deve agire da quella sezione Doppio Account delle impostazioni: toccando l’applicazione che si desidera disattivare si può scegliere ‘Disattiva‘ oppure ‘Disinstalla‘. Nel secondo caso tutti i dati relativi alla seconda applicazione vengono eliminati. Si noti che, se si disinstalla la prima istanza originaria dell’app, viene automaticamente eliminata anche quella seconda creata dalla funzionalità Doppio Account.
Qualora invece si abbia un‘esigenza di gestire un doppio account su app generiche, si può ricorrere ad alcune app presenti nel PlayStore che – accettando il fardello della pubblicità – possono essere installate anche gratuitamente: se poi si ritiene che funzionino bene per il proprio scopo , ovviamente si può sempre poi acquistare la loro versione a pagamento per avere eliminata la pubblicità!
Personalmente non ho avuto l’esigenza di avere un doppio account per un’app generica, per cui non posso riportarvi una esperienza completa sul funzionamento di questa tipologia di app. Ho comunque visto che ce ne sono diverse (e.g. basta cercare nel PlayStore una delle parole seguenti: dual, clone, parallel, multiple account…).
Molteplici sono le app che permettono la duplicazione/clonazione di altre app generiche
In particolare ne ho provata una Parallel Space. Sebbene appena lanciata proponga la clonazione delle solite app social/messaggistica, qualora se ne lasci selezionata solo una (che successivamente si potrà comunque cancellare anch’essa!), poi viene consentito di scegliere anche altre app generiche tra quelle che uno ha installato sul proprio smartphone.
Scegliendo la duplicazione di alcune app, possono essere richiesto di accettare particolari permessi o l’installazione di altre versioni (e.g. a 64bit) del medesimo programma:
Ovviamente scegliendo una o più di quelle proprie app non c’è garanzia che possano essere sicuramente clonate: ad esempio potrebbero esserci requisiti particolari di sicurezza imposti lato backend che possano limitare l’utilizzo di una seconda istanza. Ad esempio, pur possedendo un telefono Dual-SIM – quindi in grado di avere due SIM attive con due numeri telefonici differenti – non è necessariamente garantito che tutte le app possano essere clonate in modo da poterne utilizzare più copie sul medesimo smartphone, soprattutto quelle pensate per accertare l’identità di un utente (e.g. PosteID, CieID, IO): potrebbero esserci infatti eventuali verifiche particolari lato backend per appositamente bloccare tale possibilità. Personalmente, pur avendo un telefono Dual-SIM, il secondo slot lo utilizzo unicamente per estendere la memoria con una SD e, non possedendo una mia seconda SIM, non mi è agevole fare queste prove… ma credo possa dare risultati positivi!
Avere due SIM attive significa pagare due canoni… e con le attuali offerte flat non è in genere conveniente avere SIM attive di gestori differenti, come invece avveniva tempo fa. Può comunque avere senso se uno ne ha una per il lavoro e una personale. In ogni caso, se si necessita di assistere una persona priva di smartphone, si evita almeno di dover acquistargli un cellulare!
Se qualcuno ha provato a usare tali sistemi per app tipo PosteID, CieID, IO, aspetto commenti ulteriori che forniscano informazioni utili ai futuri visitatori del post! Grazie
Avevo già scritto tempo fa un post (Cosa fare se ti viene rubato/perdi lo smartphone … e cosa conviene fare prima che eventualmente ciò possa succedere!) per aiutare un’amica a cui avevano rubato lo smartphone… ieri è successo a mia figlia, ma tutto bene: l’ho recuperato grazie ai servizi di localizzazione di Google!! In quel post avevo suggerito anche le cose da fare preventivamente per poi riuscire ad agire compiutamente sul dispositivo anche da remoto. In particolare, avevo indicato in quell’elenco i punti 8 e 10, che riporto nel seguito per comodità:
8)Mantenere attiva sia la localizzazione (GPS) sia i servizi di localizzazione del dispositivo, per default presenti in ogni dispositivo Android (vedi i post: How to see where you went in a specific day and possibly disable Google default tracking of your current position; How to stop seeing merged location data among several Google accounts (e.g. those of family members that you possibly registered on your smartphone too)Ovviamente uno deve essere consapevole che mantenere attivi questi servizi di localizzazione può potenzialmente servire ad altri attori per conoscere le tue abitudini e sfruttarle, probabilmente in modo aggregato, per diverse finalità (e.g. marketing): comunque già l’uso di un qualsiasi browser non in forma privata (come generalmente avviene) già fornisce indicazioni assai lesive da un punto di vista della privacy (vedi post Navigazione in incognito/privata da Edge, Chrome ed Internet Explorer) per cui attivare quei servizi non mi sembra modifichi sostanzialmente la situazione! Le impostazioni di localizzazione remota sono presenti nelle impostazioni relative al proprio account Google (Gestisci il tuo Account Google), raggiungibile dal proprio avatar in alto a destra quando con un browser si naviga su qualche servizio di Google ad esempio Gmail o Maps (Impostazioni Google -> Sicurezza -> Localizza questo dispositivo da remoto – Consenti blocco e cancellazione da remoto).
10)Condividere la posizione del telefono con almeno un’altra persona (e.g. un familiare) da eventualmente contattare (vedi How to share current position among family members (especially useful for elderly people, kids, teenagers)). Può infatti tornare utile, non trovando più il telefono, chiedere a un familiare di vedere dove si trova… e scoprire magari di averlo lasciato nell’auto posteggiata! Ovviamente la precisione della localizzazione è quella del GPS, spesso di pochi metri su spazi aperti e quindi più che sufficiente: se si trova in un locale chiuso dove il segnale GPS non arriva, comunque si ha informazione (temporalmente definita) dell’ultima posizione rilevata e ciò è ciò che basta. Se poi è connesso a un WiFi, viene fornito il raggio di portata del medesimo, generalmente di poche decine di metri. Insomma, il consiglio relativo a questo punto può tornare utile, ma ovviamente non è indispensabile potendosi comunque sempre affidare al metodo indicato al punto 8, seppur più complicato da effettuare sul momento!
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In questo post analizzerò in dettaglio comeriuscire a visualizzare su una mappa la posizione del proprio smartphone da un qualsiasi PC o altro smartphone in cui uno, accedendo da un qualsiasi browser(e.g. Chrome, Edge o uno specifico del produttore dello smartphone) al sito www.google.ite autenticandosi con il proprio account Google. Il link diretto è:
Qualora lo smartphone/PC non sia nostro, magari sia quello di un amico o anche solo di un passante, la prima cosa da fare e aggiungere temporaneamente l’accesso al proprio account Google, se non è presumibilmente ancora tra quelli selezionabili. Per farlo basta cliccare sull’icona in alto a destra presente andando in http://www.google.it, e selezionare Aggiungi un altro account. Successivamente, dopo essersi ovviamente autenticati, si sceglie il proprio account e poi su Gestisci il tuo Account Google. Andando quindi nella sezione Sicurezza, si trova una parte relativa a I tuoi dispositivi dove sono appunto elencati tutti i dispositivi sui quali uno ha effettuato l’accesso a Google con il proprio account:
Si seleziona quindi quello d’interesse (e.g. nel caso in esempio il terminale nominato Huawei P20 lite) per poi premere sul link Ulteriori dettagli: la funzione che ora inizialmente ci interessa maggiormente analizzare è Trova dispositivo, in quanto fornisce appunto servizi atti a ritrovarlo:
Se ci sono solo due possibilità significa che il dispositivo è spento o non ha il GPS integrato o connessione di rete in grado d’identificarne la posizione (e.g. Wi-Fi, rete mobile su base cella): – Esciper uscire dal proprio Account Google su quel dispositivo – Non riconosci questo dispositivo? In questa sezione viene semplicemente consigliato, per proteggere il proprio Account Google, di effettuare appunto l’Esci su quel dispositivo stesso:
Andando nella sezione Trova dispositivo viene presentata una mappa con un pushpin a forma di smartphone che indica la sua posizione in tempo reale. Anche l’approssimazione temporale direi è ottima e semmai si può sempre forzare manualmente un refresh qualora si desideri avere un aggiornamento in tempi minori (pressione sull’icona con freccia circolare presente nella sezione in alto a sinistra vicina all’immagine del dispositivo). A sinistra oltre a indicare l’istante a cui si riferisce quella posizione (e.g. adesso), si può sapere anche sia a quale rete era collegato (e.g. rete di un gestore telefonico o nome di un Wi-Fi) sia la percentuale di batteria ancora presente: ovviamente la mappa si può ingrandire a piacere per meglio visualizzare la zona d’interesse. Questa sarà più o meno piccola a seconda dei casi, ma sempre sufficientemente delimitata soprattutto se si è in un territorio ben coperto dal GPS e dalla rete mobile/WiFi. In generale un telefono mostra la propri posizione sulla mappa utilizzando il metodo di ricerca posizione basato su sistema satellitare, Wi-Fi o rete mobile (ID cella). Qualora si trovi dentro un edificio, dove quindi il GPSnon possa essere utilizzato per la localizzazione, la sua posizione viene dedotta spesso grazie alla presenza di Wi-Fi [con incertezza determinata della portata di quel Wi-Fi stesso a cui il dispositivo è collegato, generalmente poche decine di metri] o al limite della cella della rete mobile a cui è attualmente connessa [con incertezza in questo caso generalmente maggiore, anche di centinaia di metri in zone poco coperte da più celle]. Quindi anche solo la particolare architettura della rete mobile permette di localizzare un cellulare in maniera semplice, sebbene il grado di precisione non sia quello di un sistema satellitare GPS, pur offrendo comunque un buon grado di approssimazione: per questo viene spesso utilizzata anche dalle forze dell’ordine nel corso delle indagini investigative [vedi: Come rintracciare un cellulare, il funzionamento della rete mobile]. Qualora poi il telefono si trovi all’aperto dove esiste una buona visibilità GPS e la zona risulti ben coperta dalla rete mobile/Wi-Fi, l’identificazione della posizione è assai precisa, anche solo di qualche metro, soprattutto se si trova nello stesso posto da tempo.
Tra le possibilità vediamo: – Riproduci audio che fa suonare il telefono anche qualora si trovi nella modalità silenziosa – Blocca dispositivo che blocca lo smartphone e lo disconnette dal proprio account Google, pur mantenendo ancora la sua localizzazione: si può anche far visualizzare un messaggio o un numero telefonico nella schermata di blocco, funzionalità assai utile qualora qualcuno lo abbia ritrovato e vorrebbe restituirlo – Resetta il dispositivo che cancella tutti i contenuti del dispositivo resettandolo; in tal caso non si potrà più localizzarlo!
Ovviamente, dopo aver utilizzato lo smartphone/PC di un’altra persona autenticandosi con il proprio account Google per gestirlo, dopo avere rintracciato il proprio telefono è opportuno scollegare il proprio account andando sempre in quella medesima sezione Sicurezza -> I tuoi dispositivi selezionando quindi quel dispositivo non nostro e sconnettendo il nostro account Google (i.e. Esci):
Ricordarsi di scollegare il proprio account Google sul dispositivo non nostro che abbiamo utilizzato unicamente per rintracciare il nostro cellulare perso/rubato
Personalmente in questo modo sono riuscito a ritrovare lo smartphone di mia figlia che le era stato rubato in un parco cittadino. Era stato prontamente nascosto dal ladro tra dei rovi per non essere scoperto dalla polizia subito intervenuta: il malvivente lo avrebbe sicuramente recuperato in serata se io non avessi localizzato il dispositivo (con molta precisione essendo quel luogo all’aperto) e quindi individuato puntualmente facendolo suonare effettuando con una chiamata! In verità, avendo condivise reciprocamente le nostre rispettive posizioni (vedi punto 10) mi è stato più agevole ancora di quanto descritto precedentemente, ma avrei comunque ottenuto il medesimo risultato anche utilizzando il metodo qui descritto, con anzi la possibilità di farlo suonare anche qualora si fosse trovato in modalità silenziosa. Quindi, abbiamo visto come, pur non condividendo con altri la posizione del proprio telefono, anche solo mantenendo attiva la localizzazione e registrandosi temporaneamente su un qualsiasi PC/smartphone con il proprio account Google è possibile vedere su una mappa dove si trova il nostro dispositivo in tempo reale e quindi recuperarlo! 🙂
Analogamente su smartphone si può installare l’app Trova il mio dispositivo che consente analogamante anche in mobilità di rintracciare un proprio dispositivo o quello di un altro (che ovviaamente deve autenticarsi temporaneamente con la proprie credenziali Google accedendo come ospite:
Requisito essenziale per poter rintracciare il cellulare o comunque un dispositivo in genere è quello di avere attivo in esseo la localizzazione GPS e l’impostazione apposito dell’app Trova il mio dispositivo (opzione presente tra le sue impostazioni -> Impostazioni di Trova il mio dispositivo della figura precedente):
In alternativa, i terminali Samsung hanno intrinsecamente una funzionalità analoga che conviene anche attevare, dopo che ovviaamnte uno dsi è registrato anche come utente Samsung. Andando infatti nelkla sezione Samsung account delle impostazioni dello smartphone, si trova la voce Trova dispositivo personale: vedi anche https://www.samsung.com/it/apps/samsung-find/
Il servizio sembra analogo a quello fornito da Google, ma leggendo bene ha una caratteristica aggiuntiva in più: anche quando non sono connessi alla rete, se sono comunque accesi e uno ha attivato la ricerca offline, il dispositivo trasmetterà segnali ad altri dispositivi Samsung Galaxy nei dintorni e quindi al server in modo che comunque uno riesce ad individuarne facilmente la posizione anche se disconnesso da Internet!
Come indicato qui, l’app Trova dispositivo personale ora non si trova più nello Store Samsung e neppure nel Play Store di Google in quantofa ora parte di SmartThings Find: SmartThings Find non solo aiuta a trovare più facilmente i tuoi dispositivi Galaxy, inclusi Galaxy Watch, Galaxy Buds e gli smart tag abilitati per SmartThings, ma ti consente anche di condividere le posizioni con i tuoi contatti e ricevere notifiche quando un dispositivo è presente o lascia una determinata posizione utilizzando il software di geofencing. Se perdi il tuo dispositivo, come un cellulare Samsung, un tablet o un dispositivo indossabile Samsung, puoi abilitare Trova il mio cellulare per tracciare il tuo dispositivo e proteggere i tuoi dati.
Configurazione nello smartphone Samsung:
_________
Riporto parzialmente alcune informazioni al riguardo:
Samsung – qualora lo smartphone sia di quel produttore e uno si sia registrato in esso con il proprio account Samsung: analoghi servizi sono forniti da altri costruttori quali Xiaomi, Huawei, Sony.
Riporto i suggerimenti seguenti da Trovare un dispositivo Android smarrito in Guida account Google – Centro Assistenza, aggiungendo alcuni screenshot ed evidenziando alcuni dei link più utili:
Per sapere come agire nel caso dovessi perdere il tuo telefono o tablet o il tuo orologio Wear OS, controlla come localizzarlo con il servizio Trova il mio dispositivo. Se hai già smarrito il dispositivo scopri come individuarlo, bloccarlo o resettarlo. Importante: alcuni di questi passaggi funzionano soltanto su Android 8.0 e versioni successive. Scopri come controllare la tua versione di Android.
Verificare che sia possibile trovare il dispositivo
Per trovare, bloccare o resettare un telefono Android, il telefono deve:
Essere acceso.
Essere collegato a un Account Google.
Essere connesso a una rete di dati mobili o Wi-Fi.
Essere visibile su Google Play.
Avere l’opzione Posizione attiva.
Avere il servizio Trova il mio dispositivo attivo.
Accedi al tuo Account Google. Se il dispositivo ha più profili utente, accedi con un Account Google appartenente al profilo principale. Ulteriori informazioni sui profili utente.
Se hai più di un dispositivo, fai clic sul dispositivo appropriato nella parte superiore dello schermo.
Installare l’app
Per sapere come agire nel caso dovessi trovare un dispositivo Android smarrito utilizzando un altro telefono o tablet Android, installa l’app Trova il mio dispositivo.
Avevo già scritto nel 2019 il post “Ben vengano forme pubblicitarie/promozionali che sovvenzionino le attività didattiche nelle scuole!” che pubblicizzava alcune iniziative pubblicitarie/promozionali che potevano portare qualche contributo economico alle scuole, senza particolari sforzi da parte nostra! In particolare, avevo citato tra le altre, l’iniziativa Un click per la scuola di Amazon. Anche quest’anno ho aderito a quell’iniziativa, sollecitato da una loro email, ma ho scoperto (con in po’ di stupore) che anche le scuole devono comunque registrarsi nuovamente anche quest’anno per poter beneficiare delle donazioni! Andando nell’area scuole di quella iniziativa, si legge infatti: “Inserisci il tuo codice meccanografico e segui le istruzioni che riceverai subito dopo all’indirizzo email ufficiale della scuola. Anche se eri già iscritto a una precedente edizione di Un click per la Scuola, devi comunque registrarti anche quest’anno per poter beneficiare delle donazioni“.
Anche se la scuola era già iscritta a una precedente edizione di Un click per la Scuola, deve comunque registrarsi anche quest’anno per poter beneficiare delle donazioni
Nel seguito la email che mi segnala che la scuola da me scelta (confermando la scelta dell’anno scolastico precedente) attualmente non ha ancora rinnovato la sua adesione al proseguo dell’iniziativa:
Se la scuola non ha ancora rinnovato l’iscrizione all’iniziativa, continuando a richiedere di supportarla fornirà l’indicazione seguente: è quindi opportuno avvertire quella scuola!
Indicazione fornita se la scuola scelta non ha ancora rinnovato l’iscrizione all’iniziativa
Sebbene forse la richiesta di una nuova adesione, almeno quella da parte delle scuole si poteva davvero evitare, forse ci sono particolari motivi che mi sfuggono e che hanno portato Amazon a optare per questa scelta: la procedura richiesta sembra tuttavia essere assai agevole sia per il cliente sia per la scuola, per cui penso sia un’opportunità da non lasciarsi scappare dal momento che non ci costa nulla!
Questo brevissimo post intende quindi sollecitare sia le scuole ad aderire (nuovamente) all’iniziativa, qualora non l’avessero ancora fatto, sia i clienti Amazon a effettuare (confermare) la loro scelta sulla scuola da supportare, seguendo la procedura una procedura guidata che richiede davvero meno di un minuto!
La tipica icona con la finestra nera del classico Prompt dei comandi (successore della riga di comando MS-DOS), purtroppo da tempo non compare più subito in primo piano, ricercandola tra i programmi presenti nella lista, sostituita infatti dalla Windows PowerShell (con accesso come utente normale o come amministratore) sicuramente con maggiori funzionalità rispetto a essa. Quest’ultima, basata su .NET Framework, Windows PowerShell™, aiuta i professionisti IT e gli utenti esperti a controllare e automatizzare l’amministrazione del sistema operativo Windows e delle applicazioni eseguite su Windows. Tuttavia spesso non si ha l’esigenza di eseguire comandi complessi che richiedono quel completo (ma più complesso) linguaggio di scripting e può essere sufficiente lanciare ancora il classico Prompt dei comandi… sebbene i medesimi comandi potrebbero essere eseguiti anche nell’altra più potente finestra in quanto vengono anche loro ancora supportati (e.g. ipconfig, ping, tracert, netstat, fc, tasklist, taskkill). [Vedi I comandi di base più importanti del CMD]
Entrambe possono essere eseguite o come utente normale o come amministratore: questa seconda modalità è indispensabile qualora i comandi poi lanciati modifichino delle impostazioni di sistema (e.g. si debba effettuare il reset/cancellazione di file di sistema).
Windows PowerShell (amministratore)
Si noti inoltre che la shell amministrativa viene avviata di default nella cartella C:\Windows\System32 in entrambi i casi:
Comunque, se si desidera continuare a usare la finestra di Prompt dei comandi, esistono diversi modi per lanciarla.
Il programma Prompt dei comandi si trova ora (sebbene un po’ nascosto) nella cartella Sistema Windows presente nella sezione S dell’elenco delle app. In particolare, mentre per lanciarlo come utente normale è sufficiente cliccarci sopra, mentre per eseguirlo come amministratore è necessario cliccarci con il tasto destro scegliere Altro e quindi Esegui come amministratore:
Per agevolare il tutto, può convenire aggiungere tale programma a Start o magari addirittura alla barra delle applicazioni sempre presente in basso. Una volta che la tile del Prompt dei comandi è presente nello Start, per eseguirlo come amministratore è necessario cliccarci con il tasto destro e poi scegliere Altro -> Esegui come amministratore:
Si può anche cercare prompt o cmd con la lente di ricerca e quindi scegliere semplicemente Apri per lanciarla come utente normale oppure Esegui come amministratore:
Ricerca di Prompt (o cmd, comandi) ed esecuzione come amministratore
Infine, dalla finestra Esegui [ENG: Run] (tasto Windows + r] si può lanciare semplicemente con cmd (per eseguire comandi come utente normale) o con runas /user:Administrator cmd.exe (se si vuole essere visto come amministratore).
In generale, infatti, per eseguire un programma come amministratore (con una finestra di popup di avvertimento da confermare) basta usare il comando runas seguente:
runas /user:Administrator "parametri cmdName"
Si noti che è necessario utilizzare le virgolette se si mettono delle opzioni (e.g. runas /user:Administrator “cmd.exe /C %CD%\installer.cmd %CD%“).
È possibile poi anche crearsi sul desktop uno shortcut dell’applicazione, trascinando la sua icona dall’elenco delle applicazioni (quello che compare premendo l’icona di Windows in basso a sinistra). In particolare, perché poi il Prompt dei comandi si lanci con i diritti di amministratore, è sufficiente cambiare l’apposita opzione di quello shortcut andando ad agire tra le sue proprietà Avanzate:
Modifica della proprietà dello shortcut in modo da eseguire quel programma (Prompt dei comandi) con i diritti di amministratore
Talvolta basta anche solo guardare alcuni video amatoriali pubblicati da qualcuno su YouTube, per accorgersi quanto sia radicalmente cambiato – anche solo negli ultimi 25 anni – il quartiere della città in cui uno vive magari da sempre. Vedendo quei filmati si può addirittura provare un po’ di stupore, dal momento che talvolta quei cambiamenti sono stati così graduali e dilatati nel tempo che neppure uno si ricorda del pregresso! Insomma, soltanto guardando quelle immagini ci tornano alla mente scorci e strade oggi modificate al punto tale da risultare difficilmente riconoscibili da chiunque, per caso, ritornasse a visitare un quartiere dopo una relativamente lunga assenza. Mi viene inevitabilmente in mente una nota canzone di Celentano sebbene ora, in taluni casi – seppur rari – al contrario del suo testo, qualche giardinetto si sia sostituito a del cemento, laddove c’era un tempo una fabbrica o magari un’inquinante fonderia (e.g. si pensi al bel Parco Dora, nato dove un tempo c’erano le inquinanti ferriere Teksiddella Fiat).
Viene poi naturale domandarsi se queste periferie delle città si siano trasformate in meglio o in peggio. A ciascuno lascio dare la propria risposta: personalmente, non penso che possa essere unidirezionale e qualche rimpianto (solo nostalgico?) credo rimanga in molti di noi. Sicuramente si poteva recuperare meglio qualcuna delle aree seppur degradate e abbandonate da tempo, invece di demolire indiscriminatamente tutto per far posto principalmente a una moltitudine di supermercati e palazzoni di dubbio valore estetico. Inoltre, alcune soluzioni d’infrastruttura viaria che si sono andate a sostituire ad altre precedenti, non si sono poi rivelate, con i fatti, così innovative e capaci di risolvere problemi di congestione del traffico e quindi d’inquinamento (anzi!), sebbene spesso abbiano almeno migliorato il paesaggio! È il caso di via Principe Oddone e della famigerata piazza Baldissera, collocata dove un tempo c’erano non solo vecchie brutte (ma pratiche) sopraelevate, ma anche una piccola e graziosa stazione ferroviaria oramai scomparsa: una delle tante demolizioni nel nome del progresso e maggior funzionalità del territorio. Ma che dire del degrado attuale dell’antica stazione di Porta Susa, per fortuna non abbattuta, ma che versa in condizioni sempre peggiori?
Insomma, in diversi casi si sarebbe sicuramente potuto fare di meglio, come nel caso dell’estensione del Parco Dora su un lato di corso Principe Oddone, dove grandi spazi sono stati lasciati senza un utilizzo concreto: solo qualche stradina sali e scendi poco percorribili e un solo piccolo parco giochi per bambini… insomma nessuna attrezzatura sportiva e pochi alberi e panchine. Quindi non sempre l’evoluzione urbanistica di una città negli ultimi decenni – seppur gestita infinitamente meglio di un tempo (se si pensa agli orrori perpetrati soprattutto negli anni ’60 – ’70) – è stata in grado di dare i suoi migliori frutti!
Opprimente struttura del Palazzaccio, progettato nel ’56 e che ha sostituito il bel palazzo dei Portici costruito dal Castellamonte nel 1622, simile agli edifici di piazza San Carlo: oggi è l’Ufficio tecnico dei Lavori Pubblici del Comune. Da vergognarsi!
Nel seguito limiterò principalmente a riportare delle immagini catturate da alcuni video appunto pubblicati su YouTube: si tratta di video direi banali che semplicemente riprendono dalla macchina alcune strade di Torino nell’agosto 1997, testimonianza del poco traffico e della poca gente che popolava allora la città in quelle giornate di ferie “universali”, soprattutto in una città come Torino dove la Fiat e il suo indotto era la maggiore fonte di lavoro. Ben diversi sono gli agosti di almeno quest’ultimo decennio dove la diminuzione di popolazione è oramai decisamente minore: se da un lato non ci si deve più preoccupare per trovare un negozio aperto, la crisi economica ha indotto molte famiglie a trascorrere in città anche questo mese, limitando gli spostamenti e le vacanze… e questo già anche prima della pandemia Covid-19!!
A ciascuna delle immagini del video da me catturate, cercherò al più presto di associare una foto attuale del medesimo luogo, in modo che tutti, anche coloro che non sono della zona, possano comprendere come certi cambiamenti siano stati radicali: tornate quindi nei prossimi giorni a rivedere questo post! Comunque, invito chi vive o ha vissuto a Torino, a vedere per intero sia quel video riferito alla periferia nord sia altri analoghi come quello della zona dello Stadio delle Alpi, di via XX Settembre e via Roma: infatti, mostrando con continuità intere vie, sicuramente ciascuno può notare anche molteplici altri cambiamenti da me non riportati nel seguito, ma che tuttavia possono avere un significato nei propri ricordi!
Ancora quando facevo le medie (primissimi anni 1970) avevo visto alcuni film in quel cinema per cui era ancora sicuramente aperto. Anche nella pagina I cinema di Barriera di Milano viene specificato che quel cinema è stato aperto nel 1959 ed è stato chiuso nel 1980. Trasformato per un breve periodo in discoteca negli anni ’80, nel 1998 (cioè un anno dopo quel video) è stato demolito e, in sua vece, è stato costruito un edificio residenziale e un’attività commerciale. (vedi RP27 – via Gottardo 223 a – Cinema Zenit)
L’enorme C.so G. Cesare (con vasi di fiori nel centro strada!) senza la metropolitana leggera
Blockbuster… quando si affittavano ancora le videocassette!
Piazza Derna senza rotonda
Insegna pubblicitaria Campari
Abete: vendita legno: ora c’è un palazzo
Gabinetto pubblico e cabine telefoniche
Nuove costruzioni in corso: dove c’erano alberi ora c’è un edificio
Sede dello stabilimento della storica azienda Gondrand andata in concordato nel 2017
Benzinaio Agip con lavaggio macchine
Via Cigna dove ora c’è una rotonda e il LIDL
Via Cigna dove un tempo c’era la Fiat:
Sono andato a riprendere alcune foto che avevo fatto durante la demolizione di quegli edifici: in particolar modo avevo ripreso il bel cancello d’ingresso con il logo della Fiat. Spero almeno che non sia stato buttato in discarica e che qualcuno lo abbia ancora tenuto intatto questo bel pezzo storico della città, degno di essere collocato in qualche museo: 🙄
Cavalcavia di corso Mortara… adesso piazza Baldissera; concessionario Citroën con particolare rampa a chiocciola per fare salire le macchine in vendita (ora Euronics):
Tutte queste sopraelevate tra corso Vigevano e corso Mortara sono state demolite a partire dal 2006 per il passante ferroviario:
Ingresso laterale delle ferriere Tecksid, ora parco Dora
Il Palastampa, nato nel 1994, rinominato poi Mazda Palace nel 2003, chiuso nel 2011:
Palastampa
Stadio delle Alpi, impianto sportivo polivalente di Torino, inaugurato nel 1990 e demolito nel 2009. Fu progettato dallo studio Hutter al fine di accogliere alcune partite del campionato del mondo 1990. Tra il 2008 e il 2009 la Juventus portò a termine l’abbattimento della struttura, cui seguì la costruzione, sulla medesima area, di un nuovo impianto di sua proprietà, lo JuventusStadium, sorto nel 2011:
Stadio delle Alpi
Piazza Castello non ancora area pedonale: macchine transitavano intorno a Palazzo Madama e potevano addirittura parcheggiare di fronte al suo ingresso:
Parcheggio sul retro del “Palazzaccio” dove dal 2005 sorge l’hotel NH Torino Santo Stefano.
Via Roma non pedonale, così come piazza San Carlo, e i giardini di piazzaCarlo Felice senza ancora la cancellata:
Proprio qualche giorno fa un ex-collega mi chiama per un presunto problema al PC portatile della figlia: benché si connettesse al Wi-Fi di casa non riusciva ad avere l’accesso a Internet. Nella connessione al Wi-Fi – benché risultasse attiva – veniva indicato Internet non disponibile, protetta: anche andando nel Pannello di controllo a controllare lo stato della connessione di rete, veniva indicato Nessun accesso alla rete.
Internet non disponibile – Nessun accesso alla rete pur risultando attiva la connesione al Wi-Fi
PC connesso al Wi-Fi ma Internet non disponibile
Dal momento che abita vicino a casa mia, gli ho detto di venire da me così provavamo a connetterlo al mio Wi-Fi e vedevamo, quindi quale poteva essere il problema. Infatti, sebbene mi avesse già detto che altri dispositivi (e.g. smartphone e altro PC) non avevano problemi di connessione a Internet utilizzando quel medesimo Wi-Fi di casa sua, una prova di connessione di quel PC a un Wi-Fi diverso poteva comunque servire per escludere completamente che il problema fosse a livello di modem/router: ciò assodato, si sarebbe potuto poi procedere a verificare le impostazioni presenti sul PC stesso! Accendendolo a casa mia e cercando di collegarlo al mio Wi-Fi, il problema si ripresentava identico. Gli ho subito chiesto se aveva già fatto delle prove e, in particolare, se aveva effettuato un riavvio del PC: in realtà aveva solo effettuato un arresto del sistema operativo e non un suo riavvio!!
Ecco quindi la PRIMA REGOLA: se qualcosa non funziona come ci si aspetta in un PC Windows, la prima cosa da fare è forzare un Riavvia il sistema! NOTA BENE: non un Arresta il sistema nè tanto meno un Sospendi, in quanto solo con un riavvio, Windows riparte davvero da zero, senza dati in cache e impostazioni pregresse che rimangono diversamente ancora attive anche se il PC risultava spento. Negli altri casi di spegnimento, molte delle impostazioni permangono, allo scopo di accelerare la successiva accensione del PC. Solo quando ci sono aggiornamenti del sistema operativo, di suoi componenti o anche talvolta di applicazioni, è Windows stesso che impone un riavvio, per far sì che tutte le modifiche apportate vengano appunto recepite internamente al sistema operativo.
Solo con il Riavvia il sistema un PC Windows riparte da zero potenzialmente risolvendo problematiche/aggiornamenti
Molto spesso anche solo il semplice riavvio del PC risolve il problema di connessione ad Internet. Se tuttavia non risulta sufficiente, conviene lanciare lo strumento di risoluzione dei problemi di Windows che si trova andando su Impostazioni -> Rete e Internet -> Stato: spesso riesce a identificare il problema e suggerisce passo-passo come procedere.
Impostazioni -> Rete e Internet -> Stato – Risoluzione dei problemi di rete
Se ancora non si è riusciti a risolvere, conviene verificare se, per qualche motivo, in quel PC sia stato impostato un indirizzo di rete in modo fisso, creando magari un conflitto con un altro dispositivo presente in quella LAN a cui ora cerca di connettersi. Generalmente conviene lasciare al router il compito sia di assegnare automaticamente l’indirizzo IP dei dispositivi che si connettono a esso sia di far impostare automaticamente anche l’indirizzo del server DNS, andando in Pannello di controllo -> Rete e Internet -> Connessioni di rete:
Ottieni automaticamente sia un indirizzo IP sia quello del server DNS
Infine, potrebbe risultare utile aggiornare il driver della scheda di rete (qualora uno abbia effettuato un aggiornamento hardware al PC o lo si abbia riformattato, potrebbe essere necessario installarlo, sebbene generalmente ciò viene fatto automaticamente da Windows):
Aggiornamento dei driver della scheda di rete
Se ancora persistono i problemi di connessione a Internet, si possono eseguire alcuni comandi su una finestra di Prompt dei comandi(con i dirittida amministratore) o, in alternativa, su una di Windows PowerShell (sempre con i diritti da amministratore). Per aprire questa seconda, basta fare click con il tasto destro sulla bandierina Windows (in basso a sinistra) e quindi scegliere WindowsPowerShell (amministratore):
Windows PowerShell (amministratore)
Per usare invece la tipica icona con la finestra nera del classico Prompt dei comandi (successore della riga di comando MS-DOS), vedi I diversi modi per lanciare il classico Prompt dei comandi di Windows. Si noti che, in entrambi i casi, la shell amministrativa viene avviata di default nella cartella C:\Windows\System32:
Si può effettuare il reset di alcuni file Windows relativi all’accesso alla rete, eseguendo i seguenti comandi:
netsh winsock reset netsh int ip reset
Si può provare anche a rilasciare l’indirizzo IP – attualmente assegnatogli dal router – forzando affinché gliene assegni uno nuovo:
ipconfig /release ipconfig /renew
Infine, si può aggiornare le impostazioni del DNS:
ipconfig /flushdns
Dopo l’esecuzione di questi comandi è indispensabile riavviare il PC.
Qualora poi la connessione del PC non fosse tramite Wi-Fi bensì via cavo, conviene anche provare a sostituire il cavo Ethernet per assicurarti che il primo non sia difettoso.
Ovviamente se poi anche altri dispositivi che si connettono al medesimo router riscontrano il medesimo problema di connessione, molto probabilmente il problema risiede nel router o nella connessione fornita dal provider (e.g. TIM, Vodafone): conviene, in quel caso innanzitutto provare a spegnere e riaccendere il modem/router, aspettare che tutti i suoi led siano verdi (soprattutto quello relativo a Internet) e poi riprovare a connettere i dispositivi.
Se il problema poi persiste ancora su tutti i dispositivi connessi al router (sia via cavo sia tramite il suo Wi-Fi) allora conviene contattare il servizio clienti del proprio gestore telefonico.
In diverse occasioni, uno Smart TV (vale a dire oramai un comune televisore che consenta la connessione a Internet) richiede d’inserire del testo, ad esempio per configurarlo. Per ricercare qualcosa in una sua app, per navigare sul suo browser. Generalmente a tale scopo viene presentata a video una tastiera virtuale su cui ci si muove tipicamente con le frecce del telecomando, in modo da scegliere, una per una, le lettere del testo da inserire: insomma, una procedura lunga e prona a possibili errori che, soprattutto nel caso d’inserimento di password, talvolta rende il tutto complicato! È vero che alcuni TV (e.g. LG on WebOS 6.x) forniscono un’interfaccia facilitata mediante l’uso di un mouse/puntatore sempre azionabile dal telecomando o addirittura consentono d’inserire un comando vocalmente, premendo un apposito tasto sempre del telecomando.
Tuttavia può indubbiamente tornare comodo in diverse occasioni associare a questa tipologia di TV una mini-tastiera fisica, connessa via Bluetooth, che consenta agevolmente un inserimento anche di un testo relativamente lungo. Si tratta di tipiche tastiere associabili anche a uno smartphone o a qualsiasi dispositivo capace di un collegamento di periferiche Bluetooth. In genere, sono ricaricabili tramite classico cavo USB e, per risultare portatili e tenere il minimo ingombro, si ripiegano in due/tre parti: io posseggo da tempo quella mostrata in figura che ora non ho più trovato in vendita, sebbene funzioni ancora egregiamente e la carica mi duri svariati mesi, non essendo usata per lunghi tempi.
Ho visto, tra l’altro, che ora la maggior parte di queste tastiere includono integrato anche un touchpad che può tornare sempre utile per avere anche una funzione di mouse: quella seguente di questo link mi sembra tra le migliori come rapporto qualità/prezzo:
Se non si ha l’esigenza di avere il touchpad e neppure quella di minimizzare lo spazio, si può optare per una tastiera non pieghevole (sebbene comunque abbia dimensioni e peso ridotti) come quella in figura di questo link, acquistabile a un prezzo minore e che presenta la configurazione di tasti italiana (mentre quelle pieghevoli che ho trovato ora sono tutte con un layout internazionale, benché quella che avevo comperato io anni fa fosse italiano!):
Vediamo dunque come associare una tastiera a uno Smart TV. Generalmente per effettuare l’associazione Bluetooth si deve premere un apposito tasto presente sulla tastiera stessa e andare in una apposita pagina del menù di configurazione dello Smart TV per concludere tale procedura.
Tasto per mettere la tastiera nello stato di associazione Bluetooth (un led lampeggia velocemente)
Nel seguito mostro i passaggi che ho fatto sul mio TV Samsung The frame: sebbene siano specifici per quella tipologia/marca di TV, la procedura è sicuramente pressapoco analoga anche su uno Smart TV generico. Si noti che quando al termine viene richiesto di digitare un PIN sul dispositivo (i.e. sulla tastiera) per associarla al TV, è necessario premere i tasti di quei numeri del PIN indicato e quindi il tasto di invio: nota che, se non si preme il tasto d’invio finale, l’associazione della tastiera non viene effettuata! Nel caso della caso mostrato negli screenshot seguenti, si è dovuto quindi premere sulla tastiera (in modalità di associazione Bluetooth) il PIN indicato a video (i.e. 7299) e quindi, dopo avere premuto i tasti di quei quattro numeri, terminare premendo infine il tasto Invio (e.g. Return nelle tastiere con layout universale)
Molteplici sono le modalità di ascolto di un audiolibro: mentre si viaggia, si cucina, si passeggia o si corre… o semplicemente quando ci si vuole rilassare in poltrona ascoltando un buon libro letto ad alta voce! Io stesso ho sperimentato la bellezza di ascoltare un audiolibro in auto mentre viaggio, ottima alternativa all’ascolto di qualche trasmissione radiofonica, magari piena di pubblicità e con programmi non sempre d’interesse! Anche alla sera poi, al posto di affaticarmi gli occhi nel leggere un libro, talvolta trovo piacevole proseguire l’ascolto di un audiolibro magari utilizzando un Echo Dot Alexa o una qualsiasi altra cassa bluetooth che consenta di amplificare al meglio l’audio del cellulare. Una buona lettura da parte di un attore (o dell’autore stesso) può rendere ancora più interessante un racconto o può aiutare nella maggior comprensione di un saggio.
Inoltre, con l’avanzare dell’età e la riduzione progressiva delle capacità visive, la lettura di un libro stampato può risultare difficoltosa: soprattutto in questo caso gli audiolibri risultano essenziali per consentire di continuare a godere del piacere della lettura. Per non parlare poi delle persone non vedenti o gravemente ipovedenti: mio zio, anziano ipovedente, non smette ancora di ringraziarmi da quando gli ho configurato con Alexa la possibilità di ascoltare dei libri letti tramite Audible, semplicemente interagendo vocalmente! Infatti, quel servizio a pagamento comprende migliaia di libri anche recenti e fornisce una modalità di fruizione assai semplice grazie alla sua ottima integrazione con il sistema di assistente vocale Alexa. Tuttavia, soprattutto se uno desidera ascoltare dei classici e non vuole spendere nulla, esistono diverse alternative interessanti. In particolare, in una pagina del sito delle Biblioteche Civiche Torinesi vengono fornite alcune informazioni assai utili per coloro che desiderano ascoltare gratuitamente degli audiolibri.
Alcune indicazioni le avevo già suggerite io in post passati. Ad esempio, in “Audiolibri: la sezione “Ad alta voce” di RAI Play Radio e altro ancora …” avevo pubblicizzato il fornito catalogo della bella trasmissione Ad alta voce di Rai3: avevo addirittura mostrato come poter utilizzare Alexa per ascoltare quegli audiolibri, seppure non sia una cosa del tutto semplice! Strano che quella pagina del sito delle Biblioteche Civiche Torinesi non fornisca il link a quel programma tra le diverse fonti di audiolibri suggeriti presenti online, sebbene il titolo dell’articolo sembri richiamarsi esplicitamente a quella trasmissione! 🤔 Comunque aggiungo io nuovamente il link della pagina di RayPlay che racchiude tutte le puntate di quella trasmissione Ad alta voce di Rai 3 (Programmi -> Ad alta voce -> Tutti gli audiolibri), catalogo che comprende più di 200 audiolibri! Si può accedere a essi sia da un qualsiasi browser sia dall’app RAI Play Radio:
Anche per i ragazzi con difficoltà specifiche di apprendimento (dislessia) l’ascolto degli audiolibri costituisce un’ottima soluzioni.
Laddove non esista un audiolibro, bensì solo la versione ebook, la sua sintesi vocale (dall’inglese TTS, text-to-speech) può essere un’ottima alternativa. Tale possibilità viene fornita gratuitamente dall’app Alexa per tutti gli ebook che uno ha nella propria libreria su Amazon: sebbene questa modalità automatica di lettura nonsia certo così appassionante come quella di una recitazione di un attore, devo dire comunque che la buona qualità della sua sintesi vocale mi ha stupito assai! Si noti che nessuno dei lettori ebook attualmente venduti (anche i più costosi)possiede tale funzionalità di sintesi vocale, sebbene in passato ci siano stati alcuni modelli che includevano tale caratteristica. In particolare io ho il “vecchio” lettore Leggo IBS Touch HD della IBS che ne era capace: stranamente i modelli successivi anhe di quella medesima marca non hanno più incluso tale funzionalità 🤨. Ioltre, ho visto che un tempo esistevano anche altre soluzioni di altre ditte che presentavano la funzionalità di sintesi vocale (PocketBook Touch HD 3, PocketBook Color,Onyx Book Max) e addirittura Amazon, nel lontano 2016, sembra avesse lanciato un dispositivo dotato di sintesi vocale, specifico per le persone cieche e ipovedenti.Si trattava del Kindle Paperwhite Blind, nel cui pacchetto era stato inserito sia l’e-reader Kindle Paperwhite sia un adattatore con uscita USB (il Kindle Audio Adapter)sia il software VoiceView.Tale dispositivo sembra sia stato commercializzato solo in America e ora, effettuando una ricerca con un browser, si trovano al riguardo solo informazioni molto datate (2016) e neppure su Amazon.com (la versione americana del sito) ora si trova più! Evidentemente la richiesta di quella funzionalità stranamente non è stata considerata fondamentale dal marketing… 🙄
Tuttavia, come già evidenziato, ora la sintesi vocale di un ebook si può per fortuna fare con l’app Alexainstallabile gratuitamente sul proprio smartphone (anche se non si ha alcun Echo Dot o altro dispositivo Alexa): questa risulta al momento l’unica possibilità di mia conoscenza, a meno di utilizzare forse su un PC qualche app o funzionalità specifica. Nell’app Alexa per richiedere la sintesi vocale di un ebook è sufficiente andare nella sezione Intrattenimento e quindi nell’area Libreria Kindle (dove vengono mostrati tutti gli ebook che uno ha acquistato su Amazon), fare click sulla copertina del libro desiderato e quindi scegliere il dispositivo su cui si desidera venga riprodotto vocalmente quel testo.
Si può scegliere Questo dispositivo qualora si desideri riprodurlo con audio dello smartphone, oppure un qualsiasi altro proprio dispositivo Alexa associato – ad esempio un Echo Dot. Si noti che si può, come sempre, richiedere ad Alexa addirittura di riprodurre l’audio Ovunque, vale a dire su tutti i dispositivi associati alla propria app Alexa, scelta che può magari tornare utile quando ci si sposta per casa e si desidera appunto avere continuità nell’ascolto non solo di musica, ma anche della lettura di un libro (sintetizzato o audiolibro)!
Insomma, contrariamente a quello che generalmente diverse persone credono, non solo per leggere un ebook nel formato Kindle non è indispensabile possedere un lettore Kindle(vedi Come leggere ovunque un eBook comprato su Amazon, anche senza utilizzare un lettore Kindle), ma si può avere la sintesi vocale del suo testo semplicemente installando sul proprio smartphone l’app Alexa gratuita e autenticandosi con le proprie credenziali Amazon. Non è poi necessario avere neppure alcun dispositivo Alexa(Echo Dot) – seppure possa tornare comodo utilizzarne uno, qualora lo si possegga – in quanto la sintesi vocale del testo dell’ebookviene realizzata dall’app per cui lo si può ascoltare direttamente dall’audio dello smartphone (e.g. meglio con gli auricolari) o amplificato da qualsiasi dispositivo a esso collegato via bluetooth.
Infine, che è vero che Alexa può leggere con sintesi vocale solo ebook presenti nella propria libreria Amazon e quindi acquistati in quello Store, ma si tenga presente che, soprattutto per i classici, esistono centinaia di libri acquistabili a 0 euro (quindi gratuiti) oltre a molteplici altri inclusi in un abbonamento ad Amazon Prime. Per non parlare poi delle offerte giornaliere di libri venduti a pochi euro…
Ricordo poi che l’app Alexa è disponibile anche nello Store di Microsoft (sebbene, almeno per ora, manchi di alcune funzionalità) per cui la si può installare anche su un PC.
Insomma, non ci sono scuse per non provare almeno una volta questa funzionalità e, sono certo, vi stupirà la bontà della sintesi vocale che viene effettuato dell’ebook! 😉
Ho acquistato da qualche mese il bello schermo LG (LG 32UN880: monitor 32″ con un’ottima risoluzione (3840×2160) e fornito di un supporto davvero versatile!) e da tempo sperimentavo uno strano e inopportuno funzionamento dei tool di cattura di parte dello schermo (e.g. Strumento di cattura, Cattura e annota, entrambi presenti in Windows 10/11) solo quando li utilizzavo su quel monitor secondario ad alta definizione (3840×2160) e non su quello primario del mio PC Surface (con buona risoluzione – 2736×1824 – benché minore). In particolare, l’immagine catturata risultava modificata radicalmente nel colore, rendendo talvolta addirittura difficilmente leggibile del testo presente:
… cattura ben diversa dalla seguente eseguita sul monitor del PC:
Ovviamente volendo io catturare l’immagine per inserirla in un documento o in qualche sito/blog, questo comportamento risultava assai fastidioso! Dover trascinare la finestra sul monitor principale del PC per la cattura era la soluzione che avevo sperimentato da subito, sebbene la reputassi temporanea: essendo ovviamente il monitor del mio Surface decisamente più piccolo, spesso non riuscivo agevolmente a catturare per intero tutte le informazioni che sul monitor grande risultavano mostrate! Sì, è vero che diminuendo il livello di zoom del browser o utilizzando la funzionalità Acquisisci schermata web presente nel browser Edge, riuscivo ugualmente a superare il problema, ma era comunque un qualcosa di fastidioso:
Disturbante poi era non comprenderne il motivo e neppure chiedendo nei forum online ero riuscito a ricevere indicazioni utili… 😣 La cosa che ancor più mi disorientava è che talvolta (seppur raramente) tale problematica non si verificava e addirittura a volte si aveva solo utilizzando un browser e non con un altro: insomma non sapevo che pesce prendere in quanto non riuscivo a comprendere l’origine del problema e la sua causa, anche perché il comportamento non era sistematicamente sempre il medesimo!
Talvolta la problematica si verificava solo su un browser e non sull’altro sebbene in entrambi si navigasse la medesima pagina, per cui avevo addirittura pensato a una problematica relativa al browser stesso!
Modificare le impostazioni del monitor nuovo agendo sulle sue regolazioni interne accessibili mediante i suoi appositi tasti non aveva dato alcun risultato. Analogo discorso modificando le impostazioni del browser… 🙄 Solo poi andando nelle Impostazioni di Windows, e in particolare su quelle relative all’Impostazione schermo (raggiungibile anche direttamente dal menù che compare facendo click con il tasto destro su qualsiasi punto dello desktop di Windows), ho notato che per quelle del monitor secondario nuovo era presente un’opzione in più rispetto a quello del monitor primario del PC, vale a dire l’opzione di visualizzazione in HDR che risultava ovviamente a ON. Questa opzione è evidentemente presente solo per i monitor 4K: infatti, High-Dynamic-Range video [HDR video cioè video ad ampia gamma dinamica) è una tecnologia che, applicata a un filmato con curva di gamma convenzionale (SDR), è in grado di ampliarne la gamma, col risultato di restituire filmato con una maggior varietà di colori (dai bianchi più luminosi ai neri più scuri) e quindi anche una maggior fedeltà ai colori così come appaiono in natura.
Togliendo quella impostazione HDR, la problematica sulla cattura dell’immagine su quello schermo si è risolta miracolosamente e non si è più presentata in nessuna circostanza!! Ho dovuto così rinunciare a configurare di default quel monitor in modo da ottenere una maggiore fedeltà ai colori, limitandomi a mettere a ON l’impostazione HDR solo qualora strettamente necessario, vale a dire quando si vedono foto/video. Resta comunque ancora da capire come mai entrambi quei tool di cattura non siano in grado di gestire correttamente un’impostazione dello schermo in HDR, tanto più che Windows 10/11 stessa contempla quella opzione!
Già alcuni mesi fa avevo scritto un post [Non tutto il male vien per nuocere: visite gratuite (virtuali), musica, film, libri, audiolibri ed offerte di ogni genere ai tempi del coronavirus] con molteplici link che consentono di usufruire agevolmente da casa (e per di più gratuitamente) di molteplici occasioni culturali, da visite virtuali a 360 gradi ad audiolibri, musica, libri e film. Lo avevo scritto in un periodo di lockdown, ma quei link sono comunque ancora validi a tutt’oggi per cui magari dacci un’occhiata: qualcuno potrebbe risultare di tuo interesse! In questo post aggiungo un’ulteriore risorsa a disposizione per chi abita non solo a Torino come dettaglierò nel seguito: l’accesso online a servizi offerti, ad esempio dalle biblioteche civiche torinesi, tramite il network italiano di biblioteche digitali pubbliche MLOL(MediaLibraryOnLine).
Ero a conoscenza da tempo dell’esistenza di alcuni servizi online messi a disposizione dalle biblioteche, ma non pensavo fossero così interessanti per cui non li avevo considerati, preferendo in generale frequentare quei posti di persona: devo quindi dire grazie a una mia amica che mi ha invogliato a indagare ulteriormente!
In questo post mi soffermerò su questi servizi digitali resi disponibili online, che richiedono semplicemente di essersi registrati in una qualsiasi biblioteca torinese (o di altre città – leggi oltre) e possedere quindi una propria tessera personale:
Tessera personale d’iscrizione alle Biblioteche Civiche Torinesi
Il sito delle Biblioteche Civiche Torinesi, raggiungibile con qualsiasi browser sia da PC sia da smartphone, fin dalla sua homepage mostra le molteplici attività culturali, tra eventi, programmi, catalogo online delle opere (libri, giornali, riviste, CD, DVD) disponibili in tutte le biblioteche della mia città. Esiste anche la possibilità d’iscriversi a una newsletterfornendo semplicemente la propria email, in modo da essere avvertiti per tempo delle nuove iniziative. Penso che anche in altre città esista un qualcosa di analogo e comunque sicuramente vale per i servizi online. Di particolare interesse reputo infatti l’iniziativa di rendere disponibile anche una biblioteca digitale (e-book, audiolibri, musica da ascoltare, film) online 24 ore su 24, senza necessità di nessun abbonamento.
Come indicato nella pagina delle F.A.Q., MLOL (MediaLibraryOnLine) è il primo network italiano di biblioteche digitali pubbliche, un portale per accedere gratuitamente a musica, film, ebook, quotidiani, audiolibri e molto altro. Per avere informazioni più precise su MLOL puoi andare alla pagina “Che cos’è MLOL” dal menù “Info” del portale e scaricare la brochure di presentazione. Per utilizzare MediaLibraryOnLine è necessario essere iscritti in una delle biblioteche aderenti. Nella pagina “Chi Aderisce” puoi vedere un elenco dettagliato di tutte le biblioteche che aderiscono al network. Si scopre così che molteplici sono le biblioteche aderenti, non solo quindi quelle della mia città, ma un po’ in tutta Italia… e anche in diverse parti del mondo! Accendendo alla pagina di autenticazione generale di www.medialibrary.it si evidenziano le decine e decine di enti che aderiscono a quel portale: anche solo effettuando una ricerca degli aderenti su Torino si scopre la presenza non solo delle Biblioteche Civiche Torinesi, ma anche dell’Università degli Studi di Torino.
Quella medesima tessera, che serve per poter prendere in prestito libri/film in qualsiasi biblioteca torinese, può essere utilizzata anche per accedere da casa ai servizi digitali, autenticandosi con Username: la stringa personale indicata sulla tessera (i.e. P seguito da un numero). Password: data di nascita nel formato GGMMAAAA (e.g. 18051960)
Una volta autenticati, si può accedere a e-book, audiolibri, musiche e film. Ovviamente, così come quando si va nella biblioteca fisica, esistono limitazioni nel prestito: comunque, se in famiglia ciascuno possiede una tessera, le possibilità di usufruizione crescono! Le condizioni che regolano la biblioteca digitale online sono spiegate nel dettaglio in questa pagina del sito. Da qui si apprende, ad esempio, che il prestito di un ebook ha una durata di 14 giorni e non è prorogabile. Si possono prendere in prestito al massimo 2 ebook nell’arco del mese solare; non è possibile restituire i titoli presi in prestito prima della scadenza, vincolo solo di natura tecnica. Il numero complessivo di prestiti mensili su tutte le utenze dipende invece dalle disponibilità del budget: infatti, ogni prestito ha un costo e le risorse economiche non sono infinite! 🙄
La ricerca può essere anche avanzata, permettendo di filtrare su diversi campi per trovare ciò che ci interessa:
Ricerca avanzata
Libri digitali
Il numero di libridigitalidisponibili è impressionante: attualmente 27.481MLOL e 759.773OPEN. Nella sezione OPEN ci sono prevalentemente i classici (i.e. titoli in pubblico dominio o rilasciati dagli editori o dagli autori con licenze che ne permettono l’uso gratuito) mentre gli autori recenti si trovano tra le “Risorse MLOL“. Spesso i riferimenti OPEN sono semplicemente link ad altri siti che forniscono comunque tale risorsa gratuitamente, ma avere il tutto agevolmente ricercabile dal sito delle biblioteche rende sicuramente il servizio offerto migliore! Ovviamente anche qui può succedere che un determinato libro non possa essere preso subito in prestito in quanto già reso disponibile ad altri, ma si può sempre prenotare: uno verrà avvisato della disponibilità con una mail e vengono concesse 24 ore di tempo per scaricarlo. Si noti la presenza nel catalogo anche di spartiti musicali di pubblico dominio.
Sono presenti anche diversi audiolibri(attualmente 1.075 MLOL + 12.544 OPEN) sebbene la maggioranza siano di narrativa e ricercando alcuni autori viventi di mio interesse non ho trovato alcun titolo nel catalogo.
Catalogo di audiolibri
Si apprende anche che, per ascoltare quegli audiolibri, non è necessario scaricare alcuna app: puoi ascoltare gli audiolibri in streaming direttamente dal browser di qualsiasi dispositivo. Gli audiolibri in download possono essere ascoltati invece con qualunque applicazione in grado di riprodurre file mp3; se si tratta invece di audio-ebook (lo puoi vedere dal titolo dell’audiolibro), potrai ascoltarli su computer con Adobe Digital Editions, lo stesso programma che usi per leggere ebook protetti con DRM Adobe. In generale, l’ascolto di un audiolibro in streaming da un browser non consente di riprendere la lettura automaticamente da dove era stata interrotta e quindi non è il massimo, ma si può sempre riprendere il capitolo e posi scorrere avanti opportunamente. Inoltre per gli audio-ebook si può utilizzare l’app di Adobe (vedi Adobe Digital Editions) il cui funzionamento penso sia analogo a quello dell’app di Audible, per cui la continuità nella ripresa della lettura è sicuramente garantita!
Ascolto di un audiolibro in streaming (in alternativa si può anche ascoltare effettuandone il download)
Si può accedere anche a riviste/quotidiani (attualmente 7.173 MLOL e 32.644 OPEN), sebbene anche qui il numero di lettori contemporanei sia limitato, per cui può succedere, nel richiederne la lettura di uno specifico, che compaia il messaggio “Tutte le licenze sono occupate“: come si apprende sempre dalle F.A.Q., questo messaggio può capitare con i quotidiani che fanno parte del pacchetto Edicola Italiana e indica che è stato raggiunto il numero massimo di utenti che possono consultare il quotidiano contemporaneamente: in questo caso prova a consultare il quotidiano in altri momenti e non appena una licenza tornerà disponibile, potrai accedervi regolarmente. A seconda delle testate, la consultazione può essere effettuata sfogliando online o scaricando localmente un file in formato pdf.
Nel seguito inserisco le immagini di alcune delle riviste tra le molteplici disponibili, per invogliarvi a indagare su questa opportunità di lettura da casa o dovunque uno si trovi, che spazia davvero su qualsiasi argomento (e.g. storico, culinario, scientifico, ludico):
Si noti che avere una versione digitale di una rivista/libro, soprattutto se uno utilizza un tablet/PC, consente di poterla leggere più agevolmente, consentendo di essere sfogliata velocemente, d’ingrandire a piacere la parte d’interesse e addirittura di effettuare ricerche su tutto il testo presente:
Gli audio disponibili contano di 128.036 MLOL e 67.074 OPEN, numeri che parlano da soli, sebbene siano principalmente di musica classica, per quello che ho potuto vedere:
I film in streaming sono attualmente 461 MLOL e 21.253 OPEN, alcuni davvero interessanti e tali da non far rimpiangere servizi analoghi a pagamento dove la percentuale di film “cassetta” è ben maggiore! Se ne possono vedere 2 al mese… ma, come già evidenziato per gli ebook, se tutti gli N componenti di una famiglia hanno una loro tessera, autenticandosi diversamente se ne possono vedere Nx2! I titoli a disposizione sono decisamente interessanti, così come d’altra parte anche i DVD fisici che ci sono abitualmente nelle biblioteche:
Film in streaming
Segnalo, solo a titolo di esempio, i film L’illusionista, Un divano a Tunisi, Solo un bacio per favore, Cambio di indirizzo,… anche se penso i titoli a disposizione cambino nel tempo! Per rintracciare subito un film senza dover scorrere tutte le attuali 39 pagine, si può selezionare il link Vedi tutti presente in alto a destra nella sezione Film e quindi utilizzare il campo in alto di ricerca avanzata. Ad esempio, ho provato a effettuare una ricerca filtrando su “De Sica” e ho trovato diversi film (7 MLOL e 17 OPEN), alcuni decisamente interessanti per un qualsiasi amante del cinema:
Analogamente, filtrando su “Vito Mancuso“, sebbene non abbia trovato ovviamente nessun film, sono stati filtrati diversi ebook e addirittura un audiolibro 🙂
Ovviamente il film lo si può vedere non solo sullo smartphone/tablet/PC ma anche su un qualsiasi Smart TV connesso a Internet: la qualità di visione è ottima anche su questi grandi monitor! Dal momento che non esiste alcuna app specifica, è necessario andare sul browser del TV, navigare su bct.medialibrary.it, autenticarsi e quindi selezionare il film desiderato per averne anche la descrizione. Conviene poi salvarsi nel browser l’indirizzo di quella URL tra i preferiti, in modo tale da non dover riscriverlo tutte le volte e riuscendo così ad accedere all’elenco dei film in modo agevole le prossime volte:
Generalmente i browser presenti negli Smart TV consentono di muoversi nelle pagine anche tramite il solo telecomando che pilota (agendo sui quattro tasti di spostamento) una freccia a video per poi agire su di una tastiera virtuale: ovviamente molto meglio usare una tastiera fisica connessa al TV tramite Bluetooth, se uno ne possiede una! Generalmente sono piccole, maneggevoli e ripiegabili in modo da poter essere riposte agevolmente: talvolta includono anche un touchpad che può tornare utile anche qualora la si usi in connessione con il proprio smartphone e non solo con uno Smart TV. (Vedi Come collegare una tastiera Bluetooth a uno Smart TV in modo da poter inserire agevolmente del testo quando richiesto, in alternativa all’uso della scomoda tastiera virtuale a video).
Una volta premuto il pulsante Guarda, compare una pagina dove è indicato il numero di download ancora possibili tra i 2 mensili a disposizione per ciascun account: viene anche specificato che cliccando sul link Guarda il film (in fondo la pagina a sinistra) per24 ore uno può accedere alla risorsa anche dalla scheda del film che si trova nel catalogo. Trascorso quel periodo, per continuare a vedere il film è necessario effettuare un nuovo download (presumibilmente bruciandosi così un’ulteriore possibilità di visione, ma personalmente non ho provato!). Per vedere poi il film a tutto schermo, si può premere sulle due frecce in basso a destra. Anche quando si è in questa modalità di visione, si può comunque mettere in pausa e poi riprendere tramite la consueta linea temporale in basso, così come è ovviamente possibile ritornare alla modalità normale del browser agendo nuovamente sull’icona delle frecce in basso a destra:
Insomma, penso che valga la pena frequentare le biblioteche civiche non solo di persona, ma anche utilizzando i servizi offerti online dalle medesime, soprattutto ora per via delle limitazioni dovute purtroppo al Covid-19!
Non è inusuale sperimentare blackout nella fornitura di energia elettrica non solo in località di campagna ma anche nelle grandi città. Se in queste ultime in genere la mancanza di corrente dura in genere pochi minuti, in altre zone può durare anche diverse ore! Oramai dipendiamo sempre più dall’energia elettrica e non solo per l’illuminazione e la conservazione dei cibi, ma anche per altri svariati altri aspetti: si pensi alle tapparelle elettriche, alle porte ad apertura elettrica, a tutti i sistemi informatici che, anche se supportati da gruppi di continuità, ben difficilmente continuano a poter essere alimentati se il blackout dura diverse ore, trattsndosi di un guasto e non di un problema di sovraccarico nella richiesta di energia!
Può quindi tornare utile – sempre se uno ha ancora un computer o almeno uno smartphone funzionante – andare non solo a vedere se c’è effettivamente presente un’interruzione centralizzata di corrente nella zona, ma soprattutto sapere le previsioni sul ripristino del servizio. A tale scopo esiste una sezione specifica del sito dell’E-distribuzione che, come si legge dal loro sito, è la più grande società in Italia nel settore della Distribuzione e Misura di energia elettricaal servizio di oltre 31,5 milioni di Clienti connessi alle loro reti, gestendo oltre 1.100.000 Km di retesul territorio nazionale raggiungendo più di 7.400 Comuni. Conviene allora visitare il loro sito… sempre se il vostro Comune sia tra quelli da loro gestiti! 🙄
Andando nella sezione relativa alle Interruzioni di corrente, si può avere una visione su tutto il territorio nazionale: impressionante, a mio avviso, la presenza di così tante interruzioni un po’ ovunque a ogni ora uno vada a indagare. Si tenga conto che a ciascun pushpin rosso possono corrispondere più zone adiacenti con interruzioni di corrente, visibili in dettaglio effettuando uno zoom-in ulteriore nella mappa. Quanto più grande è poi il pushpin rosso, tanto maggiore è il numero di clienti in quel momento senza corrente. Effettuando più volte lo Zoom a si giunge a poter vedere i dettagli del singolo caso di interesse: tra le possibili indicazioni sulla singola interruzione c’è in genere sia la data/ora d’inizio guasto sia una data/ora di previsione di ripristino… si noti che questa è talvolta anche di diverse ore successive all’indicazione dell’inizio della problematica!!
È inoltre possibile segnalare o monitorare un guasto ed essere così anche informato delle sue evoluzioni:
Esiste infine un numero verde unico di E-distribuzione a cui uno può rivolgersi per qualsiasi problematica, ad esempio per segnalare un possibile guasto della linea o malfunzionamento del proprio contatore (e.g. display che non mostra i consumi bensì lettere casuali). Se il distributore non è E-distribuzione (Enel), allora si deve contattare il numero generalmente indicato nella bolletta per i guasti. Nel mio caso a Torino, quando il display del mio contatore presentava evidenti problematiche di visualizzazione, per la sua sostituzione gratuita ho dovuto telefonare al numero di assistenza clienti di IReti: 010 5586664. Infatti Ireti gestisce la distribuzione di energia elettrica nelle città di Torino, Parma e Vercelli.
Talvolta può tornare utile avere la possibilità di registrare una chiamata o parte di quella, ad esempio per tener memoria di una informazione se non si ha foglio e penna a disposizione o anche per far fronte a telefonate lesive della propria persona. Ovviamente in quest’ultimo caso non è certo lecito diffonderle su social o quant’altro ma possono comunque essere portate come prova in sede penale. A tale riguardo ho trovato il seguente articolo del sito laleggepertutti.it che vi invito a leggere se vi interessa approfondire. Anche l’articolo di consumatori.it E’ lecito registrare una telefonata? Ecco cosa prevede il Codice Privacy sostanzialmente conferma la medesima cosa, vale dire che è legale registrare una propria telefonata ma non lo è invece la pubblicazione del suo contenutopur restando chiaramente lecito far sentire il contenuto della registrazione telefonica a un giudice, a un carabiniere, a un poliziotto e a qualsiasi altra autorità preposta alla tutela dei diritti del cittadino.
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Se vuoi conoscere subito la soluzione che ho sperimentato e ti consiglio, puoi anche scorrere in basso alla sezione relativa all’app CubeACR: se invece hai un po’ di tempo in più, penso che troverai utile anche la sezione introduttiva seguente. _______________________________
Introduzione
Un tempo, quando avevo uno smartphone con Windows 10 Mobile, mi ricordo esisteva un apposito tasto durante una chiamata che consentiva d’iniziare/terminare una registrazione di quella telefonata in corso. Qualche giorno fa ho avuto l’esigenza di attivare una funzione analoga sul mio Samsung Note 10 Plus e non ho trovato come fare… 🙄🤔
Su un articolo del sito Il telefonino viene mostrata l’opzione Record calls presente tra i Settings dell’app Calls (IT: Telefono) nativa di Samsung per effettuare le telefonate:
… peccato che sul mio Note 10 plus quella medesima app – nella sua versione attualmente più recente (12.7.05.10) – non presenta, in quella prima sezione delle Impostazioni nè altrove, quella possibilità di attivazione di un pulsante che, se premuto durante una chiamata, consente di registrarla!! Da quanto letto potrebbe dipendere da una limitazione dettata dalla localizzazione del dispositivo, in teoria in base alle norme vigenti nel Paese del suo utilizzo. Per questo nella versione italiana di quel mio dispositivo quella funzionalità non risulta attivabile… anzi non compare addirittura in elenco essendo presente nella prima sezione solo Blocca numeri e ID chiamante e protezione spam. Comunque, perché dovrebbe esistere tale limitazione non mi è davvero chiaro dal momento che, come si è visto, in Italia la registrazione di una telefonata è consentita… 🤔🙄
Anche l’app Telefono di Google, sembrerebbe permettere (di nuovo) di registrare le chiamate in Italia, secondo quanto affermato da un recente articolo di Tuttoandroid.it, seppure introduca una fastidiosa e talvolta inopportuna notifica vocale che la registrazione della telefonata è attivata o terminata: certo che se uno desidera registrare per dimostrare a polizia/giudice un misfatto, quell’avviso vocale inserito automaticamente è davvero inappropriato e tale da annullare l’utilità di tale funzionalità in quel caso specifico!! Comunque, anche se uno desidera utilizzarla per annotare informazioni utili indicate dalla persona chiamata (magari in ambito lavorativo), può comunque risultare inopportuno far sapere che uno si annota il tutto registrandolo… Peccato inoltre che la sua possibilità di attivazione sembra dipendere sia dal dispositivo sia dall’operatore come viene chiaramente indicato nella pagina di supporto di quell’app di Google: “Solo determinati dispositivi e operatori supportano la registrazione delle chiamate. Alcune leggi richiedono il consenso alla registrazione di tutti i partecipanti alla chiamata. Prima dell’inizio della chiamata, i partecipanti ricevono una notifica che li informa della registrazione.” Nel caso del mio Samsung Note 10+ italiano e operatore Kena (TIM), tale funzionalità non è presente (figura con sfondo nero), mentre per un amico con smartphone Xiaomi italiano e operatore Iliad, quell’app di Google presenta tale opzione Registrazione della chiamata (con sfondo bianco):
Insomma davvero una cosa strana essendo comunque entrambi telefoni che operano sul medesimo territorio nazionale italiano!!
In questo recente (17/7/2021) thread della Community Google inglese viene d’altra parte presentato l’elenco delle nazioni dove quella funzionalità è presente e manca l’Italia: viene inoltre precisato “Note: Carrier and device restrictions may impact visibility of the feature. To learn more about call recording, please refer to this Help Center article“. In quest’altro thread viene detto “This feature is not available in all countries, languages or devices. If you have not received this feature, it may simply not have rolled out to you yet, or it may not be available based on your location, language or your specific device.”
Relativamente al fastidioso annucio di inizio/termine registrazione (nei device/carrier dove quella funzionalità viene concessa) vine poi indicato: “To protect the privacy of all users, when you start recording, both parties are notified with a disclosure that the call is being recorded. When you stop recording, both parties are notified with a disclosure that the call is no longer being recorded. If you wish to submit your feedback regarding the presence of an announcement, use in-app feedback to do so: From the Phone app, tap the 3 dot menu > Help & feedback > Send feedback“. Ho quindi scrityo il seguente feedback dal momento che scrivendo una email al presunto sviluppatore ho ricevuto da Google una risposta che quella loro email non è più monitorata 🙄: “How can enable the recording call feature in my Samsung Note 10 (TIM carrier in Italy)? Even being a beta tester, I cannot find that option in the setting page of the Phone app. Is there a way without having to root the device? In my country (Italy) it is legal to record phone calls you receive… so I cannot understand why that feature should not be available… Moreover an italian friend of mine, that have a Xiaomi device (always italian version) and another carrier (Iliad), have that recording feature… So it is a matter of my Samsung device or of my TIM carrier? How can enable that feature me too?“. Vediamo se ricevo qualche feedback!
La disabilitazione della funzionalità di registrazione immaginavo già che fosse dovuta a qualche impostazione di sistema presente nello smartphone stesso e ne ho avuto conferma ricercando su Internet. In particolare, ho letto che dovrebbe esistere, almeno sui dispositivi Samsung, uno specifico file others.xml nella directory system/csc del sistema operativo (CSC = Country Specific Code). Tuttavia, contrariamente a quanto indicato semplicisticamente in quell’articolo, per poter vedere e soprattutto modificare quel file di sistema è indispensabile effettuare il root dello smartphone, eliminando così le protezioni intrinseche del sistema operativo, operazione tutt’altro che alla portata di tutti e potenzialmente pericolosa se non si è un programmatore esperto del settore. Inoltre tale operazione può invalidare la garanzia del produttore e aprire la strada a potenziali malware, per cui penso sia poi conveniente effettuare comunque un unroot dopo le modifiche dei parametri desiderati. Io stesso che sono stato programmatore di smartphone seppure non Android, ho desistito nell’effettuare la procedura richiesta sul mio cellulare… magari ci proverò semmai quando ne avrò uno a disposizione di recupero e non più usato! Per ora posso rinunciare tranquillamente alla funzionalità di registrazione delle telefonate se il rischio è quello di rendere il mio cellulare inutilizzabile o instabile! A nulla è servito neppure sia iscrivermi al programma di beta tester di quell’app per provare anche le sue nuove funzionalità sia impostare tale app come quella predefinita per effettuare/ricevere chiamate:
Si noti che nel 2019 Google ha introdotto un blocco su Android per disabilitare la registrazione delle telefonate al fine di sottostare a una presunta normativa europea. Perciò, secondo un articolo, parrebbe che non ci sarà alcuna possibilità di registrazione delle chiamate su qualunque telefono da Android 9 in poi. Veniva suggerito nel medesimo articolo d‘impostare sorgente audio su MIC e registrare in formato MP3, M4A (non mp4), OGG o FLAC e impostare Gain al massimo per poter catturare la voce all’interlocutore di alcuni telefoni come Huawei e Pixel dove l’algoritmo di cancellazione dell’eco non è aggressivo. In alternativa si può attivare l’altoparlante in viva voce durante una chiamata potrebbe funzionare sulla maggior parte dei telefoni, anche se non sempre sarà possibile farlo, per non parlare dei tanti rumori che potrebbe registrare insieme alla telefonata. Io ho provato ad attivare un’app di registrazione vocale durante una chiamata impostata in viva voce per testarne i risultati, ma sembra che tale modalità di registrazione non sia consentita almeno dal registratore vocale di Samsung:
La registrazione vocale non viene consentita durante una chiamata (e.g. in viva voce)
In quel medesimo articolo veniva detto infine che non restava di “sperare che Google potesse reinserire un permesso speciale in cui le app di registrazione delle chiamate possano tornare a funzionare, o addirittura essere implementata tale funzione direttamente nel sistema operativo. Anche se si ritiene improbabile che possa accadere, per non violare le disposizioni sulla privacy e incorrere in penalizzazioni“. Insomma, indicazioni su presunte disposizioni di limitazioni per via della privacy, contrariamente a quanto veniva invece detto in altri articoli già citati e riferiti sempre a quella medesima funzionalità specifica! A questo punto non capivo più bene chi avesse ragione e ho chiesto meglio a una amica avvocato che mi ha confermato che la legislazione italianaconsente di registrare tutto ciò che i nostri sensi possono percepire personalmente (e.g. audio, video) quindi sicuramente tutto ciò che viene detto e visualizzato sul nostro smartphone quando lo si usa. Non sarebbe invece lecito lasciare videocamere/microfoni nascosti non dove siamo presenti o registrare su dispositivi che non stiamo utilizzando personalmente. La mia amica mi ha anche detto che spesso vengono portati a prova di molestie/stalking registrazioni o video. Perciò le succitate presunte possibili violazioni sulla privacy e potenziali penalizzazioni su produttori/provider mi sembrano perciò davvero inconsistenti! Di fatto nell’articolo già citato dell’agosto 2021 veniva indicato come Google stessa avesse recentemente permesso (di nuovo) di registrare le chiamate in Italia, seppur inserendo un messaggio vocale che lo rende noto, vanificando quindi talvolta l’utilità di poter registrare… e sebbene quella funzionalità dell’app Telefono di Google continui a non essere attivabile sul mio specifico smartphone Samsung Note 10 con Kena (TIM) come provider!! 😣
Numerose sono poi le app di terze parti che, seppur presenti ancora nel PlayStore, leggendo i commenti si intuisce chiaramente hanno smesso di funzionare in seguito all’aggiornamento del sistema operativo alla versione 9 di Android.
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La soluzione sperimentata
Insomma, mi ero già rassegnato a non poter avere – almeno per ora – quella funzionalità, quando ho trovato questo articolo che disquisiva su come registrare chiamate su smartphone con Android 11 / Android 10 / Android 9 senza doverne effettuare il root. In particolare faceva riferimento all’utilizzo dell’app specificaCube ACR che ho provato e posso dire che ha soddisfatto pienamente le mie esigenze anche nella sua versione gratuita!
Quest’app ha anche associato un sito specifico dove sono descritte le sue molteplici funzionalità che quelle vanno ben oltre la semplice registrazione della chiamata (e.g. geolocalizzazione, salvataggio in cloud, individuazione delle parti importanti di una chiamata, sicurezza nell’ascolto delle registrazioni, la cancellazione in automatico dopo un certo tempo) soprattutto nella versione ad abbonamento. Comunque, anche solo la sua versione gratuita, ha soddisfatto pienamente le mie aspettative! Consente infatti sia d’impostare di default la registrazione di tutte le chiamate sia, in alternativa, di avere in sovrimpressione – a qualsiasi app di Telefono impostata come default – un tasto con cui eventualmente attivare/disattivare la registrazione durante il corso di una chiamata. Quest’ultima impostazione è quella che ho preferito essendo la mia esigenza di registrazione davvero saltuaria!
Nel seguito mostro alcuni passaggi necessari per impostare tale app e installarla opportunamente dal momento che, per poter operare, necessita di privilegi specifici che ovviamente devono essere valutati di volta in volta. Dal momento che consente anche di poter registrare chiamate VoiceIP (e.g. quelle effettuate con WhatsApp, Viber, Telegram, Skype, Line, WeChat), in quel caso necessita anche di ulteriori abilitazioni che tuttavia io non ho per ora attivato non avendo attualmente tale esigenza, bensì solo quella di registrare eventualmente parti di chiamate “normali” (e.g. effettuate tramite l’app Telefono impostata di default nello smartphone).
Widget laterale sovrimpresso che consente di attivare/terminare una registrazione durante una qualsiasi chiamata telefonica in corso
Di default, tutte le chiamate vengono interamente registrate, ma questa impostazione può essere agevolmente modificata andando ad agire su alcuni suoi parametri di configurazione: infatti, molto meglio, secondo me, avere una barra semitrasparente sovrimpressa che ha un tasto per attivare/terminare una registrazione di parte di una specifica telefonata! Quel widget laterale in overlay (i.e. in sovrimpressione) sovrimpresso non contiene solo quel tasto con l’icona del microfono, consentendo appunto all’attivazione della registrazione per la telefonata in corso, ma anche un altro (più piccolo, con l’icona di una persona) per attivare o meno la registrazione in automatico per tutte le chiamate da quello specifico numero (funzionalità comunque attivabile e gestibile anche agendo nella sezione apposita dell’app: vedi oltre nel post).
Quel widget laterale in overlay è personalizzabile: oltre a poter essere spostato verticalmente, esiste poi (nella sezione delle Opzioni varie presenti nell’app) la possibilità di posizionarlo a sinistra(anziché a destra) o addirittura di non mostrarlo: in questo ultimo caso, ovviamente non sarà possibile attivare una registrazione solo su specifiche telefonate in corso, ma varranno solo le regole impostate di registrazione in automatico.
Possibili modifiche all’interfaccia utente, relativamente al widget sul controllo della registrazione
Nel seguito alcune indicazioni relative alla installazione di CubeACR:
Nello specifico è necessario effettuare alcune abilitazioni per Cube ACR App Connector nelle impostazioni di accessibilità del proprio dispositivo proprio per poter consentire di superare le restrizioni imposte dalle ultime versioni di Android:
Non avendo necessità di effettuare registrazioni VoiceIP (e.g. WhatsApp) non ho abilitato, almeno per ora, il Collegamento a Cube ACR App Connector che darebbe il pieno controllo dello smartphone a Cube ACR App Connector: d’altra parte tutte queste abilitazioni si posso attivare/disattivare anche solo quando necessario in quanto si desidera utilizzare qualche specifica sua funzionalità!
Al termine dell’installazione/configurazione viene proposto di ottenere l’accesso illimitato a tutte le caratteristiche Premium (backup su cloud, blocco dell’app con PIN, opzioni di fine chiamata, nessuna pubblicità), con anche la possibilità di scegliere una prova gratuita per una settimana… A scanso di sorprese, ho preferito (e vi consiglio) di chiudere semplicemente questa finestra agendo sulla x in alto a sinistra, in modo da provare l’app nella sua modalità gratuita e, almeno per il momento, utilizzare solo le sue funzionalità base che, molto probabilmente, soddisfano già le tue aspettative:
Probabilmente è sufficiente per i propri scopi utilizzare la versione gratuita dell’app, per cui si può evitare di accettare effettuare subito la prova (seppur gratuita) delle sue funzionalità Premium
Le registrazioni che ho ottenuto d’intere chiamate o anche solo di alcune parti, sono risultate di ottima qualità: l’elenco delle registrazioni è accessibile da un’apposita pagina dell’app che ne consente la completa gestione. In particolare risulta anche possibile inoltrarle (e.g via email, WhatsApp), salvarne una copia in una cartella del proprio file system o condividere subito con utenti nelle vicinanze:
Per default le registrazioni vengono salvate nellla memoria interna del disponitivo, nella cartella Documents/CubeCallRecorder/All, accessibile utilizzando una qualsiasi app di gestione file (e.g. File Manager +; Samsung My files;
Se si desidera poi gestire i contatti per i quali si è impostato di voler attivare in automatico la registrazione delle chiamate (e.g. si vuole eliminarne qualcuno o se ne vogliono aggiungere altri), basta andare nella sezione Impostazioni di registrazione del menù dei quell’app e operare come desiderato agendo sul pulsante “-” a dx di ciascun contatto o premendo il tasto AGGIUNGI… : si noti tra l’altro la possibilità d’impostare la Registrazione automatica delle chiamate da numeri sconosciuti, funzionalità che generalmente può tornare utile!
Si noti infine, come segnalato dall’app stessa, che secondo le politiche di Android 11, dopo tale aggiornamento del sistema operativo, l’app ha spostato le registrazioni dalla memoria interna del telefono alla cartella Documenti (i.e. /external/Documents/CubeCallRecorder): la cartella CubeCallRecoder presente nella root (e.g. /CubeCallRecorder) dove prima erano memorizzate è meglio cancellarla dalla memoria interna del proprio telefono per liberare spazio in quanto anche la cancellazione delle telefonate ora agisce solo sul nuovo path in cui sono state compiate, per cui è necessario cancellarle utilizzando un programma di File manager, dopo avere ovviamente verificato che effettivamente le registrazioni d’interesse siano state spostate e risultino ancora ascoltabili!
Il percorso dell’archivio delle registrazioni è ora /external/Documents/CubeCallRecorder
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Infine, nel seguito elenco alcuni articoli che spiegano come effettuare il root del proprio dispositivo e modificare il CSC, qualora qualche lettore volesse cimentarsi nell’impresa che tuttavia personalmente non consiglio:
Da qualche mese molteplici PC con Windows 10 presentano su Windows Update la possibilità di aggiornarsi al nuovo sistema operativo Windows 11. Non è scontato che a chiunque convenga effettuare tale aggiornamento, dal momento che comunque viene esplicitamente detto che “Alcune funzionalità di Windows 10 non sono disponibili in Windows 11. Alcune app e funzionalità potrebbero avere requisiti aggiuntivi“! Inoltre, la barra delle applicazioni (taskbar), è per ora decisamente meno funzionale rispetto a quella del precedente sistema operativo e spero che nei prossimi aggiornamenti Microsoft segue, come sempre ha fatto, le indicazioni suggeriti dagli utenti, soprattutto quelli registrati come Insider e che possono quindi sperimentare e commentare nuove funzionalità potenzialmente introdotte nelle successive release dell’OS . Inoltre l’interfaccia utente del neonato Sistema Operativo, seppure probabilmente migliorata, risulta un po’ differente da quella del suo precedessore per cui può creare un po’ di problematiche per chi non è avvezzo a utilizzare i computer. Infine Windows 10 verrà supportato con sempre nuovi aggiornamenti per ancora diversi anni (i.e. fino al 14/10/2025) per cui, fino ad allora, sembra non esista una vera impellente necessità a passare al suo successore che, tra l’altro, come tutti i nuovi sistemi operativi può anche presentare ancora piccole problematiche che si risolveranno sicuramente man mano con i prossimi aggiornamenti.
Windows 11
Insomma, per molti penso sia conveniente per il momento rimanere con il Sistema Operativo originariamente presente sul proprio PC, vale a dire probabilmente Windows 10, a meno di esigenze particolari. Se invece si acquista un nuovo PC, a questo punto conviene andare su un prodotto che già ha installato Windows 11, per non incorrere in sorprese! Infatti in tal modo si è agevolmente sicuri che il PC possieda tutte le caratteristiche richieste anche dal nuovo OS! Tuttavia, soprattutto per i PC Tower, può essere più economico acquistarne uno con ancora Windows 10, pur accertandosi che possa poi essere eventualmente aggiornato a Windows 11 nel prossimo futuro. Si noti che non è scontato, pur acquistando un PC ben carrozzato come memoria e prestazioni, che questo risulti anche aggiornabile a Windows 11! Infatti tra i requisiti hardware richiesti non c’è solo la RAM e la dimensione/velocità dell’SSD/HD, ma anche le caratteristiche del processore. La CPU minima per Windows 11 deve avere una velocità di clock di 1 GHz, almeno 2 core ed è obbligatoriamente a 64 bit. In più deve essere compatibile, insieme alla scheda madre, con la tecnologia Trusted Platform Module (TPM) 2.0. Nella pratica sono compatibili con Windows 11 tutte le CPU Intel Core a partire dall’ottava generazione lanciate nel terzo trimestre del 2017, gli Atom e i Celeron più recenti, tutte le CPU AMD Ryzen a partire dalla serie 2000 lanciate ad aprile 2018, gli Athlon e gli Epyc più recenti e iSoCQualcomm Snapdragon 850, 7c, 8c, 8cx (prima e seconda generazione) e i Qualcomm-Microsoft SQ1 e SQ2. Tutti gli utenti con un PC dotato di una di queste CPU dovrebbero essere al riparo dai problemi di compatibilità purché abbianoalmeno 4 GB di RAM e 64 GB di spazio di archiviazione, requisiti eventualmente facilmente raggiungibili con un upgrade del PC a prezzi abbastanza contenuti.
Si noti che non si potrà aggiornare a Windows 11 nemmeno un PC Microsoft Surface Laptop di prima generazione acquistato nel 2017 e nemmeno Microsoft Surface Studio 2, un PC “all in one” con schermo da 28 pollici integrato, dedicato ai creativi e dal prezzo di listino di più di 4000€ acquistato solo nel 2018!! In verità penso che almeno talvolta, come nel caso di quel processore, si tratti di un discorso non tanto prestazionale quanto commerciale e teso a invogliare le persone a cambiare PC creando così nuovo mercato… 🙄
Comunque è anche vero che si può “forzare” l’installazione di Windows 11 anche su dispositivi che non possiedono le caratteristiche minime dettate da quel sistema operativo, sebbene le prestazioni non vengano garantite e con il tempo si potrebbero avere delle incompatibilità ulteriori in quanto i successivi aggiornamenti non terranno conto di peculiarità di PC indicati come non supportati: insomma se uno decide di farlo, lo fa a suo rischio e pericolo. Io avevo aggiornato a Windows 10 un PC portatile con Windows 8.1 e le sue prestazioni sono decadute al punto tale da renderlo inutilizzabile…
Naturalmente si può modificare l’HW del proprio PC, se il problema è la RAM o magari l’Hard Disk, ma se il microprocessore non è supportato questo può comportare di dover cambiare la motherboard vale a dire la parte principale e più costosa di un PC… per cui tale upgrade verrebbe a costare quasi quanto un PC nuovo e può quindi non valerne la pena! Può comunque servire il seguente link: Come verificare se il dispositivo soddisfa i requisiti di sistema Windows 11 dopo la modifica dell’hardware del dispositivo.
Prima di acquistare un nuovo PC conviene quindi andare a vedere nel dettaglio le caratteristiche del suo microprocessore dal sito del produttore (i.e. Specifiche dei Processori Intel) da cui magari si scopre che un processore ancora presente in PC attualmente venduti non è poi sufficientemente recente (e.g. Processore Intel® Core™ i7-2600) per essere stato incluso tra quelli compatibili per Windows 11, seppure sia performante almeno con Windows 10!
Per verificare se il processore di un nuovo PC sia supportato da Windows 11, conviene quindi andare a scaricarsi il documento che indica i requisiti minimi richiesti o pagine specifiche quale questa che indica i processori Intel supportati da Windows 11. La pagina del sito Microsoft con tutte le informazioni sui requisiti minimi richiesti dai suoi sistemi operativi (e.g. Windows 10 e Windows 11) è questa.
Lascio anche altri link che possono tornare utili per chi debba cancellare tutti i dati di un proprio PC prima di venderlo o magari restituirlo in quanto acquistato incautamente per poi scoprire che non risulta compatibile per un aggiornamento, seppur futuro, a Windows 11!! 😏
Questo è un post un po’ frivolo ma che, tuttavia, forse può tornare utile a qualcuno! Infatti, anche se esiste il sapone liquido, talvolta è più conveniente (e.g. per costo, dimensioni) utilizzare la classica saponetta. Tuttavia quest’ultima, se non riposta appositamente, rischia di non asciugare bene dopo ogni utilizzo: oltre a impiastricciare il ripiano su cui è stata appoggiata, la saponetta ovviamente, in tal caso, si consuma anche più velocemente. Quindi in questo post mostro alcune soluzioni che personalmente ho trovato comode per riporre comodamente una saponetta e preservarla così nel tempo.
La prima soluzione che vi mostro è un supporto magnetico che consente di sostenere la saponetta in modo da non farla appoggiare da nessuna parte, consentendo così di farla asciugare ovunque in modo uniforme. Si attacca agevolmente con un bioadesivo a una piastrella e quindi non richiede nessuna foratura per installarlo. Non si tratta certo di una soluzione nuova dal momento che già negli anni ’70 i miei genitori ne avevano adottata una analoga, ma ora l’ho ritrovata andando appositamente a ricercarla su Internet, trovando diverse soluzioni dai design accattivanti! Io ho scelto quella in foto presente anche nella confezione da due pezzi ovviamente più conveniente: oltre che bianca, ne esiste anche una versione cromata ma non l’avevo scelta in quanto le cromature sulla plastica in genere non durano nel tempo):
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Ho visto ora che esiste anche la seguente versione in cui il sapone può essere posizionato anche verso l’alto: soprattutto in questo caso, la curvatura presente può essere utilizzata per agganciare anche qualcosa (e.g. una spugna/manina. Penso che, essendo in acciaio inossidabile possa essere una soluzione che può risultare esteticamente anche migliore di quella da me presa precedentemente! L’ho appena acquistata per la casa di campagna per un uso in una doccia e vi saprò dire tra qualche settimana: da notare che, pur avendola presa da Amazon, i tempi di consegna indicati non sono veloci (circa un mese!) come al comtrario generalmente avviene acquistando altri prodotti in quello store!! … chissà da dove viene spedita 🤔
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Altra soluzione sperimentata è il seguente portasapone in silicone che, avendo una pendenza opportuna, mantenendo la saponetta sollevata consente all’acqua di scorrere:
Esistono poi anche altre soluzioni sempre in silicone che, seppur consentano comunque un agevole defluire dell’acqua, tuttavia non mi sembrano garantire un analogo sollevamento di buona parte della saponetta riposta:
Qualche giorno fa ho ricevuto una email da Valeria Biancalani, insegnante d’italiano fondatrice della scuola di lingue Blablalang, che offre lezioni di italiano online, che mi ha chiesto una collaborazione. Infatti, oltre a lavorare come insegnante d’italiano, scrive articoli per diversi blog in modo da pubblicizzare il suo lavoro. Trattandosi di una mamma imprenditrice che vive tra l’altro all’estero, ho subito accettato senza esitazione: anzi, mi ha fatto piacere che si sia rivolta anche a me dopo aver visto dei miei post sulla lingua italiana nella sezione “Pensieri&Parole, in particolare questo sulla punteggiatura. Sono contento che un blog personale come il mio possa anche servire a far trovare qualche cliente in più a chi si adopera a sbarcare il lunario… e offro volentieri spazio gratuito a tale scopo!
Dopo il mio post sulla punteggiatura nelle frasi dirette, dove ho cercato di evidenziare quali sono i particolari grammaticali ed estetici da considerare prima di pubblicare un libro, oggi parleremo, grazie a Valeria, di un argomento altrettanto importante per chi è intenzionato a scrivere un libro: gli errori di scrittura da evitare assolutamente! Vediamo dunque quelli che lei ha evidenziato essere i 10 più comuni… e scopriamo ovviamente qual è la loro forma corretta!! Ovviamente anche questi errori sono ben evidenziati in un editor qualora si attivi un correttore ortografico/grammaticale che quindi è sempre bene usare (vedi questo mio post)!
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QUAL È O QUAL’È
Cominciamo subito con lo specificare che la forma corretta è “QUAL È”, quindi senza apostrofo.
Scrivere “qual’è” è sicuramente uno degli errori più comuni che si tende a commettere nei testi scritti, seppure in buona fede. In caso di elisione, ovvero la soppressione della vocale alla fine di una parola davanti alla vocale iniziale della parola successiva, inseriamo l’apostrofo.
Qual è, invece, è un caso di troncamento, ovvero la soppressione di una vocale, consonante o sillaba alla fine di una parola. Infatti si può usare qual anche prima di una parola che inizia per consonante, come nel caso della frase “qual buon vento”. Vediamo alcuni esempi con qual è.
– Qual è il tuo colore preferito? – Indovina qual è la mia serie tv preferita!
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SOGNIAMO O SOGNAMO
La forma corretta è “SOGNIAMO” con la i, ma per quale motivo?
La desinenza della prima persona plurale nell’indicativo presente è –iamo (noi siamo, noi parliamo, ecc.). La i fa quindi parte della desinenza e non deve essere assolutamente tolta.
– Noi sogniamo di diventare ballerine di danza classica. – Come sempre, sogniamo un mondo senza guerre.
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QUALCUN ALTRO O QUALCUN’ALTRO
Proprio come con “qual è”, anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un troncamento, quindi la forma corretta è senza apostrofo, ovvero “QUALCUN ALTRO”.
Per non dimenticarci che qualcun altro si scrive senza apostofro basta pensare che qualcun si comporta come l’articolo indeterminativo maschile un, che non vuole l’apostofro quando la parola successiva inizia per vocale.
– Qualcun altro vuole le patatine fritte? – Questo libro non mi piace, lo darò a qualcun altro.
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PROPRIO O PROPIO
Un altro degli errori più comuni nel quale spesso si incappa, sia nella scrittura sia nel parlato, è “propio”.
La parola corretta è “PROPRIO”, quindi bisogna aggiungere la “r” tra la “p” e la “i”.
– Oggi è proprio una bella giornata! – Devi mangiarlo proprio adesso il gelato?
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PERCHÉ O PERCHÈ
Il dubbio amletico di tutti gli studenti (e non solo): accento acuto o accento grave?
Premettiamo che la forma corretta è: PERCHÉ, quindi con accento acuto ed “e” chiusa. La motivazione sta in una regola fonetica che prevede l’accento acuto in tutte le parole che terminano con “che” (affinché, poiché, giacché).
– Ho preso una nota sul diario perché mi sono distratto. – Perché non mi aiuti a riordinare questi documenti?
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SI O SÌ
In questo caso è l’accento a fare la differenza.
SI è un pronome riflessivo atono della 3° persona, valido per il singolare e il plurale.
– Si sono tutti preoccupati per la tua assenza. – Si è infilato in una brutta situazione.
SÌ con l’accento è, invece, un avverbio di affermazione.
– Le ho chiesto di sposarmi e mi ha detto di sì! – Hai fatto i compiti per domani? Sì, li ho finiti ieri pomeriggio.
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PURTROPPO O PULTROPPO
Anche in questo caso, si tratta di un errore piuttosto comune che, spesso, vediamo in scrittura e sentiamo nel parlato.
C’è solo un modo corretto di scrivere questa parola ed è “PURTROPPO”, con la “r”.
– Purtroppo non potrò venire alla tua festa di compleanno. – Oggi c’è brutto tempo e purtroppo non potremo andare in gita.
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A POSTO O APPOSTO
Queste due parole sono entrambe corrette ma vanno usate in due contesti completamente diversi.
APPOSTO viene usato quando si vuole usare il participio passato del verbo apporre. Apporre significa “collocare accanto, sopra o sotto”.
– Ho apposto la mia firma sul nuovo contratto d’affitto. – Ho corretto il testo e apposto le virgole dove mancavano.
A POSTO va usato, invece, per comunicare che va tutto bene, che tutto è in ordine.
– Grazie per esserti preoccupato per me ma adesso è tutto a posto. – Ieri ho messo a posto la mia stanza.
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CAMICIE O CAMICE? CILIEGIE O CILIEGE?
Probabilmente questo è uno dei più grandi dubbi della lingua scritta italiana ma lo risolviamo lasciandovi due semplici regole grammaticali.
Se in una parola le finali -cia e -gia sono precedute da una vocale vanno a formare il plurale in -cie e -gie.
– Ti ho stirato le camicie. – Ho comprato delle ciliegie ad un ottimo prezzo.
Se in una parola le finali -cia e -gia sono precedute da una consonante formano il plurale in -ce e -ge.
– Ti piace la mia giacca con le frange? – Il rumore delle gocce di pioggia mi rilassa.
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UN PO’ O UN PÒ?
Sebbene “pò” con l’accento risulti essere stranamente sempre più diffuso, la forma corretta è, in questo caso, “PO’” in quanto troncamento della parola poco.
– Ho un po’ di sonno, credo andrò a dormire. – Mi daresti un po’ delle tue caramelle?
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Link di altri siti di Valeria per imparare l’italiano:
Uno dei primi passi da fare per una ricerca di un lavoro è sicuramente quello di crearsi un curriculumvitae in cui inserire i propri dati anagrafici, gli studi effettuati, le proprie esperienze di lavoro e quant’altro.
Risulta a tale fine conveniente adottare il formato standard previsto dall’Unione Europea che prevede un formato chiaro con possibilità d’inserire una propria immagine, caricare documenti vari, ecc… ecc… Risulterà poi anche possibile caricare il file pdf salvato, per poi andarlo successivamente a modificare per aggiungerci, ad esempio, nuove esperienze: anzi è possibile salvarlo addirittura anche online nella propria biblioteca, per ogni evenienza!
Insomma, con una procedura assai guidata, è possibile inserire/caricare tutti i dati possibili, aggiornali nel tempo e poi salvarsi in locale il proprio curriculum in pdf (potendo scegliere anche tra più formati grafici proposti) in modo da potere allegare quel file nelle richieste di lavoro.
Per iniziare, è sufficiente andare nel sito https://europa.eu/europass/it predisposto dall’Unione Europea, creandosi un proprio account, se uno non ne possiede già uno, diversamente effettuando il login con le proprie credenziali (email come username + password). Come sempre è importante salvarsi le credenziali utilizzate sebbene, essendo lo username la propria email, è quindi comunque sempre possibile recuperare la propria password… ma molto meglio salvarsi tutto nel proprio libretto/file delle credenziali magari condividendolo su tutti i propri dispositivi tramite un cloud (vedi How to save passwords securely and standardly, sharing them with all your devices)!! Si noti inoltre che, sebbene non risulti indispensabile autenticarsi per crearsi un CV, è altamente consigliato farlo per non rischiare di perdersi tutti i dati inseriti prima di terminare tutta la procedura e salvarsi localmente sul proprio PC il file generato: infatti, se non si effettua una registrazione e quindi un login, tutti i dati che uno inserisce non possono ovviamente essere salvati – neppure temporaneamente – su una propria area personale! Infatti solo un utente autenticato può salvarsi anche online il proprio curriculum in una sua area personale (i.e. La mia biblioteca Europass).
Sito https://europa.eu/europass/it predisposto dall’Unione Europea per crearsi il proprio curriculum europeo standard
_______ P.S. 28/2/2023
Purtroppo ora, in nome di una presunta necessaria maggior sicurezza, è stato resa obbligatoria un’autenticazione a due fattori (2FA), vale a dire una gestione degli accessi e delle identità che richiede due forme di identificazione per accedere al sito per la creazione/gestione del proprio curriculum. Anche se uno aveva già attivato un account con solo username (la propria email) e un password, ora se cerca di accedere al proprio curriculum, magari per modificarlo, gli viene richiesto di attivare l’autenticazione a due fattori come descritto nella pagina apposita in quel sito.
La procedura è guidata e conviene innanzitutto crearsi un proprio profilo, in cui inserire i dati che serviranno poi anche per popolare le diverse sezioni del curriculum: d’altra parte ciò viene anche suggerito se si cerca di creare il CV come prima cosa. Infatti compare una finestra di popup che suggerisce di premere il pulsante Crea un profilo Europass che porta appunto nella sezione per crearlo:
Conviene crearsi un proprio profilo prima di creare il proprio curriculum
L’inserimento dei dati del proprio profilo è guidata e suddivisa in diverse sezioni successive che si raggiungono premendo il tasto Avanti in fondo a destra: risulta comunque possibile sempre tornare indietro e correggere/completare i dati inseriti:
Creazione del proprio profilo
Molto probabilmente poi, quando si creerà successivamente il proprio CV (click sul link Crea il tuo CV), conviene selezionare la casella in alto Select entire profile per far sì che tutte le informazioni del proprio profilo vengano utilizzate per costruire il CV:
Quando si crea un CV, si può decidere quali dati del proprio profilo vengano utilizzati
Nel proprio profilo si possono inserire anche i proprio interessi, i luoghi preferiti per richiedere proposte di lavoro, ecc… ecc…
Sezione in cui uno può indicare i propri interessi e luoghi di lavoro preferiti
Qualora poi uno abbia in locale, sul proprio PC, un file del proprio CV nel suo formato pdf standard (e.g. file precedentemente salvato quando lo si era creato tempo fa), risulta possibile caricarlo per popolare le diverse sezioni:
Se uno ha già un CV standard, precedentemente salvato sul proprio PC, può caricarlo per poi modificarlo
Dopo avere verificato/inserito tutti i dati del CV (dedotti dal proprio profilo, ma eventualmente modificabili), risulta possibile scegliere il formato grafico preferito tra alcuni proposti e salvare quindi il file pdf in locale sul proprio PC.
Esistono diversi modelli che uno può selezionare per avere il CV che preferisce graficamente
Risulta comunque conveniente salvarlo anchenella propria libreria Europass, premendo l’apposito pulsante, in modo da averlo anche salvato online. Si noti che questa possibilità viene consentita (il pulsante centrale Salva in La mia Biblioteca Europass non è cliccabile) solo se si è creato un proprio profilo utente e quindi i dati del CV vengono dedotti da quello:
Il proprio curriculum così generato può poi essere pubblicato anche su EURES, il portale sponsorizzato dalla Unione Europea, “rete di cooperazione europea dei servizi per l’impiego, concepita per facilitare la libera circolazione dei lavoratori“, anche se non so quanto questo possa servire! Si può selezionare uno o più Paesi e indicare una o più occupazioni desiderate, ricercandole tra quelle mostrate inserendo una parola chiave (e. g. disabile):
Il proprio curriculum può essere anche pubblicato sul portale EURES
Successivamente, anche dopo anni, in ogni momento si potrà poi accedere a quel sito con le proprie credenziali per modificare/aggiungere informazioni al proprio CV, riprendendo quello precedentemente salvato o dalla propria biblioteca online o importando il file pdf precedentemente salvato localmente sul proprio PC.
Tuttavia conviene in genere inserire le proprie nuove esperienze lavorative nel proprio profilo e poi rigenerare il curriculum a partire dalle informazioni ivi presenti (Crea ora il tuo profilo -> Inizia dal tuo profilo – Seleziona l’intero profilo): se si va a modificare solo il curriculum, non vi è modo poi di aggiornare anche le informazioni relative al proprio profilo! Si noti che quando si inserisce un nuovo elemento questo viene accodato: conviene poi spostarlo opportunamente (selezionando la sezione da spostare e trascinandola in alto mantenendo il mouse premuto) in modo da avere sempre l’esperienze sia lavorative sia di formazione in ordine cronologico (in cima il più recente): attenzione che anche solo una modifica di una sezione può riportarla in fondo alla lista, per cui è necessario poi riposizionarla opportunamente.
Conviene inserire delle nuove esperienze lavorative e d’istruzione/formazione nel proprio profilo (e non direttamente nel CV), ordinandole temporalmente (in cima la più recente) e poi rigenerare i Curriculum Vitae
Non solo è possibile aggiungere successivamente, ad esempio, nuove esperienze lavorative, ma è possibile caricare anche documenti scansionati, quali attestati di studio o presentazioni di ditte/persone per cui uno ha lavorato:
Talvolta capita di vedere siti di conoscenti che, seppur possano avere alcuni contenuti di potenziale interesse, risultano avere un look vecchio – insomma anni ’90/primi 2000, relativamente, ad esempio, a menù e navigazione, allo sfondo e struttura delle pagine, ai caratteri/icone utilizzati – con pagine che, inoltre, non si adattano dinamicamente in base alla dimensione/definizione dello schermo sul quale vengono visualizzate. Quindi si tratta di siti difficilmente visitabili da un dispositivo che non sia un computer munito di un monitor di una ben determinata definizione, tanto meno da uno smartphone, sebbene oggigiorno la maggior parte degli accessi al Web avvenga oramai proprio da questa tipologia di device. Internet, soprattutto in questi ultimi due decenni, si è molto evoluto da un punto di vista sia tecnico sia estetico, contribuendo così a rendere assai più usufruibili i suoi contenuti: quindi, secondo me, è sciocco ignorare tutto ciò e non approfittare delle nuove possibilità ora disponibili anche gratuitamente!
Talvolta, vedendo un sito siffatto non riesco a trattenermi nel suggerire al suo autore che il suo sito “merita un restyling”: poi, solo se richiesto, cerco di spiegarne i motivi e fornire qualche consiglio pensando di agevolarlo in questo compito. Ho notato, tuttavia, che non sempre tale critica – seppur costruttiva – viene apprezzata e le giustificazioni che vengono fornite per avvalorare invece le loro scelte, talvolta sono… incredibili, non solo da un punto di vista tecnico ma anche logico! L’evoluzione sia tecnologica sia dell’usabilità non possono essere ignorate, magari ipotizzando che tecnologie superate non debbano essere oggettivamente considerare “vecchie”, nell’accezione negativa di questo termine. Non si può, ad esempio ignorare la diffusione di dispositivi quali gli smartphone che vengono oramai utilizzati per leggere e navigare su Internet (anche per ore, magari da letto o su di una panchina al parco… e non certo solo nel tempo del rosso di un semaforo)! Chi accede a un sito da smartphone non è certo un utente di classe B rispetto a chi naviga tramite un PC, anzi… Probabilmente è poi da sprovveduti pensare che, non riuscendo a vedere un sito da smartphone, costui voglia poi tornare successivamente a visitalo da un PC tornato a casa: molto più probabile (a meno, magari, che si tratti di un amico/conoscente) che ricerchi altrove le informazioni che gli interessano! Non si può neppure pensare che in un sito si possano inserire delle foto nella loro risoluzione originale, utilizzandolo così come organizzazione personale della propria libreria multimediale. Infatti, penso che in un proprio sito uno debba pubblicare informazioni/immagini principalmente pensando agli altri e non a se stessi e, di conseguenza, deve essere reso il più facilmente remotamente navigabile/consultabile da chiunque: quindi deve innanzitutto essere “leggero” (i.e. ciascuna pagina deve scaricarsi velocemente anche in condizioni di collegamento non ottimale e quindi le immagini devono essere di dimensione adeguata). Se uno vuole pubblicare foto (soprattutto in una medesima pagina), non ha quindi alcun senso caricare i loro originali, di grandi dimensioni, in quanto la definizione necessaria in questo contesto Web è ben differente di quella necessaria per ottenere una stampa di qualità: anzi, oltre a occupare memoria, rallenterebbero appunto anche la visualizzazione della pagina in cui sono state inserite! Molto meglio, quindi, ridurre le dimensioni (anche i programmi di grafica come Photoshop prevedono un salvataggio per uso Web), mantenendo comunque una qualità ottima per una visualizzazione su video. Vedi, a tale proposito, il mio post Come ridimensionare delle foto in blocco utilizzando una funzionalità incorporata in Windows 10.
In questo post, quindi, riporto e amplio alcuni dei consigli che ho recentemente fornito in tal senso a un conoscente, non certo volendomi mettere in cattedra, ma semplicemente esponendo la mia esperienza personale a tale proposito, credendo che possa servire almeno ad altre persone :-). Tali indicazioni possono infatti tornare utili a qualche lettore di questo post che desideri migliorare drasticamente un proprio sito, in modo da renderlo non solo più usufruibile dai visitatori, ma anche più agevolmente gestibile dal suo autore stesso. Il tempo necessario per questa impresa di restyling, in genere, non è poi così eccessivo, come uno potrebbe pensare, per cui suggerisco a chiunque di almeno provarci: per di più si possono trovare anche soluzioni gratuite e penso che sia comunque sempre utile sperimentare dei nuovi orizzonti con mente aperta! 🙂
Per migliorare drasticamente sia il looksia la navigazione sia la gestione di un sito, è generalmente sufficiente utilizzare uno dei diversi ambienti quali, ad esempio, WordPress /Tumbrl/Wix che agevolano sia da un punto di vista grafico/estetico sia nella pubblicazione/organizzazione di nuovi post/articoli/pagine e loro eventuale successiva modifica. Tutti questi ambienti mettono a disposizione, tra l’altro, molteplici template o temi predefiniti (i.e. strutture di esempio per un sito), suddivisi spesso in gruppi a seconda del target che si intende dare al sito (e.g. negozio, blog, fotografia, viaggi), agevolandoci così nella scelta di quali provare per primi. I template/temi sono, ad esempio, visibili su WordPress Themes, Tumbrl templates, Wix template. Si noti che diverse di queste “strutture” di esempio – da cui uno può partire per creare il proprio sito – risultano gratuite pur fornendo diverse funzionalità anche rilevanti: altre hanno un costo che tuttavia non è eccessivo… ma sono certo che, anche solo tra quelli gratuiti, uno ne può trovare più di uno adeguato al proprio intento. Faccio infatti presente che chi sviluppa tali template/temi è un professionista che ben conosce (probabilmente meglio di noi) non solo le esigenze di un sito pensato con certi obiettivi e sa quindi anche come renderlo accattivante, fornendo tutte le funzionalità di navigazione che l’utente si aspetta in quel specifico contesto. Penso falsa l’obiezione di qualcuno che afferma che, utilizzando tali template predefiniti, poi i siti necessariamente diventano tutti uguali. Infatti non solo tutti i tempalte/temi risultano altamente personalizzabili, ma poi tutti quei sistemi consentono comunque di creare un proprio sito da zero, senza cioè nessuna struttura predefinita se proprio uno non desidera partire da nessuno dei centinaia di template già presenti! Detto ciò, vista la varietà di template/temi disponibili (anche gratuitamente), il loro raggruppamento in base al loro potenziale utilizzo, l’estrema flessibilità di molti nella loro configurazione… direi che ben difficilmente c’è oggettivamente l’esigenza di partire a costruire la struttura di un sito proprio da zero: al limite, conviene iniziare comunque da uno dei template – quello che più si avvicina al nostro ideale – per poi modificarlo secondo le proprie esigenze specifiche, semmai anche in modo radicale.
Penso falsa l’obiezione di chi dice che, affidandosi a uno di quegli ambienti, uno si vincola a loro per cui non si può gestire il tutto autonomamente su un proprio server. Infatti, alcune di quelle piattaforme (e.g. WordPress) sono opensource e quindi, se uno lo desidera, possono essere installate anche su un proprio server, gestendo autonomamente il tutto. Quindi, sempre nel caso di WordPress, si può anche decidere di non usare la piattaforma presente su WordPress.com e scaricarsi quel sistema da wordpress.org per poi installarselo su un proprio server. Anzi generalmente sia i NAS sia i server che uno può affittare da un provider, forniscono già la possibilità d’installare WordPress localmente. Ovviamente, se uno decide di voler avere tutto a casa, deve sobbarcarsi poi tutto l’onere di gestire il server e di renderlo visibile su Internet (e.g. tramite l’acquisto di un IP fisso o di un servizio su Internet che lo renda tale) oltre a richiedere un dominio pubblico. Comunque sia, è sempre possibile, in qualsiasi momento, salvarsi localmente tutto il proprio sito (che infatti rimane comunque sempre di proprietà dell’autore anche quando pubblicato online ad esempio su WordPress.com) in modo da poterlo eventualmente poi caricare successivamente su un’altra piattaforma (una analoga o magari anche un’altra, esistendo appositi convertitori – e.g. How To Convert Your Blog From Tumblr To WordPress; Moving from WordPress to Tumblr).
Insomma, se il tuo “vecchio” sito non è un sito “morto”, bensì di uno che ancora si desidera mantenere e in cui vengono creati sempre nuovi contenuti, vale sicuramente la pena impiegare un po’ di tempo per effettuare un restyling e spostarsi eventualmente su una piattaforma più nuova che agevoli il proseguo e fornisca integrati svariati servizi di amministrazione del sito. Dal momento che gran parte del contenuto preesistente è già presente, è un lavoretto di pochi giorni ricreare il tutto altrove con grafica e navigazione molto migliorata, copiando ciascuna sezione e organizzandola nel modo più appropriato ripensando anche come ristrutturare meglio il tutto… Insomma, anche l’estetica e soprattutto la navigabilità hanno un loro peso non indifferente per rendere un qualsiasi contenuto più agevolmente usufruibile e quindi maggiormente apprezzabile! Infatti, se è vero che, se non c’è del contenuto, nessun sistema o template potrà migliorare la sostanza di un sito, è anche altrettanto vero che, se non ben organizzate e ricercabili/filtrabili agevolmente, le informazioni presenti in un sito – anche solo uno di medie dimensioni – risultano sia poco trovabili sia difficilmente gestibili dall’autore stesso! Poter andare, con un’apposita interfaccia utente di amministrazione, a modificare una pagina di un post è ben altra cosa che operare con un ambiente di sviluppo sul suo codice!!
Tenendo conto che la piattaforma WordPress.com consente anche di scegliere un piano del tutto gratuito (accentando che possa essere inserita della eventuale loro pubblicità) con capacità di memoria in genere adeguate, direi che si tratta, almeno inizialmente, della scelta più opportuna per un uso amatoriale e con contenuti non esagerati, in quanto libera da tutte le possibili incombenze e problematiche tecniche, lasciandoti unicamente concentrare su cosa scrivere!
Riassumendo, per quella che è la mia esperienza anche di programmatore, se uno non ha esigenze molto particolari (e.g. gestire magazzini, interfacciarsi con basi dati locali/remote o con apparecchiature e altri sistemi, eseguire elaborazioni) non ha più assolutamente senso mantenersi un sito con versioni obsolete di tool quali Dreamweaver o l’analogo Frontpage di Microsoft degli stessi anni ’90, incapaci di generare un’interfaccia adattabile alle nuove esigenze tecnologiche che i nuovi ambienti, invece, contemplano da almeno un ventennio (anche quelli di sviluppo professionali come Visual Studio consentono di lavorare oggigiorno a livello di frontend, come avviene con WordPress/Tumbr/Wix/…).
Esempio di Dashboard che consente una agevole gestione di uno o più propri siti
Elenco alcuni degli indubbi vantaggi che uno ottiene, senza alcuno sforzo, nell’usare piattaforme quali WordPress:
Menù costruibile e modificabile agevolmente
Possibilità per un navigatore d’iscriversi per ricevere notofica via email della presenza di nuovi post pubblicati
Filtrare i post per categoria (oltre che da menù)
Ricercare articoli del sito sulla base di una ricerca con uno o più termini
Possibilità di vedere l’articolo tradotto in qualsiasi lingua (sebbene sia una funzionalità che in genere i browser stessi offrono già comunque)
Grafica che si adatta a seconda della piattaforma utilizzata dal navigatore (e.g. smartphone, tablet, PC)
Possibilità di gestione degli articoli ovunque, anche in mobilità utilizzando il proprio smartphone.
Possibilità di far inserire pubblicità, annullando così perlomeno i costi di registrazione dominio e dell’eventuale piano a pagamento.
Alcuni degli indubbi vantaggi che uno ottiene senza alcuno sforzo nell’usare piattaforme quali WordPress
Senza contare poi la possibilità di ottenere agevolmente statistiche, ricevere qualche guadagno pubblicitario che – seppur minimo – almeno toglie le spese per avere piani a pagamento e dominio, avere traduzioni in lingue differenti rispetto a quella in cui è stato scritto l’articolo, effettuare ricerche nel sito/blog per trovare agevolmente gli articoli/pagine che contengono determinate parole…
Comunque anch’io ho diversi siti obsoleti che avevo fatto nel secolo scorso con vecchi tool degli anni ’90 e che quindi presentano quello stesso look antiquato e le stesse problematiche che ho descritto in questo post: ho notato ora che alcuni sono ancora addirittura in qualche modo visibili online, sebbene parte delle metodologie di navigazione talvolta non risultino neppure più funzionanti in quanto non più supportate dalle versioni correnti dei browser! 🙄 Non avrebbero neppure più senso di esistere, ma è oramai ben difficile cercare anche solo di oscurarli, non essendoci riuscito per uno di quelli neppure inviando anni fa una raccomandata a Tiscali, essendo resi pubblici da un loro server!!! Della serie: Internet non dimentica… a dispetto delle leggi su privacy e quant’altro!! 😣
P.S. Esempi di vecchi miei siti obsoleti, con navigazione e look “di altri tempi” ma che non sono neppure più riuscito a far oscurare dal provider che continua imperterrito a renderli pubblici da un suo server!!
Avevo già avuto modo di parlare dell’ottimo servizio di lettura libri offerto da Audible anche tramite dispositivi vocali Alexa oltre che da PC/tablet/smartphone: davvero una manna soprattutto per persone anziane e ipovedenti ma non solo!! Vuoi mettere sentirsi un bel racconto quando viaggi magari per ore in macchina o sei sdraiato su una spiaggia o su di un prato? È vero, esistono anche altre modalitá per ascoltare libri, anche gratuite (e.g. Audiolibri: la sezione “Ad alta voce” di RAI Play Radio e altro ancora …), ma Audible offre una quantità di titoli impressionante anche per la lingua italiana!
Da poco mi sono accorto però che, alla mia richiesta vocale – da un dispositivo Alexa (e.g. Echo Dot) – d’iniziare a leggere un nuovo libro con Audible, seppur io sia abbonato, ora mi veniva risposto, sempre vocalmente, di attivare in Alexa l’acquisto vocale e di andare alla cassa. Fino a poche settimane fa, quando avevo richiesto di leggere un nuovo libro, la procedura era semplice e lineare e, come abbonato, non dovevo far nient’altro che indicare il titolo del nuovo libro da farmi leggere (e.g. “Alexa, leggimi ‘Il maestro e Margherita’ con Audible“).
Dopo avere contattato il servizio clienti sia di Amazon sia di Audible, sono venuto a conoscenza del fatto che ora è possibile non solo abbonarsi ad Audible, ma anche farsi leggere sempre da un dispositivo Alexa (e.g. Echo Dot) un singolo libro acquistato su quella piattaforma, per cui l’interfaccia vocale utente è stata modificata a tale proposito. Ho quindi dovuto attivare su Alexa l’opzione di acquisto vocale e così effettivamente funziona nuovamente l’ascolto di un nuovo libro con Audible, ma certo non desidero lasciare impostata quell’opzione in quanto la reputo potenzialmente pericolosa (e.g. possono essere attivati vocalmente abbonamenti non desiderati – Amazon Music Unlimited o di app specifiche – magari per errore da familiari incauti). Certo, se poi uno si trova sulla lista degli acquisti di Amazon prodotti/servizi non desiderati, può sempre annullarli contattando il loro efficientissimo servizio clienti, ma comunque è sempre una rottura che è meglio evitare soprattutto quando uno è hià abbonato a un servizio a pagamento!
Nel seguito mostro come attivare l’acquisto vocale in dispositivi Alexa dall’app Alexa [ Altro -> Impostazioni account -> Acquisti tramite comando vocale -> attivare interruttore e impostare nella sezione conferma di acquisto un codice per uno o più dei profili indicati e abilitati], e quindi come impostare una conferma di acquisto tramite un codice di quattro numeri che uno imposta. Si noti che per definire tale codice è necessario abilitare almeno uno dei profili vocali salvati e visibili nell’apposita sezione Profilo vocale:
Inoltre si noti che, almeno attualmente, l’inserimento di quel codice di conferma vocale di 4 cifre attualmente presenta notevoli problemi essendo stato da poco introdotto: si deve spesso premere sulla tastiera numerica diverse volte un numero (anche decine e decine di volte!!) affinché finalmente (quasi per miracolo!) venga recepito e compaia quindi in alto (al posto di uno dei quattro puntini) come cifra del codice che si intende inserire!! Comunque, sicuramente il malfunzionamento di questa pagina nel recepire gli input di utente verrà risolto dai tecnici che hanno sviluppato e stanno migliorando tale sistema…
La tastiera per l’inserimento del codice presenta ancora notevoli problemi di lentezza che tuttavia sicuramente saranno risolti a breve
Anche prima di contattare quei servizi clienti, avevo già provato a effettuare alcune prove per vedere di risolvere in qualche modo la problematica, tuttavia senza successo! Non era neppure bastato inserire manualmente e non vocalmente, tramite l’app Alexa o quella di Audible, il nuovo libro che desideravo, in quanto poi questo non veniva comunque letto da un Echo Dot, senza avere abilitato in Alexa appunto l’acquisto vocale:
Nulla era servito, per ascortarlo da un Echo Dot, neppure inserire nella propria libreria Audible il nuovo libro desiderato
Si noti che fino a poche settimane fa non esisteva questa complicazione che risulta molto fastidiosa. Avere infine inserito un codice, per confermare un acquisto vocale, non risolve comunque completamente la problematica, in quanto o uno diffonde a tutti gli utilizzatori degli Echo Dot tale codice o la lettura di un nuovo libro richiede la preventiva autorizzazione vocale della persona che ha inserito quel codice e che risulta abilitata agli acquisti vocali nell’app Alexa: insomma, una complicazione nuovamente inaccettabile per un utente finale.
Ho scritto quindi ad Audible sperando che l’interfaccia tra il loro servizio e i sistemi Alexa torni ad avere una forma di utilizzo vocale come era un tempo, cioè semplice e senza la necessità d’impostazioni non desiderate. Ho sottolineato loro che buona parte della loro clientela è composta da persone anziane, magari non vedenti, che sono in grado d’interagire unicamente con modalità semplici e immediate quali erano quelle di un tempo. Io stesso, se il cambiamento di procedura attuale diventerà permanente, non so se manterrò l’abbonamento ad Audible, essendo il suo maggiore utilizzatore un familiare anziano.
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Questo il testo delle risposte ricevute dal servizio clienti Audible dove si possono trovare alcune informazioni utili anche se non proprio relative alla problematica riscontrata e segnalata 🙄:
Gentile Enzo,
grazie per aver contattato Audible ed aver fornito i tuoi suggerimenti su come migliorare il funzionamento di Audible su dispositivi Alexa!
Una volta che hai completato la configurazione del tuo dispositivo Echo, i tuoi titoli nella Libreria saranno disponibili anche su Alexa.
Assicurati di aver aggiunto l’audiolibro o podcast che vuoi ascoltare nella tua Libreria Audible tramite l’App o il sito web. Potrai iniziare ad ascoltare il titolo che desideri in due semplici modi:
1. Apri l’App Amazon Alexa 2. Vai su “intrattenimento” in fondo a destra 3. Clicca sulla copertina dell’audiolibro o podcast che vuoi ascoltare
La riproduzione inizierà immediatamente dall’ultimo punto che hai ascoltato! Visita questa pagina per capire come usare l’App Amazon Alexa: https://bit.ly/3s88zKO
Altrimenti controlla di aver il dispositivo con il microfono attivo e usa semplicemente la tua voce. Puoi dire:
“Alexa, leggi il mio audiolibro” “Alexa, leggi [titolo dell’audiolibro]”
Potrai chiedere ad Alexa di mettere in pausa, cambiare capitolo e tante altre cose. Accedi a questo link per scoprire quali comandi vocali sono disponibili su Alexa per Audible: https://bit.ly/2NhqpMs
E’ importante che tu abbia effattuato l’accesso al dispositivo Echo con le credenziali del tuo Account Audible.
Se non riesci ad ascoltare il tuo audiolibro con Alexa, potresti risolvere seguendo questi semplici passi:
1. Assicurati di aver effettuato il log-in sull’App Alexa e sull’App Audible con le stesse credenziali Amazon, dove hai un abbonamento Audible attivo. Puoi verificare direttamente dalle impostazioni di entrambe le App.
2. Prova a riprodurre l’audiolibro direttamente dal sito Audible.it e dall’App Audible.
3. Verifica di avere una buona connessione Wi-Fi, alla quale è connesso il tuo dispositivo Echo.
5. Alexa potrebbe non capire alcune parole, soprattutto quelle in inglese essendo impostata la lingua italiana. Se non riesci ad attivare la riproduzione con la voce, usa l’App Amazon Alexa.
In questa pagina, troverai l’elenco dei comandi vocali disponibili al momento: https://bit.ly/37r84U3
Precedentemente, prima di avere individuato chiaramente il problema questi erano stati i suggerimenti che possono eventualmente tornare utili in altre situazioni:
Gentile Enzo,
Grazie per aver contattato Audible.it!
Prima di informare il dipartimento di competenza riguardo al problema con l’aggiunta dei libri da parte di Alexa, segui i seguenti passaggi. La sezione si riferisce al fatto che Alexa per ben tre volte che le abbiamo chiesto di riprodurre “Una Vita” di Italo Svevo, abbia avuto tre reazioni differenti ed errate.
A seguito dell’aggiornamento alle caratteristiche dell’abbonamento, puoi provare a dire ad Alexa:“Alexa, aggiungi alla libreria (titolo + autore) di Audible. Così Alexa dovrebbe aggiungerlo gratuitamente, opposizione al comando “acquista libro”.
UTTERANCE NOT RECOGNIZED
A. Start playback on the Alexa companion App Open the Audible Companion App Tap Play on the bottom Navigation bar Tap See All Under AUDIBLE LIBRARY Tap the selected title Select the playback to be done on the Alexa companion app Pause the playback on the Audible compa nion app Ask the Echo read the book once more, using the command [Wake word], read [Book’s Title] by [Author’s name] (e.g “Alexa , leggi il Maestro e Margherita con Audible”)
If the issue persists, please
B. Reset the device Each Echo device resets itself differently, based on their hardware. Click https://www.amazon.it/gp/help/customer/display.html?nodeId=GXSS2ZF8TA78X8 to go to the the Alexa Devices Help page on Amazon. Click on the device model the customer has for specific instructions on how to do it. Once the device is back on, check if the issue persists. If so
C. Check for possible Firmware updates Ask [Wake word], search for new firmware (if the device is touch screen or if using the Alexa app, access Settings > Device Options > Check for updates). If there is an update available, be sure to mute Alexa until the update is done to avoid accidental commands. Once Alexa responds that the device is up to date, attempt playback and check if the issue persists.
D. Deregister your device Launch the Alexa Companion app on your device or visit http://alexa.amazon.it on your computer. Tap on Menu, then on Settings and then Device Settings Tap the device’s name (where it states whether it is Online or Offline) and tap on Deregister. Close the application, and then reopen it (if working on the mobile app). Register the device again On the mobile app, tap Devices, then the + icon on the top right corner. Select Add Device and then Amazon Echo. Follow the on screen prompts Or on the website, click Settings > Set up a new device and select your device model. Follow the on screen prompts
Nel caso dopo aver fatto queste prove riscontrassi ancora dei problemi, forniscici le seguenti informazioni (se applicabili) così da poter fare la segnalazione: -Commands attempted -Error message -Echo model (Generation) -Device Serial Number -Affected titles -Device on which the companion app is used -Device name (e.g. Lydia’s 3rd iOS)
… o almeno quedta è la data di scadenza indicata nella notifica che ho ricevuto via email, essendomi da tempo registrato sul sito della Soris per ricevere notifiche di pagamenti da effettuare… sebbene poi, nel loro sito, in corrispondenza della descrizione della Situazione Debitoria, ci sia scritto in piccolo “È in fase di lavorazione il SALDO TARI ATTIVITA’ 2021, al momento dunque non è possibile visionare tutti i documenti bonari relativi alla TARI ATTIVITA’ a lei intestati“. 🤔 Comunque sia io ho pagato quanto attualmente indicato, dal momento che mi è addirittura arrivata la notifica in oggetto e le indicazioni sul SALDO TARI sono presenti, contrariamente a quanto indicato in quella nota forse dimenticata…
Mail di notifica relativa al Saldo TARI
Nella descrizione della Situazione Debitoria è indicato: “È in fase di lavorazione il SALDO TARI ATTIVITA’ 2021, al momento dunque non è possibile visionare tutti i documenti bonari relativi alla TARI ATTIVITA’ a lei intestati“. 🤔
Andando nel dettaglio di ciascun pagamento indicato da effettuare, compaiono i dettagli e premendo il pulsate di Stampa viene scaricato il modulo F24 da pagare (ad esempio dal sito della propria banca online):
Si noti che, come anche per l’acconto, la tassa ora si divide in due voci: TARI e TEFA
Infine, puoi scoprire, come è successo a me, di avere anche da pagare anche qualche cos’altro, magari una multa ridicola (nel mio caso 4€…. con ben 2,5€ di commissione della banca per pagarlo 🙄) per un probabile ritardo nel pagamento di tale tassa anni addietro!! In questo caso, premendo il tasto Stampa, non viene generato l’F24 bensì un bollettino postale (pagabile alle poste, banche, ecc…):
Basta effettuare una ricerca con un qualsiasi motore di ricerca (e.g. su Bing o su Google) per scoprire che diverse sono le piattaforme e siti che forniscono informazioni relative alla qualità dell’aria. Alcune sono specifiche di alcuni stati, quale quello dell’EPA che contempla solo il territorio USA, ma diversi forniscono dati per diverse parti del mondo, anche l’Europa e in particola e anche in Italia.
Alla fine del post fornirò i link anche di altri siti, ma nel seguito andrò più nel dettaglio in quello che mi è sembrato personalmente la piattaforma migliore perlomeno per le indicazioni relative all’Europa: Breezometer. Si può accedere alle informazioni sia da un qualsiasi browser, accedendo al sito www.breezometer.com, sia tramite l’app Breezometer omonima. Come spesso avviene, l’interfaccia fornita dall’app risulta più agevole se si accede da uno smartphone.
Questo utile sito/app consente non solo di conoscere non solo lo stato d’inquinamento dell’aria, ma anche la diffusione delle diverse tipologie di polline e può quindi risultare assai utile non solo per sapere se è salutare fare sport in un parco, ma anche per chi soffre di allergie.
Nel seguito mostro l’interfaccia dell’app assai intuitiva: si noti che, consentendo all’app di conoscere la propria posizione, i dati forniti sono relativi proprio a dove uno si trova, pur consentendo ovviamente di conoscere il dettaglio di qualsiasi altra zona indicata sulla mappa. Trascinando verso l’alto la tendina in basso, risultano poi visibili anche i dati di dettaglio con una indicazione puntuale dei fattori che determinano l’inquinamento nella zona indicata:
Oltre ad avere nella pagina home una chiara visualizzazione dell’inquinamento corrente, rapportato anche a quello mediamente presente in quella zona, si può ottenere anche il dettaglio del polline agendo sull’apposita voce del menù in basso:
Sull’elevato tasso d’inquinamento della pianura padana, anche se paragonata a tutti gli altri Paesi europei, i dati parlano fa soli…
Interessante è poi la possibilità fornita ai programmatori di utilizzare delle API per ottenere dal loro sistema i dati desiderati (anche relativamente alle previsioni relative fino ai prossimi 4 giorni) e quindi utilizzarli per scopi specifici: in questo caso è ovviamente indispensabile registrarsi nel sito e pagare il servizio diversamente gratuito.
Se si accede da browser, l’interfaccia è forse meno intuitiva ma i dati forniti sono i medesimi, soprattutto se uno accetta di essere localizzato:
Insomma un sistema direi completo con un’app che può convenire avere sul proprio smartphone!!
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Altri sistemi che forniscono dati dell’inquinamento:
Da tempo avevo riversato in digitale (MP3), da cassette audio analogiche, le lezioni di chitarra del bellissimo corso di Franco Cerri e Mario Gangi, non solo per la comodità di poi poterle sentire su PC/smartphone e per la sempre minore disponibilità di un lettore di cassette, ma soprattutto per salvarle prima che il nastro magnetico dell’originale potesse degradarsi con il tempo: infatti, è risaputo che soprattutto le registrazioni su nastro magnetico sono assai sensibili all’usura e per di più subiscono una naturale degradazione nel tempo!
Si tratta di opere editoriali stupende, come oramai non esistono più ed è davvero un peccato che non siano state riproposte da circa 40 anni e siano oramai quasi introvabili. Che dire poi dei numerosi spartiti di musiche arrangiate/trascritte magistralmente per chitarra dai due maestri Gangi e Cerri, anche loro corredati da audiocassette con la loro interpretazione dei brani e con puntuali consigli sull’esecuzione? Musiche che spaziavano dalla classica al jazz, da compositori barocchi a cantautori dell’epoca… oltre a composizioni originali di quegli stessi autori. È un vero peccato che queste opere vadano perse e si possano trovare forse solo più in qualche conservatorio (e.g. Biblioteca del Conservatorio di Musica di Milano) o da qualche privato che le ha custodite religiosamente nel tempo!
Mi sono da poco accorto, cercando di suonare alcuni brani/esercizi di quel corso, che la tonalità dell’mp3 era differente da quella che sarebbe dovuta essere. Forse non era corretta la velocità di trascinamento del nastro magnetico da parte del vecchio lettore di cassette, durante la riproduzione della registrazione quando il tutto era stato digitalizzato? Difficile dirlo ora, non avendo a disposizione neppure più quel lettore oramai obsoleto! In alternativa, forse, era stato il sistema utilizzato per la digitalizzazione che aveva apportato quella indesiderata variazione di tonalità. Sicuramente, un tempo – negli anni ’70 – quando avevo ascoltato quelle medesime cassette, non ricordo avessi riscontrato quell’anomalia che di fatto costituisce un problema rilevante! Sì, perché, soprattutto nel caso di una lezione di musica, risulta assai fastidioso non poter suonare, in simultanea con l’insegnante, gli esercizi da lui proposti usando la chitarra accordata correttamente, per via della non più corretta riproduzione del brano! È vero, nella prima cassetta del corso vengono riprodotte le note delle sei corde a vuoto e quindi sarebbe stato possibile accordare la chitarra in modo analogo cioè con una tonalità differente – in quel caso specifico 1/2 tono sotto -, ma sicuramente non è bello e opportuno mantenere sempre uno strumento con un’accordatura non standard, anche solo perché così facendo uno non abitua l’orecchio a distinguere subito le note corrette suonandole!
Ho quindi cercato come poter fare per modificare la tonalità di tutte quelle registrazioni faticosamente riversate da tempo in MP3. Ho scoperto quindi che la procedura per farlo è assai semplice e veloce anche solo utilizzando un SW opensource gratuitoche già avevo per elaborazioni audio: Audacity.
Già in altri post – che riporto in fondo – avevo avuto modo di disquisire su questo stupendo SW, ma non avevo mai notato, in quello stesso, la presenza anche della funzionalità che consente appunto di modificare la tonalità di un audio. Per trovarla, è sufficiente andare su Effetti e quindi scegliere Cambia intonazione, dopo ovviamente avere selezionato parte o, più probabilmente, tutta la traccia audio (cntrl + a) se si desidera modificare ovunque la sua tonalità:
Se uno si dimentica di selezionare tutta o parte la traccia audio, ovviamente tale funzionalità non può operare, per cui appare una finestra di avvertimento che evidenzia come procedere:
La finestra che consente d’impostare i valori che uno desidera per cambiare l’intonazione senza cambiare il tempo, propone già di default la stima dell’intonazione iniziale del brano: comunque, quello che conta è ovviamente indicare correttamente i semitoni in più o in meno che uno desidera ottenere in quel brano. Nel mio caso era un semitono in più per cui ho indicato da Fa#/Solb a Sol: la nota indicata non mi sembra sia rilevante in quanto l’importante è sempre verificare che il numero dei semitoni (semi-passi) poi indicato sia quello che si intende avere (e.g. nel mio caso +1, per innalzare la tonalità di un semitono). Più in basso viene automaticamente indicata la variazione in frequenza e, se il caso, uno la può poi ancora modificare opportunamente se la variazione che intende operare non è esattamente di un multiplo di semitoni: nel mio caso (stranamente) la variazione era esattamente di 1/2 tono, per cui effettuando l’operazione con quella semplice importazione, e sentendo poi anche solo l’esecuzione delle corde a vuoto presente nella prima lezione, avevo potuto verificare l’avvenuta corrispondenza dell’accordatura standard!
Soprattutto nel caso in cui uno apporti modifiche “fini” sulla variazione in frequenza, può essere opportuno salvarsi la propria impostazione operando sul pulsante Gestisci, in modo da poterla applicare più agevolmente anche su eventuali successivi brani analoghi.
Ovviamente la procedura descritta per variare la tonalità di un brano può essere applicata non solo nel caso specifico mio, in cui avevo l’esigenza di riportarla come era originariamente, ma anche qualora si desideri suonare/cantare un brano con una tonalità diversa da quella “originale”, per adattarlo meglio al proprio strumento o alla propria voce…